cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 20 aprile 2015, n. 16338

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo – Presidente

Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza di 24/02/2014 della Corte di Appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Silvio Amoresano;

udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza di 24/02/2014 confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Verbania, resa il 13/11/2012, con la quale (OMISSIS) era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate prevalenti sulla contestata recidiva, applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, alla pena di mesi 8 di reclusione per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 1.

Premetteva la Corte territoriale che, a seguito di accertamenti della G.d.F., era stata rilevata la presenza nella documentazione contabile della societa’ (OMISSIS) s.r.l. di una fattura, datata 15/03/2007, emessa dall’ (OMISSIS) s.r.l. per un imponibile di euro 350.000,00 oltre iva per euro 70.000.

Dai successivi accertamenti presso l’anagrafe tributaria emergeva, pero’, che la Societa’ emittente non aveva posto in essere operazioni attive negli anni di imposta dal 2004 al 2007; l’amministratore della societa’ in questione, (OMISSIS), disconosceva la fattura in questione, confermando che in quel periodo non erano state emesse fatture di vendita.

Era stato, anzi, l’ (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS) l’importo di una fattura per lavori di sbancamento effettuati in favore dell’hotel.

Anche nella contabilita’ dell’ (OMISSIS) non risultava annotata alcuna fattura di vendita nei confronti di (OMISSIS).

Nel disattendere i motivi di appello, riteneva la Corte territoriale che dagli atti emergesse che la fattura di cui alla contestazione fosse relativa ad operazioni inesistenti.

Secondo la Corte territoriale gli accertamenti oggettivi della G.d.F. trovavano conferma nelle dichiarazioni, pienamente credibili, della (OMISSIS), e non risultavano smentiti dalla documentazione prodotta dalla difesa.

Ricorrevano, pertanto, tutti gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, del reato contestato, avendo l’imputato utilizzato una fattura per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto.

Essendo stata la pena applicata nel minimo, non vi era spazio alcuno per la riduzione del trattamento sanzionatorio.

2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore.

Dopo una premessa in fatto, denuncia la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., nonche’ l’erronea valutazione delle dichiarazioni fornite da (OMISSIS), soggetto interessato a fornire quella versione dei fatti e cioe’ a negare di aver venduto a (OMISSIS) s.r.l. il materiale inerte di cui alla fattura in contestazione.

Tale dichiarazione non poteva essere posta da sola a fondamento dell’affermazione di responsabilita’, avendo la (OMISSIS) interesse ad occultare un’eventuale propria irregolarita’, vale a dire l’omessa annotazione in contabilita’ e la conseguente violazione degli obblighi fiscali in relazione al prezzo incassato.

Peraltro, a conforto della tesi difensiva, erano stati acquisiti agli atti n. 26 effetti cambiari emessi dalla (OMISSIS) in favore dell’ (OMISSIS), girati a terzi, le cui sottoscrizioni di girata non erano state mai disconosciute dalla (OMISSIS); ne’ la predetta aveva negato di aver ricevuto titoli.

Il G.u.p. e la Corte di Appello dovevano, quindi, verificare rigorosamente la credibilita’ del dichiarante, proprio perche’ soggetto interessato a negare l’emissione della fattura. E dovevano tener conto della documentazione relativa al pagamento della fornitura di cui alla fattura asseritamente falsa.

Denuncia, inoltre, la illogicita’ della motivazione nella parte in cui si da per scontata, pur in assenza di qualsiasi indizio, l’inoperativita’ della societa’ (OMISSIS), non tenendosi conto che proprio l’omessa denuncia per quegli anni di componenti attivi di reddito poteva giustificare il disconoscimento della fattura.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ “in fatto” e manifestamente infondato.

2. E’ pacifico che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione. Allorche’, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass.sez. 1 n.8868 del 26.6.2000-Sangiorgi, Rv.216906; cfr.anche Cass.sez.un.n.6682 del 4.2.1992, Rv.191229; Cass.sez.2 n.11220 del 13.1.1997, Ambrosino, Rv.209145; Cass.sez.6 n.23248 del 7.2.2003, Zanotti, Rv. 225671; Cass.sez.6 n. 11878 del 20.1.2003, Vigevano, R.224079; Cass.sez. 3 n.44418 del 16.7.2013, Argentieri, Rv. 257595).

