In genere motivo di impugnazione e critica della decisione impugnata

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 gennaio 2024| n. 1341.

In genere motivo di impugnazione e critica della decisione impugnata

Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.

Ordinanza|12 gennaio 2024| n. 1341. In genere motivo di impugnazione e critica della decisione impugnata

Data udienza 15 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Impugnazioni in generale – In genere motivo di impugnazione – Contenuto – Critica della decisione impugnata – Considerazione delle motivazioni poste a fondamento della decisione – Necessità – Mancanza – Conseguenze – Locazione ad uso commerciale – Attività commerciale oggetto di sospensione per effetto della normativa emergenziale anti Covid 19 – Non configurabilità come causa di esclusione della responsabilità contrattuale – Difetto di specificità delle censure – Inammissibilità.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill. mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere Rel.

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere

Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18622/2022 R.G. proposto da Ba.Ro., rappresentato e difeso dall’Avv. Er.De.; (p.e.c. indicata (Omissis));

– ricorrente –

contro

Pi.Fe., rappresentato e difeo dall’Avv. Da.Pe. (p.e.c. indicata: (Omissis));

– contro ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia, n. 484/2022, depositata il 24 maggio 2022 .

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.

In genere motivo di impugnazione e critica della decisione impugnata

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 1901 del 2020 il Tribunale di Bergamo ingiunse a Ba.Ro. il pagamento a Pi.Fe. della somma di euro 2.507,00 per canoni relativi al secondo trimestre del 2020 dovutigli in forza di contratto di locazione ad uso commerciale di un negozio sito in Bergamo, adibito dal conduttore a toelettatura per cani.

Il conduttore vi si oppose deducendo che il proprio esercizio commerciale era rimasto chiuso per tutto il periodo del c.d. lockdown, ed anche per i due – tre mesi successivi avendo egli riscontrato difficoltà al rispetto delle misure anticontagio; invocò, pertanto, l’applicazione del comma 6-bis all’art. 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020 n. 13 (comma aggiunto dall’art. 91, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”; chiese, in subordine, pronunciarsi, per la medesima causale, la risoluzione del contratto, ex art. 1467 cod. civ. per eccessiva onerosità sopravvenuta.

L’opposto, costituendosi nel giudizio di opposizione, chiese la condanna del Ba.Ro. al pagamento degli ulteriori canoni nel frattempo maturati e dichiararsi risolto il contratto per grave inadempimento del conduttore.

2. Esperito, con esito negativo, il procedimento di mediazione, e disposto il mutamento di rito, con la memoria ex art. 426 cod. proc. civ., l’opponente, nell’insistere nelle già proposte domande ed eccezioni, chiese ulteriormente, in via riconvenzionale, dichiararsi risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta, stante la inagibilità dell’immobile conseguente ad allagamento dei locali verificatosi il 30 settembre 2020, e la condanna del locatore al risarcimento dei danni.

3. Con sentenza n. 699/2021, emessa in data 21 aprile 2021, il Tribunale rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo e le domande riconvenzionali tutte avanzate dall’opponente; dichiarò la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore; lo condannò a pagare Euro 10.028,40 per canoni, al lordo di quelli già oggetto del decreto ingiuntivo, oltre interessi dalle singole scadenze al saldo, oltre che alle spese processuali.

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Premesso che il pagamento del canone era sempre possibile anche nel periodo di chiusura dell’attività, tramite i circuiti di pagamento bancari telematici, rilevò che nel primo periodo della pandemia da Covid-19, dal marzo al maggio 2020, il Ba.Ro. non aveva mai iniziato trattative con il locatore per ridurre il canone e ritenne non giustificabile il suo mancato pagamento in ragione della chiusura dell’attività per il limitato periodo di due mesi imposto dal d.p.c.m. 11 marzo 2020.

4. Il Ba.Ro. interpose appello deducendo in sintesi che: a norma dell’art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 6 del 2020 doveva ritenersi legittima la sospensione del pagamento dei canoni locatizi nel periodo di chiusura dell’attività per imposizione legislativa; egli aveva sanato la morosità con bonifici bancari eseguiti nel maggi – /giugno 2021, in epoca posteriore alla sentenza impugnata; nulla invece doveva per il periodo successivo all’allagamento dei locali.

5. Con sentenza n. 484/2022, resa pubblica il 24 maggio 2022, la Corte d’appello di Brescia ha parzialmente accolto il gravame limitatamente alle statuizioni di condanna, avendo preso atto dell’intervenuto pagamento dei canoni dovuti fino al 30 settembre 2020 ed avendo ritenuto legittimo, ex art. 1460 cod. civ., il mancato pagamento di quelli successivi a causa delle copiose infiltrazioni dal soffitto che avevano invaso il locale rendendolo inidoneo all’uso convenuto, per inadempimento imputabile al locatore ex artt. 1575 e 1576 cod. civ.

