Efficacia ed integrazione del contratto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 gennaio 2024| n. 1391.

Efficacia ed integrazione del contratto

L’integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1374 cod. civ. presuppone l’incompletezza o l’ambiguità della manifestazione della volontà negoziale, e non può quindi aver luogo quando, il giudice di merito abbia ritenuto, sulla base del suo prudente apprezzamento, insindacabile in sede di legittimità in quanto sorretto da una corretta utilizzazione dei criteri ermeneutici legali, che le parti abbiano compiutamente regolato gli effetti del contratto, individuando univocamente il contenuto delle obbligazioni poste a carico di ciascuna di esse

Ordinanza|15 gennaio 2024| n. 1391. Efficacia ed integrazione del contratto

Data udienza 4 ottobre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto – Efficacia del contratto – Integrazione del contratto – Eterointegrazione – Operatività – Condizioni e limiti – Fattispecie in tema di appalto di servizi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta da Oggetto:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere-Rel.

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9780-2021 R.G. proposto da

CONSORZIO CONSOGEA S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. Enzo Fioretti, rappresentato e difeso dagli Avv. Giovanni Francesco Biasiotti Mogliazza e Daniela Gambardella, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza Adriana, n. 8;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. Gaetano De Ruvo e Daniela Anziano, con domicilio eletto presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto in Roma, via C. Beccaria, n. 29;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 91-20, depositata il 9 gennaio 2020 .

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 ottobre 2023 dal Consigliere Guido Mercolino.

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FATTI DI CAUSA

1. Il Consorzio Consogea convenne in giudizio l’I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, per sentirlo condannare al pagamento della somma di Lire 122.965.634813, oltre interessi e risarcimento del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 cod. civ., a titolo di maggiori oneri sopportati per l’esecuzione di lavori di acquisizione con lettura ottica su supporto magnetico dei dati contenuti nei moduli cartacei relativi alla denuncia delle indennità di malattia da parte delle aziende, affidati all’attrice con contratto di appalto del 30 gennaio 1984.

A sostegno della domanda, l’attore riferì che i lavori, aventi originariamente ad oggetto una cospicua quantità di documenti, non avevano potuto essere eseguiti secondo le modalità e nei tempi previsti, avendo l’Istituto consegnato i documenti in ritardo rispetto ai tempi pattuiti, ed essendosi dovuto provvedere ad operazioni di controllo preventive, al fine di rendere i documenti omogenei alla lettura. Aggiunse che l’Istituto non le aveva assegnato tutti i documenti previsti, avendo indetto apposite gare di appalto, nessuna delle quali era stata aggiudicata ad esso attore.

Si costituì l’INPS, ed eccepì la prescrizione del credito e l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 19 ottobre 2016, il Tribunale di Roma rigettò l’eccezione di prescrizione ed accolse la domanda, condannando l’INPS al pagamento della somma di Euro 7.000.000,00.

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2. L’impugnazione proposta dall’INPS è stata accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 9 gennaio 2020 ha rideterminato la somma dovuta dall’Istituto in Euro 2.488,00, oltre interessi.

Premesso che la domanda, avanzata originariamente nel mese di giugno 2000 e cancellata dal ruolo, era stata riproposta nell’anno 2009, la Corte ha ritenuto che il termine di prescrizione, avente durata decennale, non fosse decorso né alla data d’introduzione del primo giudizio, né a quella d’instaurazione del secondo, reputando pertanto irrilevanti gli atti interruttivi compiuti dall’attore. Ha precisato inoltre che alle medesime conclusioni avrebbe dovuto pervenirsi anche nel caso in cui si fosse attribuita natura precontrattuale alla responsabilità fatta valere dall’attore, avendo la stessa carattere propriamente contrattuale, in quanto riconducibile ad un contatto sociale qualificato.

