Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 12 maggio 2015, n. 19570

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARASCA Gennaro – Presidente

Dott. BEVERE Antonio – Consigliere

Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere

Dott. SAVANI Piero – Consigliere

Dott. PALLA Stefan – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2595/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del 24/01/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO PALLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E. Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

FATTO E DIRITTO

(OMISSIS) ricorre avverso la sentenza 24.1.14 della Corte di appello di Genova che ha confermato quella in data 24.9.08 del locale tribunale con la quale e’ stato condannato, concesse attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, relativi al fallimento della (OMISSIS) s.r.l., dichiarato in data 13.7.06, societa’ di cui il (OMISSIS) era amministratore unico ed avente come oggetto sociale la commercializzazione di preziosi e oggetti d’arte.

Deduce il ricorrente, con il primo motivo, violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per non avere i giudici considerato che era emerso dalla relazione del curatore fallimentare e dalle dichiarazioni del fallito acquisite dal curatore che l’imputato aveva consegnato a tale (OMISSIS) ovvero a societa’ al medesimo riconducibili di fatto ed operanti anch’esse nel settore della vendita di preziosi, il magazzino della (OMISSIS) “e cio’ al fine di estinguere i debiti con i creditori di quest’ultima”.

Era pero’ rimasto incerto se cio’ fosse avvenuto in virtu’ di contratto di affitto di azienda o sulla base di altro schema contrattuale, ma era certo – sostiene il ricorrente – che la cessione non era avvenuta senza contropartita economica, tanto che nella sentenza del Tribunale di Genova a carico del (OMISSIS) si dava atto di 45.000,00 euro pagati da quest’ultimo ai creditori del (OMISSIS), a conferma dell’esistenza di un patto di remunerazione a favore della s.r.l. (OMISSIS).

Aveva quindi errato la Corte genovese nell’equiparare l’omesso approntamento di idoneo contratto a supporto di detta cessione, ovvero la mancata costituzione di idonee garanzie di pagamento del prezzo, con le condotte di distrazione o di dolosa dissipazione, per cui, al piu’, la condotta dell’imputato poteva farsi rientrare sotto la previsione di cui alla L.F., articolo 217, comma 1, n. 2, che sanziona la manifesta imprudenza dell’imprenditore, anche perche’ l’imputato aveva tentato di formalizzare il rapporto negoziale predisponendo un accordo scritto il 15.5.04 ed un inventario in cui erano indicati i beni trasferiti.

Quanto all’atteggiamento confessorio del (OMISSIS), questi aveva semplicemente ammesso di non essere in grado di fornire una giustificazione alla fiducia impropriamente riconosciuta al “faccendiere” (OMISSIS), mentre in ordine all’addebito di bancarotta fraudolenta documentale – si deduce con il secondo motivo – la motivazione dei giudici di appello era per relationem alla decisione del tribunale, ma il fatto era insussistente poiche’ il libro giornale e quello degli inventari, nonche’ i bilanci per gli esercizi 2004 e 2005, non erano stati aggiornati in quanto dall’aprile del 2004 la societa’ aveva cessato ogni attivita’, con il trasferimento dei beni al (OMISSIS), mentre i bilanci per gli esercizi precedenti erano disponibili.

Poteva quindi al piu’ configurarsi – conclude il ricorrente – il meno grave reato di cui alla L.F., articolo 217, anche perche’ non era nella specie rinvenibile l’elemento soggettivo, in quanto se pure era sufficiente il dolo generico, era tuttavia necessario che esso si atteggiasse quale dolo intenzionale, finalizzato a rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari dell’impresa fallita.

Osserva la Corte che il ricorso non e’ fondato.

La riduttiva ricostruzione degli accadimenti proposta dal ricorrente, oltre ad essere sostanzialmente reiterativa delle doglianze gia’ prospettate con l’atto di appello e compiutamente disattese dai giudici di secondo grado, non tiene conto delle inequivoche risultanze processuali che sono a fondamento del giudizio di colpevolezza del (OMISSIS) per le ipotesi di bancarotta addebitategli.

E’ infatti rimasto incontestabilmente accertato – secondo quanto rimarcato dai giudici genovesi -che il curatore fallimentare, per quanto in questa sede interessa, non ha reperito alcun bene in sede di inventario, ne’ somme all’attivo della fallita, mentre l’imputato non risulta aver tenuto i bilanci degli anni 2004 e 2005, ne’ le scritture e i libri contabili, per stessa ammissione del (OMISSIS), in una con la scarsa attendibilita’ delle movimentazioni e delle consistenze di magazzino, come pure della movimentazione del conto cassa, inattendibile secondo le risultanze della relazione peritale e comunque non piu’ tenuta dal 31.12.04 fino alla dichiarazione di fallimento, senza che inoltre vi sia stata traccia alcuna della somma di euro 38.816,08 costituente la consistenza di cassa al 31.12.04.

Poiche’ la (OMISSIS) sin dal settembre del 2003 versava in sostanziale stato di insolvenza, non essendo piu’ in grado di corrispondere il canone per l’affitto di azienda ne’ di pagare i fornitori, (OMISSIS) nell’aprile del 2004, chiuso di fatto il negozio di (OMISSIS), aveva “trasferito” – come e’ risultato incontestabilmente provato – gioielli e merce della (OMISSIS) presso la societa’ (OMISSIS), di (OMISSIS), riconducibile al (OMISSIS), senza alcuna fatturazione e senza che l’imputato – hanno sottolineato i giudici di merito – sia stato in condizione di produrre neanche un inventario al riguardo.

Tale condotta del tutto correttamente e’ stata ritenuta integrare glie stremi del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, avendo in tal modo il (OMISSIS) consegnato merce per un ingente valore (euro 248.192,00) al (OMISSIS) senza alcun contratto scritto e senza alcuna forma di garanzia, non per semplice negligenza, ma volontariamente e consapevolmente disperdendo cosi’, in una situazione di conclamata crisi finanziaria della societa’, l’intero patrimonio della (OMISSIS) impedendo ai creditori di rivelarsi su di esso.

In parallelo, secondo anche le considerazioni sopra svolte, vi e’ stato – come perspicuamente sottolineato ancora dalla Corte ligure nell’evidenziare la macroscopicita’ e gravita’ delle irregolarita’ contabili indicate dal curatore – la tenuta delle scritture contabili consonante all’atteggiamento, non certo meramente negligente, dell’imputato, il quale ha reso volontariamente impossibile la ricostruzione dei movimenti di denaro e delle relative causali proprio e in maggior misura nel momento in cui veniva ad attuarsi il trasferimento del consistente patrimonio della fallita in favore del (OMISSIS), in base a semplici accordi verbali, e senza alcuna forma di garanzia, che avevano consentito la dispersione di un patrimonio societario di circa 300.000 euro.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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