Ha invece confermato la valutazione del primo giudice circa l’idoneità del mancato pagamento dei canoni relativi al periodo precedente a giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore.

Alla luce della relazione tematica n. 56/20 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, evocata anche dall’appellante, ha in proposito considerato che:

– la norma emergenziale si limita ad imporre che il rispetto delle misure di contenimento deve essere “valutato” ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore ex art. 1218 c.c., ma non costituisce di per sé una causa di esclusione della responsabilità contrattuale;

– l’appellante non ha allegato né provato di aver preso contatti con il locatore nel periodo aprile – giugno 2020 per ottenere una sospensione temporanea del pagamento del canone, oppure una sua rinegoziazione, ma ha sospeso il pagamento con un’azione unilaterale in autotutela;

– nulla ha argomentato a confutazione delle conclusioni raggiunte dal Tribunale secondo il quale la natura di obbligazione pecuniaria del versamento del canone comportava che il debitore potesse adempiere al pagamento nonostante la chiusura delle attività;

– il locatore ha consentito il godimento dell’immobile anche nel periodo intercorso tra il mese di aprile e quello di maggio 2020, sebbene in misura ridotta, atteso che non poteva esservi esercitata l’attività di toelettatura di cani al quale era adibito;

– il conduttore era pertanto legittimato a chiedere al locatore un accordo sulla riduzione parziale del canone o una temporanea sospensione ma non a omettere l’intero pagamento;

– l’inadempimento al pagamento del canone nel periodo aprile – settembre 2020 è, dunque, grave in relazione al disposto dell’art. 1455 c.c.

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6. Avverso tale sentenza Ba.Ro. propone ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi, cui resiste l’intimato, depositando controricorso, con il quale propone ricorso incidentale sulla base di un solo motivo.

7. È stata fissata la trattazione per la odierna adunanza camerale con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Il ricorrente incidentale ha depositato c.d. “note di udienza”.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., articolo 111 della Costituzione in riferimento all’art. 360 comma 1 nr. 5 per omesso esame circa un documento prodotto e decisivo per il giudizio”.

Lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di considerare che, diversamente da quanto erroneamente postulato in motivazione, egli aveva allegato e documentato di aver tentato di prendere contatti con il locatore, al fine di ottenere una sospensione temporanea del canone di locazione ed una soluzione ragionata con quest’ultimo, al fine di riportare ad equità il rapporto sinallagmatico [si fa in tal senso riferimento: a) ad una copia di una comunicazione raccomandata, anticipata via mail, datata 13 maggio 2020, nella quale, richiamato l’art. 1256 comma 2 del Codice Civile (impossibilità di godimento dell’immobile locato causa pandemia e più in generale il concetto di forza maggiore e/o eccessiva onerosità sopravvenuta), egli aveva comunicato al locatore, sino al ripristino delle condizioni di minima normalità, la necessità di sospensione temporanea dei pagamenti; b) ad una successiva mail, datata 27 giugno 2020 e inviata all’indirizzo p.e.c. (Omissis), con la quale si era reiterata detta comunicazione, stante il mancato riscontro alla prima].

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6–novies d.l. 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, come sostituito dall’art. 4-bis, comma 1, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, e del principio di buona fede ex art. 1375 c.c.

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Sulla base della evocata norma emergenziale (rubricata “Percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali”) e di alcuni pronunciamenti dei giudici di merito, sostiene doversi configurare, nel contesto descritto, un obbligo dei locatori di rinegoziare l’ammontare del canone, basato sul principio di buona fede ex art. 1375 c.c. e sull’equità integrativa ex art. 1374 c.c.

Rileva che in tal senso si è espressa altresì la già richiamata Relazione n. 56 dell’8 luglio 2020 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, essendosi in essa affermata l’esistenza di un vero e proprio obbligo giuridico della parte avvantaggiata dalla sopravvenienza epidemica a rinegoziare il contenuto del contratto, in particolare l’ammontare del canone, in modo da mantenere in essere il contratto, a condizioni diverse, rilevando che, sebbene non sia configurabile un obbligo di risultato (ossia di concludere in modo positivo le trattative in modo da raggiungere un contratto modificativo del precedente), nondimeno, se il locatore si rifiutasse di intavolare le trattative con il conduttore ovvero, pur iniziandole, le svolgesse in modo “malizioso”, senza cioè una seria intenzione di addivenire alla modifica del contratto originario, si renderebbe inadempiente nei confronti dell’altra parte.