Ciò posto, ha ritenuto fondate le doglianze sollevate dall’INPS in ordine all’inadempimento degli obblighi derivanti dalle delibere del Consiglio di amministrazione n. 59 del 26 marzo 1982 e n. 117 del 4 giugno 1982, osservando che nei contratti di diritto privato degli enti pubblici la volontà negoziale dev’essere desunta esclusivamente dalle pattuizioni riportate nel contratto, e riconoscendo alle predette delibere la natura di atti interni, rilevanti ai soli fini del procedimento di formazione della volontà dell’ente, e quindi inidonee alla manifestazione della volontà negoziale, nonché a suscitare nella controparte un affidamento, rilevante ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale. Ha ritenuto altresì fondate le censure riguardanti le modalità di consegna dei documenti da riversare su supporto magnetico, rilevando che il contratto non prevedeva modalità particolari, ed affermando pertanto che spettava all’appaltatore il compito di provvedere ad ogni attività di preparazione della documentazione cartacea ai fini del trattamento in sede automatizzata. Ha escluso inoltre che la consegna dei documenti in quantità inferiore a quella originariamente prevista comportasse l’inadempimento del contratto, rilevando che il capitolato di appalto attribuiva al numero dei documenti un valore puramente indicativo e ammetteva variazioni anche sensibili in diminuzione, correlativamente all’adozione di nuovi sistemi organizzativi da parte delle sedi periferiche dell’Istituto o anche per altre ragioni, senza richiedere che il committente provvedesse in proprio alle operazioni che costituivano oggetto del contratto.

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In ordine alla liquidazione del danno da ritardato pagamento, rilevato che l’INPS non aveva contestato la decorrenza degl’interessi sugli acconti e sui saldi, la Corte ha ritenuto che l’importo dovuto fosse pari a quello calcolato dal c.t.u. nominato nel giudizio di primo grado, rigettando invece la domanda di riconoscimento del maggior danno, in considerazione della mancata dimostrazione del ricorso al credito bancario e dell’impossibilità di effettuare investimenti nell’attività d’impresa, nonché la domanda di riconoscimento della differenza tra il saggio di rendimento dei titoli di Stato e quello legale, per difetto di specifica allegazione.

La Corte ha infine confermato il rigetto della domanda di restituzione dello importo asseritamente versato dall’INPS in eccedenza rispetto all’anticipazione prevista dal contratto, ritenendo generiche le censure mosse alla relativa statuizione, giacché l’Istituto si era limitato ad insistere sulla sufficienza della documentazione prodotta ed a richiamare, per l’illustrazione delle ragioni dell’impugnazione, le note del c.t. di parte ed i conteggi alle stesse allegati.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio Consogea, per otto motivi, illustrati anche con memoria. L’INPS ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 132 e 342 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., osservando che, nel ritenere ammissibile l’impugnazione, nella parte concernente l’inadempimento dell’obbligo di assegnare ad esso ricorrente l’intero volume di lavoro previsto dalle delibere nn. 59 e 117 del 1982, la Corte d’appello ha fatto ricorso ad una motivazione meramente apparente, non avendo considerato che l’INPS non si era curato di dimostrare l’invalidità del complesso negoziale allegato a sostegno della domanda e l’insussistenza del proprio inadempimento, né d’indicare le parti della sentenza di primo grado che intendeva impugnare e le modifiche proposte, ma si era limitato a contrapporre la propria tesi a quella fatta propria dal Tribunale. Aggiunge che la predetta motivazione si pone in contrasto insanabile con quella riguardante le censure proposte dall’INPS avverso il rigetto della domanda di restituzione dell’importo versato in eccedenza rispetto all’anticipazione prevista dal contratto, ritenute inammissibili apparentemente perché formulate con rinvio alla relazione del c.t. di parte, ma in realtà per omessa specificazione delle ragioni di doglianza.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., rilevando che, ai fini della qualificazione della fattispecie, la Corte d’appello ha richiamato un precedente di legittimità riguardante un appalto diverso, in riferimento al quale non era mai stata neppure ipotizzata l’esistenza di un accordo quadro o di un collegamento negoziale, ritenuto invece configurabile dalla sentenza di primo grado, conformemente ad altri precedenti di legittimità.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver accolto l’appello senza esaminare in alcun modo le difese svolte da esso ricorrente, recanti una disamina critica dei precedenti contrari alla configurabilità del collegamento negoziale, prospettato a sostegno della domanda, tra le delibere adottate dal Consiglio di amministrazione dell’INPS, l’accordo ministeriale dalle stesse richiamato ed il contratto di appalto stipulato tra le parti.

