Mandato d’arresto europeo per la cittadina rumena che si è stabilita, strumentalmente, in Italia, dove ha iscritto a scuola la figlia, solo pochi mesi dopo l’inizio del processo a suo carico in Romania
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 5 gennaio 2017, n. 520
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata il (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa in data 28/10/2016 dalla Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Di Leo Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28/10/2016 la Corte di appello di Torino ha disposto la consegna di (OMISSIS) all’A.G. della Romania in base a M.A.E. n. 9/2016 emesso in data 6/7/2016 dal Tribunale di Mehedinti per l’esecuzione di condanna alla pena di anni sei mesi quattro di reclusione, inflitta alla (OMISSIS) dal Tribunale di Mehedinti il 24/7/2015 per i reati di associazione per delinquere, falsificazione e utilizzo di documenti contraffatti e truffa, passata in giudicato il 29/6/2016.
La Corte ha in particolare escluso che ricorressero i motivi di rifiuto di consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera h) e r).
2. Ha proposto ricorso la (OMISSIS) tramite il proprio difensore.
2.1. Con i due motivi di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera r), nonche’ in relazione all’articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e).
La Corte territoriale aveva violato il disposto della L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera r), come interpretato alla luce della sentenza n. 227 del 2010 della Corte costituzionale, alla cui stregua deve essere rifiutata la consegna di cittadino di Paese membro dell’UE che abbia la residenza o la stabile dimora in Italia.
Era stata prodotta ampia documentazione (carta di identita’, codice fiscale, contratto di locazione, carta di identita’ del marito e delle figlie minori, tessera sanitaria e dichiarazione di scelta del medico, contratto di lavoro a tempo determinato con societa’ avente sede a Milano), attestante la stabilita’ del legame col territorio italiano sulla base di tutti gli indici disponibili, rappresentativi della seria intenzione della ricorrente di rimanere in modo stabile e continuativo in Italia.
Era da aggiungere che la figlia piu’ piccola era stata iscritta alla scuola primaria (OMISSIS), mentre la figlia sedicenne frequentava uno stage presso parrucchieri della zona.
Negare il requisito della stabile dimora avrebbe voluto dire vanificare la norma.
Correlativamente era erronea la motivazione con la quale si era segnalata la brevita’ del periodo di soggiorno in Italia, pur essendosi dato atto che la stessa consegnanda aveva dichiarato di essere giunta in Itallanel settembre 2015, dovendosi peraltro aggiungere che la (OMISSIS) era presente dal 2014.
La Corte aveva comunque posto in luce che la (OMISSIS) aveva contratto di locazione registrato il (OMISSIS), non comprendendosi come potesse difettare il requisito della residenza o della dimora stabile, anche alla luce dell’ulteriore documentazione e del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
2.2. La ricorrente rimette inoltre alla Corte di cassazione il controllo sulle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale sotto il profilo della compiutezza e correttezza logica, in ordine all’esclusione del rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, derivante dalla situazione delle carceri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Deve osservarsi che e’ generico e come tale inammissibile il motivo con cui si sollecita la Corte di cassazione a rivalutare il tema riguardante il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, non essendo al riguardo formulate censure specifiche a fronte delle argomentazioni utilizzate sul punto dalla Corte di appello di Torino alla luce delle informazioni acquisite.
Ne’ vale in senso contrario la circostanza che spetti alla Corte di cassazione anche una valutazione nel merito, giacche’ cio’ implica che sia comunque formulato uno specifico motivo di impugnazione.
3. Relativamente al motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera r), deve premettersi che alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 2010 la norma si applica anche ai cittadini di Paesi dell’UE che risultino residenti o stabilmente dimoranti in Italia.
3.1. La Corte costituzionale, per trarne una linea-guida ai fini dell’interpretazione della nozione di residenza e di stabile dimora, ha in particolare richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea n. 66/08 del 17/7/2008, Kozlowski, dalla quale risulta che per residenza deve intendersi la residenza effettiva nello Stato di esecuzione e per dimora un soggiorno stabile di una certa durata che consenta di acquisire con lo Stato di esecuzione legami di intensita’ pari a quelli che si instaurano in caso di residenza. La stessa sentenza Kozlowski ha altresi’ segnalato la necessita’ di una valutazione complessiva degli elementi oggettivi che caratterizzano la situazione del ricercato, in relazione alla durata, alla natura e alle modalita’ del suo soggiorno, nonche’ ai legami familiari ed economici che ha stabilito nello Stato dell’esecuzione, sottolineando ancora l’esigenza che il giudice valuti anche l’esistenza di un interesse legittimo del condannato a che la pena sia scontata in quello Stato, fermo restando che tra le circostanza valutabili, rientrano una dimora non ininterrotta ovvero il mancato rispetto delle norme in materia di ingresso e soggiorno nello Stato dell’esecuzione.