Richiama ancora l’art. 216, comma 3, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19; c.d. Decreto Rilancio), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, a mente del quale la sospensione delle attività sportive (ma – si dice – sarebbe irragionevole una interpretazione restrittiva che ne escluda l’applicazione analogica anche ad altre attività), disposta con la normativa emergenziale, deve essere “sempre valutata, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1256, 1464, 1467 e 1468 c.c., a decorrere dall’entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione …”.

Alla luce di tali indicazioni lamenta che erroneamente la Corte d’appello abbia omesso di considerare che il locatore non ha nella specie neppure tentato di intavolare una rinegoziazione contrattuale, non avvedendosi nemmeno dei tentativi in tal senso invece fatti dal conduttore, con le comunicazioni menzionate nel primo motivo.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, infine, “violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 1575 cod. civ.”.

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Deduce che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che il locatore avesse consentito il godimento dell’immobile anche nel periodo intercorso tra il mese di aprile e quello di maggio 2020, sebbene in misura ridotta, dovendosi invece considerare che, per effetto delle disposizioni emergenziali, la prestazione del locatore di assicurare il godimento dell’immobile per la destinazione contrattuale non era stata adempiuta nella sua interezza, essendo stato precluso, per una parte del periodo in questione (nel caso di specie 10 marzo – 14 giugno 2020), lo svolgimento dell’attività professionale per il quale esso era stato locato e quindi l’uso pattuito.

Sostiene quindi che, in tale contesto, il ritardo nel pagamento – peraltro poi avvenuto per l’intero importo – non avrebbe potuto considerarsi di gravità tale da determinare lo scioglimento del vincolo contrattuale.

4. Con l’unico motivo posto a fondamento del ricorso incidentale,

Pi.Fe. denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c.” in relazione alla ritenuta legittimità, ex art. 1460 cod. civ., della sospensione del pagamento dei canoni maturati successivamente alle infiltrazioni che avevano danneggiato l’immobile locato.

Rileva che il convincimento al riguardo è insufficientemente fondato su una mail che il legale del conduttore avrebbe inviato a quello del locatore e sulle fotografie prodotte e la dichiarazione di inagibilità del Comune di Bergamo emessa ben un anno dopo il presunto allagamento.

5. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

5.1. Posto che con esso, al di là della confusa e contraddittoria formulazione della rubrica (di per sé priva di rilievo ove, come nella specie, la consistenza della censura e la sua riconducibilità ad uno dei tipizzati vizi cassatori sia comunque chiaramente desumibile, come nella specie, dalla sua illustrazione: v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931), si intende denunciare un vizio di omesso esame ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., la sua inammissibilità va predicata per la preclusione che deriva – ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) – dall’avere la Corte d’appello deciso, sul punto, in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo assolto l’onere in tal caso su di essi gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).

5.2. Può peraltro soggiungersi, ad abundantiam, che in nessun modo si precisa se, come e dove i fatti rappresentati nei due documenti vennero fatti oggetto di attività di rilevazione, cioè vennero indicati al giudice di merito per sostenerne le implicazioni che il motivo loro riconosce. L’assoluta mancanza di allegazione concerne non solo il giudizio di primo grado, ma anche il giudizio di appello, riguardo al quale, evidentemente, si sarebbe dovuta prospettare al giudice dell’impugnazione l’omesso esame imputabile al primo giudice come motivo di appello.

È da rilevare, in proposito, che la mera produzione dei due documenti cui ci si riferisce senza che ad essa si fosse accompagnata un’attività di rilevazione della loro efficacia rappresentativa, cioè di deduzione della loro idoneità a rappresentare determinati fatti, esclude che si potesse imputare al primo giudice di non avere esaminato tali fatti, ancorché quel giudice potesse rilevarne la rilevanza ai fini del giudizio a sua volta esaminando di sua iniziativa i documenti in quanto prodotti, cioè acquisiti al processo.

Con riferimento al giudice di appello, in mancanza di dimostrazione che con l’appello si fosse prospettata l’efficacia rappresentativa circa i fatti de quibus, è palese che deve escludersi che essi possano in questa sede essere prospettati come fatti del cui esame il giudice di appello abbia potuto omettere l’esame, ancorché quello stesso giudice avesse potuto d’ufficio, procedendo all’esame dei documenti, pur non fatti oggetto di attività di rilevazione della loro efficacia rappresentativa, farne rilevazione ed esaminarli.

