Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 22 aprile 2015, n. 16810
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio S. – Presidente
Dott. PAOLONI Giacomo – rel. Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa in data 19/02/2013 della Corte di Appello di Caltanissetta;
esaminati gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1. Riuniti i procedimenti oggetto di due separati decreti di citazione a giudizio per il reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2 (l’uno relativo alla moglie separata (OMISSIS); l’altro relativo alla figlia minore (OMISSIS)), il Tribunale di Gela, con sentenza resa il 4.10.2010 all’esito di giudizio ordinario, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in pregiudizio della consorte separata e della figlia minorenne, avendo fatto mancare loro – dal luglio 2014 “in permanenza attuale” (e, quindi, fino alla data della sentenza)- il contributo mensile di euro 400 stabilito dal Tribunale di Gela con decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi. Per l’effetto al (OMISSIS) e’ stata inflitta la pena, in ragione del concorso formale ex articolo 81 c.p., comma 1, delle due separate condotte omissive, di sette mesi di reclusione ed euro 700 di multa con coeva condanna al risarcimento del danno in favore delle due parti civili, determinato in complessivi euro 15.000 (di cui euro 3.000 per la moglie separata ed euro 12.000 per la figlia minorenne).
2. Adita dall’impugnazione del (OMISSIS), la Corte di Appello di Caltanissetta con sentenza contumaciale del 19.2.2013 ha respinto il gravame e confermato la decisione di condanna di primo grado.
Nel condividere la ricostruzione e l’analisi degli eventi processuali operate dalla sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha – per un verso – ribadito la piena credibilita’ della persona offesa (OMISSIS), ancorche’ costituita parte civile (in proprio e per la figlia minore), perche’ avvalorata dalle concordi testimonianze della madre e della sorella della donna ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e del maresciallo CC (OMISSIS) (quanto all’attivita’ lavorativa svolta dall’imputato dopo l’abbandono del domicilio coniugale e un pressoche’ totale disinteresse per le sorti della moglie e della figlia di appena due anni). Per altro verso la stessa Corte nissena ha escluso la sussistenza di dati giustificativi della condotta del (OMISSIS) con particolare riguardo alla addotta mancanza di redditi (lavorativi o di altra natura) per far fronte al suo obbligo contributivo di coniuge separato e di padre, avendo la p.o. (OMISSIS) attendibilmente riferito di aver perfino visto le “buste paga percepite dal suo ex marito”, mostratele dal suocero (in dibattimento avvalsosi della facolta’ di non testimoniare), con il quale ha “mantenuto buoni rapporti”.
I giudici di appello hanno, infine, ritenuto di non poter ridurre la pena irrogata all’appellante, tenendo conto del lungo periodo in cui si e’ sviluppata la sua illecita condotta omissiva (oltre cinque anni).
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che ha dedotto i vizi di legittimita’ di seguito sintetizzati.
3.1. Erronea applicazione dell’articolo 570 c.p., comma 2, e contraddittorieta’ e illogicita’ manifesta della motivazione.
La Corte di Appello e in precedenza il Tribunale hanno sancito la responsabilita’ dell’imputato sulla base delle sole dichiarazioni accusatorie della moglie separata e della madre della stessa, tralasciando di valutare gli elementi favorevoli all’imputato e, primo fra tutti, l’addotto stato di incapacita’ economica per mancanza di un lavoro. Lo stesso maresciallo (OMISSIS) ha riferito che nel 2004/2005 l’imputato e’ stato licenziato dall’azienda in cui lavorava dopo un periodo di cassa integrazione e che in seguito non ha svolto stabili attivita’ lavorative. Cio’ non ha impedito al prevenuto di inviare in piu’ casi, quando ne ha avuto la possibilita’, delle somme di denaro alla moglie separata, come si desume dalle ricevute dei vaglia telegrafici versate in atti. Deve allora concludersi che vi e’ la “ragionevole certezza che l’imputato si sia trovato in una situazione di parziale incapacita’ economica che gli impediva di assolvere appieno alle obbligazioni pecuniarie” impostegli dal giudice civile.