Ed e’ altrettanto pacifico (cfr. ex multis Cass. Sez. 6 n.35346 del 12.6.2008, Bonarrigo, Rv.241188) che se l’appellante “si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto gia’ adeguatamente esaminate e risolte dal primo giudice oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben puo’ motivare per relationem e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi senza farsi carico di argomentare sulla fallacia e inadeguatezza o non consistenza del motivi di impugnazione”, (cosi’ anche Cass. Sez. 6 n.49754 del 21.11.2012, Casulli, Rv.254102; Cass. sez. 6 n.28411 del 13.11.2012, Santapaolo, Rv.256435).

Anche piu’ di recente e’ stato ribadito che, nel giudizio di appello, e’ consentita la motivazione “per relationem” alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novita’ rispetto a quelle gia’ condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Cass. sez. 2 n.30838 del 19.3.2013, Autieri, Rv.257056).

3.Richiamando legittimamente per relationem la sentenza di primo grado, la Corte territoriale si e’ limitata ad argomentare in ordine ai rilievi specifici contenuti nell’atto di impugnazione.

I Giudici di merito non hanno certo fondato l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato sulle sole dichiarazioni della (OMISSIS).

Hanno evidenziato, infatti, che dagli accertamenti effettuati dalla G.d.F. era emerso che la societa’ (OMISSIS) s.r.l. negli anni dal 2004 al 2007 non aveva mai realizzato operazioni attive e tanto era confermato dalla mancanza di annotazione in contabilita’ di fatture (e quindi anche di quella apparentemente emessa in favore della (OMISSIS) s.r.l.).

Le dichiarazioni della (OMISSIS), la quale disconosceva la fattura di cui all’imputazione, costituivano, quindi, soltanto il riscontro agli accertamenti oggettivi della G.d.F..

Non e’ esatto poi che i Giudici di merito non abbiano verificato la attendibilita’ delle dichiarazioni della (OMISSIS).

Nell’esaminare la documentazione prodotta dalla difesa ed in particolare gli assegni, ha rilevato la Corte territoriale che la sottoscrizione di girata sui titoli di credito (in copia, non essendo stati mai prodotti gli originali) era molto simile a quella apposta in calce all’offerta del 19/9/2006 (sottoscrizione questa espressamente disconosciuta dalla (OMISSIS)); che dalla proposta il pagamento era previsto a 90 giorni, mentre la data di scadenza dei titoli era anteriore all’emissione della fattura e, comunque, alla scadenza contrattualmente prevista; che la (OMISSIS), contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, non aveva mai ammesso il pagamento in suo favore delle somme portate dagli effetti cambiari.

Ha, inoltre, sottolineato la Corte territoriale che la (OMISSIS) non aveva alcun interesse a rendere mendaci dichiarazioni, in quanto, non essendo la societa’ operativa, non vi era alcuna necessita’ di occultare redditi; ne’ erano emerse altre fatture non registrate.

Per contro l’imputato non aveva fornito alcun elemento per dimostrare l’effettivita’ della operazione di cui alla fattura (anche attraverso prove dichiarative) ed aveva interesse a far figurare elementi passivi fittizi di rilevante importo.

4. Il ricorrente da un lato, senza censurare specificamente siffatta motivazione, ripropone i medesimi rilievi, gia’ disattesi dalla Corte territoriale, e, dall’altro, richiede sostanzialmente una rivisitazione delle risultanze processuali.

Non tiene conto pero’ che il controllo demandato alla Corte di legittimita’ va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilita’ di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), con la Legge n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimita’: la possibilita’ di desumere la mancanza, contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006). Anche di fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimita’; e’ solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati. Tale controllo, pero’, non puo’ “mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito” (Cass.pen.sez.2 n.23419/2007 – Vignaroli; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).

Peraltro, nel censurare la illogicita’ o mancanza di motivazione su specifici rilievi contenuti nell’atto di appello, non considera che la Corte territoriale ha, al contrario, esaminato la questione del mancato disconoscimento delle firme di girata sui titoli, evidenziando che “le copie delle cambiali non erano state ancora acquisite agli atti nel momento in cui la teste e’ stata sentita” (pag. 4 sent).

Del resto, nelle dichiarazioni della (OMISSIS), allegate al ricorso, non viene fatto il minimo accenno a siffatti titoli (non essendo stati mostrati alla teste), per cui non si vede come la stessa avrebbe potuto disconoscere la firma di girata.

Quanto alla non operativita’ della societa’ in quel periodo, ha rilevato la Corte che non era stata trovata in contabilita’ alcuna fattura.

5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.

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