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4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1355, 1362, 1363, 1366 e 1987 cod. civ., anche in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., osservando che, nell’escludere l’efficacia vincolante dell’accordo ministeriale nei confronti dell’INPS, la sentenza impugnata lo ha esaminato separatamente dalle delibere nn. 59 e 117 del 1982, senza tenere conto della concatenazione temporale e del nesso teleologico esistente tra i predetti atti. Premesso, infatti, che l’assegnazione dell’appalto trovava giustificazione nell’esigenza di provvedere per un verso all’elaborazione di un numero enorme di documenti giacenti presso l’Istituto e per altro verso all’assorbimento dei lavoratori dipendenti dalle società precedentemente incaricate di tale attività, sostiene che, nel riconoscere all’INPS la facoltà di determinare a sua discrezione il numero dei documenti da affidare all’appaltatore, la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle finalità complessivamente perseguite dalle parti, fornendo una lettura meramente parziale degli atti. Aggiunge che, nell’escludere l’idoneità delle delibere ad ingenerare nell’appaltatore un ragionevole affidamento, la Corte territoriale non ha considerato che la responsabilità precontrattuale non ha natura provvedimentale, ma comportamentale, derivando dalla violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative volte alla formazione del contratto, e prescindendo quindi, nel caso di specie, dalla legittimità dei successivi provvedimenti di aggiudicazione.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ., anche in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., sostenendo che, nella parte in cui ha ritenuto che il contratto d’appalto non prevedesse particolari modalità di consegna dei documenti, la sentenza impugnata ne ha fornito un’interpretazione contraria al significato letterale delle parole usate dalle parti. Premesso infatti che i documenti dovevano consistere in modelli da avviare direttamente alla lavorazione mediante lettura ottica, contenuti in pacchi consegnati dalle sedi periferiche dell’INPS, non recanti alcuna indicazione di elementi estranei e da riconsegnare alle medesime sedi su supporto magnetico, previa effettuazione delle lavorazioni specificate, afferma di aver dovuto invece provvedere all’effettuazione di operazioni preliminari e prodromiche, poiché i modelli erano pervenuti in contingenti privi di numerazione progressiva e contenenti schede provenienti da sedi diverse.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sostenendo che, nell’escludere l’intervenuta pattuizione di particolari modalità di consegna dei documenti, la Corte territoriale ha omesso di esaminare le sue difese, essendosi limitata a richiamare un precedente di legittimità non pertinente, in quanto avente ad oggetto un diverso contratto di appalto, riguardante l’elaborazione delle schede relative ai lavoratori domestici, per le quali il capitolato speciale prevedeva differenti modalità di acquisizione e lavorazione.

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7. Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1355, 1362, 1363 e 1366 cod. civ., anche in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., osservando che, nell’escludere che il capitolato d’appalto prevedesse la consegna di un numero prefissato di documenti, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del contenuto del contratto di appalto e delle indicazioni riportate nella delibera n. 59 del 1982, rimettendo l’assegnazione dei volumi di lavoro alla discrezionalità dell’INPS, con la conseguente configurabilità di una condizione meramente potestativa.

8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1175, 1206, 1366 e 1375 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver omesso d’interpretare il contratto d’appalto alla luce del principio generale di solidarietà sociale e dei canoni di correttezza e buona fede, i quali avrebbero imposto all’INPS di attivarsi, indipendentemente dalla sussistenza di uno specifico obbligo contrattuale, per rimuovere eventuali difficoltà ed impedimenti all’esecuzione della prestazione da parte dell’appaltatore, anche in considerazione del ragionevole affidamento ingenerato nell’appaltatore in ordine all’assegnazione dell’intero quantitativo di documenti previsto dalle delibere.

