cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 12 maggio 2015, n. 19519

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 02/04/2013 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Aldo Aceto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Izzo Gioacchino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre per l’annullamento della sentenza del 02/04/2013 con la quale la Corte di appello di Napoli ha respinto il gravame da lui interposto avverso la sentenza del 22/12/2008 del Tribunale di quella stessa citta’ che lo aveva dichiarato responsabile del reato di cui alla Legge 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 4, comma 49, e lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), violazione degli articoli 516, 520, 521 e 522 c.p.p., per essere stato condannato per un fatto diverso da quello oggetto di contestazione.

Deduce al riguardo che il fatto accertato in sentenza, relativo alla fase di esportazione verso gli Stati Uniti di prodotti realmente confezionati in Italia, e’ del tutto diverso da quello contestato (importazione dalla Cina, a fine di vendita e/o commercio, di prodotti recanti l’etichetta “Italian Tornato Paste” e “product of Italy”).

1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), carenza ed illogicita’ della motivazione della sentenza che ha apoditticamente e semplicisticamente ritenuto non attendibile la testimonianza del responsabile della produzione dell’impresa che aveva attribuito ad un errore nella fase di lavorazione l’apposizione delle etichette indicate al capoverso che precede al posto di quelle recanti la dicitura “Packeted in Italy”.

Deduce al riguardo come la procedura di importazione temporanea finalizzata alla riesportazione comporta severissime procedure di controllo quanti-qualitative dei prodotti che rendono del tutto plausibile la tesi dell’errore, sopratutto alla luce del numero di barattoli coinvolti (108.000).

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso e’ fondato.

3. L’imputato era stato tratto a giudizio per rispondere del seguente fatto: “del reato p. e p. dalla Legge 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 4, comma 49, in relazione all’articolo 517 c.p., perche’ quale titolare e legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) Srl (…) al fine di porti in vendita e/o farne altrimenti commercio, importava dalla Cina 108.000 barattoli di concentrato di pomodoro ivi prodotto per un peso complessivo netto di kg. 17.080 recanti in etichetta le scritte “Italian Tomato Paste” e “Product of Italy” affiancata dalla fascia tricolore. Indicazioni idonee a indurre in inganno il compratore circa l’origine, la provenienza o la qualita’ del prodotto. Accertato in (OMISSIS), data del sequestro”.

3.1. Si legge, nella sentenza di primo grado, che la societa’ dell’imputato aveva temporaneamente importato dalla Cina doppio concentrato di pomodoro che, previa lavorazione, consistente nella diluizione con semplice concentrato di pomodoro, era stato inscatolato e avviato all’esportazione negli Stati Uniti d’America previa apposizione sui barattoli delle etichette indicate in rubrica.

3.2.L’imputato si era difeso eccependo la diversita’ del fatto contestato (importazione) rispetto a quello oggetto del processo (esportazione) e deducendo, attraverso la testimonianza del responsabile di produzione, la tesi dell’errore, desumibile dal fatto che, trattandosi di beni lavorati in regime di importazione temporanea e dunque soggetti a sicuri controlli doganali in fase di riesportazione (controlli puntualmente verificatisi, del resto), sarebbe stato illogico tenere volontariamente la condotta fraudolenta ascrittagli. In realta’, aveva affermato il testimone della difesa, i barattoli avrebbero dovuto essere etichettati con la scritta “Packeted in Italy” ma per un suo errore di segnalazione al magazziniere erano stati etichettati nel modo poi accertato.

3.3. Il Giudice di primo grado, ritenuta generica e non credibile la tesi difensiva della “svista” (alla luce del numero dei barattoli), aveva escluso che il fatto accertato fosse diverso da quello contestato sul rilievo che la condotta era in ogni caso finalizzata alla successiva vendita e/o commercio dei barattoli.

3.4. La Corte di appello ha respinto le eccezioni difensive osservando che comunque la diversita’ del fatto non aveva impedito all’imputato di difendersi nel merito dell’accusa e ha condiviso il giudizio di inattendibilita’ del testimone a discarico.

4. Non v’e’ dubbio che la condotta ascritta all’imputato (l’importazione di prodotti provenienti dalla Cina) e’ radicalmente e strutturalmente diversa da quella oggetto di condanna (l’esportazione verso gli Stati Uniti di prodotti lavorati ma non prodotti in Italia).

4.1. Cosi’ come contestata, infatti, la rubrica esaurisce in se’ la descrizione dell’illecito, definendo automaticamente i contorni dell’accusa che imputa al ricorrente la commercializzazione di un alimento descritto come prodotto in Italia ed in realta’ importato dalla Cina.

4.2. Il fatto oggetto di condanna, invece, e’ completamente diverso poiche’ sposta il cuore dell’accusa dalla pura a semplice importazione del prodotto, di per se’ lecita, alla fase successiva della sua lavorazione ed etichettatura. La valutazione di illiceita’ della condotta deriva proprio dalla fraudolenta etichettatura del prodotto, che, come detto, e’ successiva all’importazione.