3.2. Violazione del principio di correlazione di cui all’articolo 521 c.p.p..
L’accusa contestata all’imputato con i due originali decreti di citazione a giudizio e’ stata incentrata sulla mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza alla moglie e alla figlia. La sentenza impugnata ha confermato la condanna di primo grado, motivandola anche con la violazione degli obblighi di assistenza morale nei confronti della figlia minore (articolo 570 c.p., comma 1). Violazione che integra un fatto estraneo all’imputazione in palese elusione dei criteri di valutazione della prova dettati dall’articolo 192 c.p.p., comma 1. L’inottemperanza agli obblighi di assistenza morale avrebbe dovuto formare oggetto di specifica contestazione e di puntuale accertamento nel corso del dibattimento. Il che non e’ avvenuto, a tacere del fatto che e’ stata la (OMISSIS), trasferitasi da (OMISSIS) a (OMISSIS) con un nuovo compagno, ad impedire all’imputato di avere rapporti con la figlia minorenne.
3.3. Illogico diniego della sospensione condizionale della pena.
La Corte di Appello ha negato il beneficio al (OMISSIS), formulando nei suoi confronti una sfavorevole prognosi comportamentale desunta unicamente dal lungo lasso di tempo che avrebbe scandito la sua condotta penalmente rilevante, senza tenere conto della condizione di difficolta’ economica sofferta dall’imputato.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) va dichiarato inammissibile per indeducibilita’ e manifesta infondatezza dei motivi di censura.
4.1. Premesso che l’articolazione del ricorso si mostra generica per sostanziale carenza di specificita’ delle censure, replicanti le ragioni di doglianza gia’ rimesse all’esame della Corte di Appello (e, per vero, anche al giudice di primo grado), che le ha analizzate e disattese con corretti argomenti giuridici, contestati dal ricorso mediante una alternativa rilettura delle fonti di prova di segno meramente fattuale (di per se’ non consentita nel giudizio di legittimita’), destituiti di ogni fondamento vanno considerati i rilievi sull’addotta incapacita’ economica dell’imputato nel fronteggiare l’obbligo contributivo in favore della figlia e della moglie separata fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Affatto fuorviante e impropria e’, in vero, la lettura della sentenza di appello enunciata nel ricorso. La sentenza impugnata, al pari della sentenza del Tribunale, non ha fatto altro che applicare consolidati principi in tema di valutazione dello stato di impossibilita’ economica ad adempiere dell’imputato del reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, segnalando come competa all’imputato fornire compiuta dimostrazione della propria incapacita’ di adempiere l’obbligo contributivo giudiziale impostogli per assicurare i mezzi di sussistenza ai suoi prossimi congiunti. Incapacita’ enunciata dall’imputato, ma della cui storicita’ ovvero della cui non riconducibilita’ ad un suo colpevole contegno egli non ha offerto concrete prove (cfr., ex plurimis: Sez. 6, n. 7372 del 29.1.2013 S Rv 254515; Sez. 6, n. 23017 del 29.5.2014, P., Rv. 259955). Tutto cio’ in un ambito probatorio che appare escludere in radice la presunta totale mancanza di redditi lavorativi del ricorrente, emergendo dall’istruttoria dibattimentale come il (OMISSIS) abbia continuato quandoche’ per effetto di incarichi non stabili, a svolgere una durevole attivita’ di lavoro.
4.2. Nessuna discrasia logica e meno che mai la violazione del principio di correlazione e’ ravvisabile nelle valutazioni di merito espresse dalla Corte territoriale nissena. La sentenza impugnata non ha alterato lo spettro dell’accusa contestata all’imputato, come si ipotizza nell’odierno ricorso. La semplice lettura della sentenza di appello chiarisce come i giudici del gravame abbiano richiamato il contegno di disinteresse del (OMISSIS) per le sorti della figlia al solo scopo di puntualizzare l’intensita’ dell’elemento soggettivo (dolo) che ha sorretto, per lungo periodo di tempo, il comportamento “deliberatamente” omissivo del prevenuto nell’assolvere l’obbligo contributivo verso la moglie e la bambina, che era ed e’ rimasto l’unico oggetto della contestata accusa penale.
4.3. Indeducibile e’ la subordinata censura sulla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La motivazione al riguardo fornita dalla sentenza di appello e’ sufficiente, logica e immune da possibili rilievi nella odierna sede.
Merita soltanto aggiungere che la sentenza del Tribunale di Gela, che si’ integra con la sentenza di appello oggi impugnata dal (OMISSIS), ha precisato come costui abbia gia’ fruito una volta della sospensione condizionale e sia gravato da precedenti penali per fatti recenti della stessa specie di quelli ascrittigli nel presente processo.
Alla declaratoria di inammissibilita’ dell’impugnazione segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in misura di euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
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