9. Il primo motivo, con cui viene riproposta la questione di ammissibilità dell’appello, nella parte riguardante l’inadempimento da parte dell’INPS dello obbligo di assegnare al Consorzio un determinato volume di lavoro, è infondato.

La natura processuale del vizio lamentato, nel cui accertamento questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, provvedendo essa stessa al riscontro della violazione denunciata, indipendentemente dalle ragioni addotte nella sentenza impugnata, consente infatti di procedere all’esame diretto degli atti di causa: dagli stessi emerge che, nel censurare la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva riconosciuto il suo obbligo di assegnare al Consorzio l’intero numero di documenti previsto dalle delibere nn. 59 e 117 del 1982, l’Istituto aveva contestato la ricostruzione della vicenda contrattuale compiuta dal Tribunale, negando in particolare l’avvenuta stipulazione di un accordo plurilaterale con il Ministero del lavoro, le organizzazioni sindacali e le società incaricate dell’elaborazione dei documenti relativi alle posizioni previdenziali dei lavoratori, nonché l’esistenza di un accordo quadro con il Consorzio, e sostenendo la portata non vincolante delle predette delibere, in quanto aventi ad oggetto la mera ricognizione della necessità di provvedere all’affidamento del servizio a trattativa privata, senza l’assunzione immediata di alcun impegno nei confronti dei terzi. Tali argomentazioni, permettendo d’individuare senza incertezze la statuizione della sentenza di primo grado di cui l’Istituto chiedeva il riesame e le ragioni di fatto e di diritto per cui ne proponeva la modificazione, nonché le conseguenze da trarne con riferimento alla domanda proposta dal Consorzio, sono state correttamente ritenute sufficienti ai fini dell’osservanza del canone di specificità dell’atto di appello previsto dall’art. 342 cod. proc. civ.: tale disposizione, nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, va infatti interpretata, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa volta a confutare e contrastare le ragioni addotte dal giudice di primo grado, senza però che risulti necessaria l’utilizzazione di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione, in considerazione della perdurante natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale conserva la sua diversità rispetto ai mezzi d’impugnazione a critica vincolata (cfr. Cass., Sez. Un., 13-12-2022, n. 36481; 16-11-2017, n. 27199; Cass., Sez. VI, 30- 05-2018, n. 13535).

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La ritenuta specificità dell’appello, nella parte riguardante il predetto profilo, non si pone poi in contraddizione con l’affermazione della genericità della impugnazione, nella parte avente ad oggetto la restituzione dell’importo versato in eccedenza rispetto alle anticipazioni previste dal contratto, trovando tale rilievo giustificazione nella ritenuta insufficienza del richiamo alle osservazioni formulate dal c.t. di parte dell’Istituto, recanti una critica meramente generica alla determinazione del credito di quest’ultimo. In proposito, è appena il caso di richiamare il principio, anch’esso affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’onere di specificazione dei motivi di appello non può essere assolto mediante la produzione di conteggi di parte difformi da quelli elaborati dal c.t.u. nominato nel giudizio di primo grado, traducendosi tale contestazione in una censura per relationem, che non consente di cogliere con esattezza il contenuto delle censure rivolte alla sentenza impugnata, e non potendosi affidare al giudice di secondo grado il compito d’individuare le ragioni di dissenso dalla decisione adottata, attraverso una comparazione tra i conteggi prodotti e quelli elaborati dal c.t.u. (cfr. Cass., Sez. III, 12-02-2013, n. 3302; Cass., Sez. I, 18-01-2013, n. 1248; Cass., Sez. lav., 17-12-2010, n. 25588).

10. Sono parimenti infondati il secondo, il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la comune problematica riguardante la configurabilità di un collegamento negoziale tra le delibere adottate dal Consiglio di amministrazione dell’INPS, l’accordo ministeriale dalle stesse richiamato e il contratto stipulato tra le parti, e la conseguente sussistenza dell’obbligo dell’Istituto di assegnare al Consorzio l’intero volume di lavoro previsto dall’accordo.