4.3. Diversamente dal primo Giudice, di tanto e’ consapevole la Corte di appello che, in linea con l’insegnamento di questa Suprema Corte, ha affermato che tale diversita’ non ha in ogni caso comportato alcuna conseguenza perche’ l’imputato ha potuto articolare le proprie difese proprio su questo specifico punto (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).

4.4. Sennonche’, proprio la centralita’ della (diversa) condotta relativa alla fase dell’etichettatura comportava la necessita’ di un piu’ rigoroso esame della tesi difensiva, inequivocabilmente supportata dalla franca assunzione di responsabilita’ da parte dell’addetto alla produzione ma ritenuta non plausibile sol perche’ dipendente dell’imputato ed in considerazione dell’elevato numero dei barattoli etichettati e, quindi, della grossolanita’ dell’errore facilmente verificabile.

4.5. Non un cenno, pero’, viene dedicato al tema difensivo relativo ai controlli doganali in esportazione, tema che, benche’ proposto in primo grado e reiterato con l’atto di appello, assume un ruolo centrale proprio a causa dello “spostamento” del fuoco dell’accusa dalla fase dell’importazione del prodotto a quella preparatoria della successiva esportazione.

4.6. Tanto piu’ che il giudizio di non credibilita’ dell’errore, definito grossolano in considerazione dell’elevato numero dei barattoli, sconta proprio il mancato confronto con questo specifico argomento difensivo che fa leva su tale numero per sostenere la ben piu’ elevata probabilita’ del controllo del prodotto all’esportazione.

4.7. Sicche’ lo stesso dato numerico puo’ assumere una diversa valenza a seconda che lo si analizzi in termini assoluti (grossolanita’ dell’errore), oppure lo si valuti alla luce della specifica dinamica del fatto oggetto di giudizio (aumento del rischio di controlli doganali).

4.8. Ne’ pare dirimente l’argomento che il responsabile della produzione fosse un dipendente dell’imputato, perche’ tale ragionamento sottende un giudizio di aprioristica inattendibilita’ (se non proprio di falsita’) del testimone che non puo’ essere ammesso.

4.9. Come costantemente affermato da questa Corte di legittimita’, infatti, “in tema di valutazione della prova, e con specifico riguardo alla prova testimoniale, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilita’, il contenuto della testimonianza, non e’ pero’ certamente tenuto ad assumere come base del proprio ragionamento l’ipotesi che il teste dica scientemente il falso o si inganni su cio’ che forma l’oggetto essenziale della propria deposizione, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. Cio’ significa che, in assenza di siffatti elementi, il giudice deve partire invece dal presupposto che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve percio’ limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilita’ fra quello che il teste riporta come certamente vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre eventuali fonti probatorie di pari valenza. La detta incompatibilita’, inoltre, deve essere ravvisata solo quando essa incida sull’elemento essenziale della deposizione, e non su elementi di contorno relativamente ai quali appaia ragionevolmente prospettabile l’ipotesi che il teste sia caduto in errore di percezione o di ricordo, senza per cio’ perdere di obiettiva credibilita’ per cio’ che attiene l’elemento centrale” (Sez. 1, n. 3754 del 13/03/1992, Di Leonardo, Rv. 189725, nonche’, da ultimo, Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104).

4.10. La realta’ e’ che, a fronte dell’iniziale contestazione (che, come detto, esauriva nella descrizione della condotta la sua portata incriminatrice), l’accusa “reale” mostra un’evidente lacuna probatoria della quale non puo’ farsi carico l’imputato, pur se ha addotto le proprie difese.

4.11. In primo grado, infatti, era stato assunto come testimone del PM il solo funzionario della dogana che non aveva potuto riferire nulla di diverso da quanto il canovaccio accusatorio proponeva: l’aver accertato, in sede di controllo, la presenza dei barattoli indicati nella rubrica. L’imputato aveva opposto la tesi dell’errore.

Non e’ mai stato sentito pero’ il magazziniere (pur indicato dal responsabile della produzione come destinatario del suo ordine sbagliato), ne’ risulta sia stata acquisita (o comunque vagliata) la documentazione relativa all’esportazione dei barattoli.

4.12. Il comportamento processuale dell’imputato che comunque si difende dall’accusa se puo’ valere a superare l’eccezione di nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 521 c.p.p., non esime coerentemente il Giudice di merito, che quell’eccezione respinga proprio sul rilievo del disimpegno difensivo sul fatto diverso, dall’utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione (anche istruttori) che si rendano necessari a riequilibrare le carenze che derivino all’imputato dall’aver dovuto prendere posizione su un fatto rivelatosi pero’ decisamente diverso da come contestato.

4.13. Su tali fatti la difesa deve essere completa ed effettiva poiche’ altrimenti rischia di trasformarsi in un formale orpello contraddittoriamente utilizzato solo per disattendere una fondata eccezione di nullita’ il cui accoglimento avrebbe consentito all’imputato di articolare le proprie difese in modo piu’ coerente con il tenore reale dell’accusa.

4.14. In questi casi, percio’, il giudizio di inattendibilita’ della tesi difensiva presuppone l’effettiva completezza delle relative prove e impedisce, in caso contrario, che tale giudizio poggi soltanto su considerazioni verificabili con specifici accertamenti e non verificate.

4.15. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

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