Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite
sentenza 16 febbraio 2015, n. 3020
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente Sezione
Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24227/2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 105/2013 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 18/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Nei confronti della decisione il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, illustrati con successiva memoria.
Con il secondo motivo, denunciando “violazione di legge ed in particolare dell’articolo 268 c.p.p. in relazione all’articolo 111 Cost., come 2. Inutilizzabilita’ delle intercettazioni per la mancata contestazione del contenuto delle stesse con violazione del principio del contraddittorio tra le parti del “processo”, si duole che non si sia proceduto nei suoi confronti alla tempestiva contestazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche – della cui esistenza era venuto a conoscenza solo all’inizio del 2012, dopo il deposito degli atti del procedimento disciplinare -, con violazione dell’articolo 268 c.p.p., applicabile al procedimento disciplinare.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto legati, non sono fondati, sulla base dei principi affermati da queste sezioni unite, cui la sentenza impugnata si e’ attenuta.
Secondo tale orientamento, “le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati, purche’ siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall’articolo 270 c.p.p., norma quest’ultima riferibile al solo procedimento penale deputato all’accertamento delle responsabilita’ penali dell’imputato o dell’indagato, sicche’ si giustificano limitazioni piu’ stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verita’ materiale” (Cass., sez. un., 12 febbraio 2013, n. 3271; Cass. sez. un., 24 giugno 2010, n. 15314).
“In ragione di tanto, e’ solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall’articolo 15 Cost., a tutela della liberta’ e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilita’ in concreto, e’ stato precisato che presupposto per l’utilizzo esterno delle intercettazioni e’ la legittimita’ delle stesse nell’ambito del procedimento in cui sono state disposte” (Cass., sez. un., 23 dicembre 2009 n. 27292, in mot.).
Nella specie, la circostanza che nell’ambito del relativo processo penale le intercettazioni in parola fossero state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali non risulta oggetto di adeguata contestazione ne’ con la prima ne’ con la seconda censura, in relazione alla quale e’ appena il caso di osservare che per il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati sono apprestate, con il Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, le specifiche garanzie della comunicazione all’incolpato dell’inizio del procedimento (articolo 15, commi 4 e 5) e la comunicazione di chiusura delle indagini (articolo 17).
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia “contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di numero di incarichi conferiti e di compensi erogati alla Dott.ssa (OMISSIS) in relazione al capo A) della rubrica”.
La censura in parte non e’ fondata ed in parte e’ inammissibile, atteso che per un verso nella motivazione della sentenza non e’ dato ravvisare i vizi ad essa addebitati, e per altro verso non e’ incentrata sul numero degli incarichi conferiti alla consulente.
Il giudice disciplinare, infatti, premesso che “dall’istruttoria compiuta dalla Procura Generale, dalle risultanze della discussione orale e dalla documentazione fornita dall’incolpato era emersa una serie di circostanze di fatto”, che venivano analiticamente elencate e descritte (numeri da 1 a 4 alle pagine 7 e 8 della sentenza), ha osservato che “il dato fattuale, cosi’ come contestato, e’ certo e provato e rileva disciplinarmente al di la’ dell’accertamento puntuale e preciso del numero degli incarichi, in relazione percentuale a quello degli incarichi affidati ad altri consulenti, ed indipendentemente dal riscontro dell’entita’ dei compensi e del loro rapporto con il valore delle singole controversie”. Vi era infatti la prova che la consulente aveva “ottenuto certamente un numero di incarichi superiore a quello degli altri ausiliari e con liquidazione di somme tendenzialmente superiori a quelle liquidate in favore di altri consulenti. E che l’origine della molteplicita’ degli incarichi fosse non l’elevata competenza della stessa, bensi’ il rapporto di amicizia nei confronti della Dott.ssa (OMISSIS) si desume non solo dalle intercettazioni ma anche dalla stessa ammissione dell’incolpato”.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia “mancanza ed illogicita’ della motivazione in punto di violazione dell’obbligo di astenersi nel procedimento nel quale era parte Luciana Poggi, di cui al capo B) dell’incolpazione. Violazione dell’articolo 51 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Il rilievo e’ privo di pregio, risolvendosi in valutazione dei fatti diversa dall’accertamento compiuto, anche in questo caso, in termini analitici (pagine 9 e 10), nella sentenza impugnata, la cui tenuta logica non e’ sottoposta ad adeguata censura.
Con il quinto motivo, denunciando “mancanza della motivazione ed in via subordinata illogicita’ manifesta della motivazione per relationem ordine alla gravita’ dei fatti ed alla misura della sanzione irrogata (un anno di perdita di anzianita’ con trasferimento d’ufficio)”, assume che il giudice avrebbe accolto acriticamente le valutazioni contenute in altro provvedimento senza neppure fornire un qualche apporto rielaborativo.
Il motivo non e’ fondato.
Questa Corte ha affermato che “e’ ammissibile la motivazione per relationem della sentenza emessa dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura attraverso il rinvio ad altri provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, purche’ la fonte richiamata sia identificabile ed accessibile alle parti”(Cass., sez. un., 12 luglio 2010, n. 16287).
Nella specie il Giudice disciplinare, con riguardo alle sanzioni, ha inflitto al magistrato la sanzione disciplinare della perdita di anzianita’ di anni uno e ne ha disposto il trasferimento di ufficio, e cio’ all’esito di una nuova valutazione (“cosi’ rivalutata l’intera vicenda”), ritenendo “che non sussistano ragioni effettive per discostarsi dalle argomentazioni poste a sostegno dell’entita’ della sanzione e della ulteriore “sanzione” del trasferimento d’ufficio del Dott. (OMISSIS) gia’ disposte con la precedente sentenza dell’11 maggio 2012″.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
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