La circostanza che, ai fini dell’esclusione dell’efficacia esterna delle predette delibere, la Corte d’appello abbia richiamato l’ordinanza di questa Corte n. 29744 del 19 dicembre 2018 non può considerarsi di per sé sufficiente a comportare la nullità della sentenza impugnata per difetto del requisito di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., ben potendo il giudice di merito assolvere per relationem il proprio obbligo di motivazione, mediante il rinvio alle argomentazioni giuridiche contenute in un provvedimento reso in un altro giudizio, purché ne dimostri la riferibilità alla vicenda sottoposta al suo esame, attraverso l’individuazione delle caratteristiche specifiche di quest’ultima, conformi a quelle della fattispecie presa in considerazione dal provvedimento richiamato (cfr. Cass., Sez. VI, 3-07-2018, n. 17403; Cass., Sez. III, 9-05-2017, n. 11227; Cass., Sez. lav., 3-06-2016, n. 11508). Tale conformità, ritenuta nella specie sussistente, in considerazione delle analogie riscontrabili tra la vicenda contrattuale in questione e quella esaminata nell’ordinanza richiamata, non può essere esclusa in virtù della mera circostanza che tale provvedimento riguardasse un contratto di appalto avente ad oggetto lavorazioni diverse da quelle di cui si discute in questa sede, risultando pacifico che anche in quel caso l’affidamento del servizio traeva origine dall’accordo ministeriale richiamato nelle delibere del Consiglio di amministrazione dell’INPS, delle quali era stata fatta valere l’efficacia vincolante nei confronti dell’Istituto, ai fini dell’individuazione dei volumi di lavoro da assegnare all’appaltatore.

10.1. La predetta efficacia è stata correttamente esclusa dalla sentenza impugnata, in applicazione del principio enunciato dall’ordinanza richiamata, e ribadito da numerosi altri precedenti di legittimità in tema di interpretazione dei contratti di diritto privato stipulati dagli enti pubblici, secondo cui la volontà negoziale di questi ultimi dev’essere desunta unicamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., senza che possa farsi ricorso alle deliberazioni dei rispettivi organi competenti, le quali rilevano ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio, e sono quindi prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non risultino espressamente richiamate dalle parti (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. I, 14-02-2019, n. 4509; 28-05-2018, n. 13301; 9-05-2018, n. 11190). Il riferimento alla natura preparatoria delle delibere, aventi efficacia meramente interna, in quanto inserite nel procedimento di formazione della volontà dell’Istituto, deve considerarsi sufficiente a giustificare anche l’esclusione della possibilità di ravvisare un collegamento negoziale tra le stesse e il contratto di appalto stipulato con il Consorzio, rispetto al quale esse non si configurano come atti distinti, tipologicamente eterogenei e funzionalmente autonomi, ma teleologicamente coordinati in vista della realizzazione di un più ampio ed unitario assetto d’interessi, bensì come atti prodromici, privi di effetti propri, in quanto preordinati esclusivamente alla formazione dell’atto in cui il procedimento è sfociato.

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10.2. A maggior ragione, deve poi escludersi la configurabilità di un collegamento negoziale tra il contratto d’appalto e l’accordo ministeriale richiamato nelle medesime delibere, risultando pacifico che l’Istituto è rimasto totalmente estraneo allo stesso, non avendo partecipato alla sua stipulazione, e non essendo stato dedotto né dimostrato che il nesso teleologico ipotizzato tra i due atti si sia tradotto in specifiche clausole contrattuali, idonee a conferirgli autonoma rilevanza giuridica, attraverso l’imposizione alle parti di una condotta univocamente orientata al conseguimento dell’utilità pratica cui mirava l’accordo (cfr. Cass., Sez. II, 16-02-2007, n. 3645; 16-09-2004, n. 18655; 30-10-1991, n. 11638). In quest’ottica, nessun contrasto può ravvisarsi tra le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata e il principio di diritto enunciato da questa Corte in un giudizio avente ad oggetto un’altra vicenda contrattuale anch’essa analoga a quella in esame e richiamato dalla difesa del ricorrente, secondo cui il collegamento negoziale può sussistere anche tra atti giuridici di diversa natura (contratti, provvedimenti amministrativi, accordi non aventi contenuto patrimoniale), a condizione che ricorrano un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, ed un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra gli stessi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (cfr. Cass., Sez. I, 12-09-2018, n. 22216). Anche sotto tale profilo, deve quindi escludersi la sussistenza del difetto di motivazione lamentato dal ricorrente, certamente non riconducibile all’omesso esame di tutte le difese del Consorzio, di per sé non incidente sull’adeguatezza della motivazione, ai fini della quale è sufficiente che il giudice esponga concisamente le ragioni della decisione, sì da potersi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con le stesse (cfr. Cass., Sez. III, 9-02-2021, n. 3126; Cass., Sez. VI, 2-12-2014, n. 25509; Cass., Sez. II, 12- 04-2011, n. 8294).