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È questo che vogliono dire le Sezioni Unite quando prescrivono che il fatto (principale o secondario) debba essere stato oggetto di discussione: “L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 – 8054).

6. Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

Essi si risolvono in una diffusa ricostruzione del quadro giuridico emergente da varie fonti – testi normativi, Relazione tematica (n. 56 del 2020) dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, pronunce dei giudici di merito – cui far riferimento per dar risposta alla complessa questione degli effetti delle misure dettate dal legislatore in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 sui contratti di locazione commerciale in corso e in particolare alla domanda se, in che limiti e in che termini e secondo quali presupposti, al di là di specifiche pattuizioni contrattuali, il conduttore esercente una attività commerciale sospesa in attuazione di dette misure possa legittimamente: i) omettere ovvero sospendere il pagamento del canone locativo per il periodo durante il periodo di forzata chiusura al pubblica; i) chiedere (e ottenere) di rinegoziare il canone di locazione, divenuto non più sostenibile in una cornice di complessiva recessione economica a causa della verosimile forte contrazione delle entrate.

Difetta però totalmente una parte argomentativa che, connettendo tale ricostruzione con la sentenza oggetto di impugnazione, proponga una pertinente e specifica critica, riconducibile ai dedotti vizi cassatori, alle ragioni poste a fondamento della decisione.

Tanto più tale carenza argomentativa si rende evidente ove si consideri che anche la sentenza, come s’è detto, fa esplicito riferimento alle indicazioni rinvenienti dalla menzionata Relazione del Massimario n. 56 del 2020, ma ne ricava ragione di rigetto del gravame sulla base essenzialmente di considerazioni che, esclusa la predicabilità di una risoluzione per impossibilità sopravvenuta nonché di una eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., assegnano rilievo dirimente alla duplice circostanza che, da un lato, l’appellante non ha allegato né provato di aver chiesto una rinegoziazione del contratto per far fronte all’alterazione del sinallagma derivante dalla imposta chiusura dell’esercizio nei mesi del lockdown e, dall’altro, la morosità si protrasse fino a settembre 2020 (il pagamento dei canoni maturati in quel periodo, ben più ampio di quello del lockdown, essendo peraltro avvenuto solo l’anno dopo, nel maggio – giugno 2021, a seguito della pronuncia della sentenza di primo grado).

Con tali ragioni, invero, entrambi i motivi omettono di confrontarsi, il che esclude che in essi possa vedersi il necessario assolvimento dalla funzione propria di motivi di ricorso per cassazione.

Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore

occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.

In genere motivo di impugnazione e critica della decisione impugnata

In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741);

7. Per le considerazioni che precedono deve quindi pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.

8. Ne discende, ex art. 334, comma secondo, cod. proc. civ., l’inefficacia del ricorso incidentale, in quanto tardivo.

Lo stesso risulta, infatti, notificato a mezzo p.e.c. in data 20 settembre 2022, ben oltre la scadenza del termine breve per impugnare di sessanta giorni, ex art. 325 cod. proc. civ., decorrente dalla data di notificazione della sentenza (26 maggio 2022) e venuto, pertanto, a scadere il 25 luglio 2022.

9. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente principale al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Mette conto al riguardo precisare che la soccombenza è interamente ravvisabile in capo al ricorrente principale e non anche a carico del ricorrente incidentale, non potendo di contro rilevare la dichiarata perdita di efficacia del ricorso da questo proposto.

Con la perdita di efficacia, infatti, il ricorso incidentale tardivo diviene tamquam non esset e non viene preso in esame dalla Corte, non potendosi pertanto neppure in astratto predicare una soccombenza valorizzabile ai fini del regolamento delle spese.

In tal senso, questa Corte ha già chiarito che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. 20/02/2014, n. 4074; conf. Cass. 04/11/2014, n. 23469; Cass. 12/06/2018, n. 15220; Cass. 26/09/2018, n. 22799; Cass. 28/09/2018, n. 23443).

10. A tal riguardo mette conto precisare che le note depositate in data 4 dicembre 2023 dal difensore controricorrente si limitano a insistere nelle conclusioni già prese nel controricorso e non contengono alcuna ulteriore illustrazione delle ragioni già ivi esposte, di guisa che le stesse non possono considerarsi integrare una vera e propria memoria difensiva né costituire attività distinta dal controricorso, come tale rilevante ai fini del regolamento delle spese.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un

ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Condizioni invece, per le ragioni dette, non ravvisabili nei confronti del ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. 25/07/2017, n. 18348).

In genere motivo di impugnazione e critica della decisione impugnata

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale; inefficace quello incidentale.

Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali, liquidate in Euro 750,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

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