10.3. Quanto poi alla responsabilità precontrattuale dell’Istituto, correttamente la sentenza impugnata ne ha escluso la configurabilità, in ragione dell’efficacia meramente interna delle delibere adottate dal Consiglio di amministrazione, ritenute inidonee ad ingenerare nel Consorzio un affidamento in ordine all’assegnazione dell’intero volume di lavoro previsto dall’accordo ministeriale, in quanto attinenti al procedimento di formazione del contratto di appalto: ai fini della sussistenza della predetta responsabilità, nel caso di contratti stipulati iure privatorum dagli enti pubblici, la mera autorizzazione della stipulazione da parte dell’organo deliberativo non può essere infatti considerata sufficiente ad ingenerare un affidamento nella controparte, occorrendo anche l’accertamento di una condotta degli organi rappresentativi o dei funzionari dagli stessi delegati contraria ai doveri di correttezza e buona fede, alla cui osservanza è tenuta anche la Pubblica Amministrazione, in adempimento dei doveri primari garantiti dall’art. 2043 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. II, 10-01-2013, n. 477; Cass., Sez. I, 5-11-2012, n. 18932; Cass., Sez. III, 10- 06-2005, n. 12313). Nella specie, tale condotta non è stata in alcun modo allegata, essendosi il ricorrente limitato a far valere il richiamo all’accordo ministeriale contenuto nelle delibere adottate dal Consiglio di amministrazione dell’INPS, le quali, oltre a non rivestire efficacia vincolante nei rapporti con i terzi, non prevedevano in alcun modo l’obbligo dell’Istituto di stipulare altri contratti con il medesimo appaltatore, il cui affidamento in ordine alla futura assegnazione di ulteriori volumi di lavoro non avrebbe pertanto potuto ritenersi giustificato.

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11. Il quinto e il sesto motivo, anch’essi da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi entrambi ad oggetto la determinazione delle modalità di consegna dei documenti da elaborare, sono invece inammissibili.

Ai fini dell’individuazione dell’oggetto dell’appalto, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al tenore letterale delle clausole contrattuali, reputando priva di fondamento l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui la previsione della lavorazione manuale dei dati riportati nei documenti aveva carattere assolutamente eccezionale, giacché, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il contratto non prevedeva alcuna particolare modalità di consegna dei documenti, con la conseguenza che ogni possibile attività di preparazione degli stessi ai fini del loro trattamento in sede informatizzata doveva essere considerata a carico all’appaltatore, in quanto strumentale rispetto all’esecuzione della prestazione pattuita. Tale apprezzamento non risulta inficiato dal richiamo della pronuncia di legittimità in precedenza citata, la quale, pur riguardando un appalto avente ad oggetto lavorazioni diverse da quelle previste dal contratto in esame, enuncia principi riferibili anche a quest’ultimo, in quanto attinenti in via generale all’interpretazione del contratto, alle modalità d’impugnazione della stessa in sede di legittimità ed ai limiti del sindacato spettante a questa Corte in ordine alla valutazione compiuta dal giudice di merito. Alla stregua di tali principi, richiamati in numerose altre pronunce riguardanti controversie analoghe a quella in esame, l’interpretazione fornita dalla sentenza impugnata non può ritenersi validamente censurata dal ricorrente, il quale, nel lamentare la violazione delle regole ermeneutiche legali, si limita ad insistere sul significato letterale delle espressioni usate nel contratto, puntualmente ricostruito dalla sentenza impugnata, senza essere in grado di individuale elementi testuali dalla stessa indebitamente trascurati o sfumature di senso dalla stessa impropriamente attribuite agli elementi considerati, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la censura di violazione di legge, una diversa lettura degli atti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica del provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale della motivazione, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54, comma primo, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13-01-2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29-10-2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4-08-2017, n. 19547).

Efficacia ed integrazione del contratto

12. Il settimo motivo, avente ad oggetto l’individuazione dei volumi di lavoro assegnati all’appaltatore, è infondato.

Anche in riferimento a tale questione, la sentenza impugnata si è infatti attenuta alla lettera del contratto, richiamando l’art. 3 del capitolato d’appalto, il quale attribuiva valore dichiaratamente indicativo al numero di documenti assegnato al Consorzio, prevedendo che lo stesso potesse subire ridu-zioni anche sensibili, non solo in dipendenza dell’adozione di nuovi sistemi organizzativi da parte delle sedi periferiche dell’Istituto, ma anche per altre ragioni, senza neppure subordinare l’ammissibilità di tali riduzioni allo svolgimento in proprio delle operazioni già affidate all’appaltatore. Le critiche mosse a tale interpretazione non meritano accoglimento, per le medesime ragioni esposte in riferimento a quelle formulate con il quinto ed il sesto motivo, alle quali occorre aggiungere soltanto che il rilievo in tal modo conferito allo stato di avanzamento del processo di ristrutturazione dell’organizzazione e d’informatizzazione dell’attività dell’INPS, consentendo di escludere che la determinazione dei volumi di lavoro fosse rimessa all’assoluta discrezionalità dell’i-stituto, impedisce di ravvisare nella predetta clausola una condizione meramente potestativa: quest’ultima, com’è noto, consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto; essa non ricorre quindi nel caso in cui, come nella specie, l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato (cfr. Cass., Sez. V, 20-11-2019, n. 30143; Cass., Sez. III, 26-08-2014, n. 18239; Cass., Sez. II, 21-05-2007, n. 11774).

Efficacia ed integrazione del contratto

13. Non merita infine accoglimento l’ottavo motivo, riflettente l’omessa applicazione del criterio ermeneutico legale fondato sulla buona fede.

L’integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1374 cod. civ. presuppone infatti l’incompletezza o l’ambiguità della manifestazione della volontà negoziale, e non può quindi aver luogo quando, come nella specie, il giudice di merito abbia ritenuto, sulla base del suo prudente apprezzamento, insindacabile in sede di legittimità in quanto sorretto da una corretta utilizzazione dei criteri ermeneutici legali, che le parti abbiano compiutamente regolato gli effetti del contratto, individuando univocamente il contenuto delle obbligazioni poste a carico di ciascuna di esse (cfr. Cass., Sez. I, 21-03-2014,n. 6747; Cass., Sez. II, 14-06-2002, n. 8577; 17-06-1994, n. 5862). Quanto poi al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, esso, pur sostanziandosi in un obbligo di solidarietà che prescinde da specifici obblighi contrattuali o dal dovere extracontrattuale di neminem laedere, trova il suo limite nell’interesse proprio del soggetto, il quale è tenuto al compimento di tutti gli atti giuridici e-o materiali necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, soltanto nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (cfr. Cass., Sez. III, 4-05-2009, n. 10182;11-01-2006, n. 264; 30-07-2004, n. 14605): ai fini della violazione dell’art. 1375 cod. civ., non è pertanto sufficiente il fatto che una parte abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando la stessa abbia agito nel perseguimento di un risultato lecito attraverso l’uso di mezzi legittimi, occorrendo invece che la predetta condotta sia configurabile come abuso del diritto, il quale ricorre quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti (cfr. Cass., Sez. lav., 15-06-2018, n. 15885; Cass., Sez. III, 29-05- 2012, n. 8567).

14. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

Efficacia ed integrazione del contratto

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 4 ottobre 2023

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2024.

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