Tali indicazioni sono state valorizzate dalla Corte di cassazione per delineare il proprio ormai costante orientamento interpretativo, alla cui stregua “in tema di mandato di arresto europeo, la nozione di “residenza” rilevante – dopo la sentenza n. 227 del 2010 della Corte costituzionale – ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione, ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 18, lettera r), presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalita’ della sua presenza in Italia, dall’apprezzabile continuita’ temporale e stabilita’ della stessa, dalla distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, dalla fissazione in Italia della sede principale (anche se non esclusiva) e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di “dimora”, rilevante ai medesimi fini, si identifica con un soggiorno nello Stato stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l’acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza” (Cass. Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014, Batanas, rv. 261375; Cass. Sez. 6, n. 9767 del 26/2/2014, Echim, rv. 259118; Cass. Sez. 6, n. 46494 del 20/11/2013, Chiriac, rv. 258414).
A ben guardare, la circostanza che debba ritenersi rilevante anche la distanza temporale della condanna dalla fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi e familiari, e’ da ricollegarsi all’esigenza che il radicamento in Italia possa considerarsi il risultato di una scelta incondizionata, svincolata dalle sorti del processo celebrato nel Paese di origine e dunque non implicante la volonta’ di agire secundum eventum litis.
3.2. Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha sottolineato che la (OMISSIS) aveva attestato un periodo troppo breve di permanenza in Italia, perche’ potesse ravvisarsi il requisito della residenza o stabile dimora in Italia.
A tal fine ha considerato la documentazione prodotta e in concreto ha rilevato che la (OMISSIS) si era trasferita in Italia da pochi mesi e comunque dopo la pronuncia della sentenza di condanna da parte del Tribunale di Mehedinti, essendo dunque irrilevante l’iscrizione scolastica della figlia per l’anno 2016/2017 e la produzione di buste paga a partire da gennaio 2016 per lavoro svolto presso una societa’ di connazionali, con il marito tuttavia occupato solo “in nero”: tale quadro e’ stato ricondotto all’intento della (OMISSIS) di sottrarsi all’esecuzione della pena in Romania, avendo per questo deciso di raggiungere l’Italia trasferendovi anche i familiari.
3.3. Si tratta di valutazioni che tengono conto dei principi sopra ricordati.
Infatti la (OMISSIS) (al di la’ di quanto assertivamente prospettato circa la presenza fin dal 2014) ha dichiarato di essere giunta in Italia nel settembre 2015, cioe’ dopo la pronuncia della condanna a suo carico da parte del Tribunale di Mehedinti.
Risulta d’altro canto che la registrazione del contratto di locazione relativo all’attuale abitazione risale al 5/7/2016, cioe’ al giorno che ha preceduto quello di emissione del M.A.E..
Inoltre la richiesta di iscrizione anagrafica e’ del 6/8/2016.
Va aggiunto che precedenti segnali della presenza della (OMISSIS) in Italia (in particolare a (OMISSIS)) riguardano esclusivamente costei e non l’intero nucleo familiare: risulta a questo riguardo solo la recente iscrizione della figlia minore all’anno scolastico 2016/2017, essendosi poi assertivamente prospettata la frequentazione di uno stage da parte dell’altra figlia minore e essendo fatto riferimento al lavoro “in nero” del marito.
Tali elementi non evidenziano un effettivo e stabile radicamento della (OMISSIS) in Italia, implicante una scelta di vita incondizionata con sostanziale rescissione, parimenti datata, dei legami con il Paese di origine: al contrario risulta aver avuto un’influenza determinante proprio il processo celebrato in Romania a carico della ricorrente, conclusosi con la sua condanna ad una pena non esigua, a seguito della quale costei risulta aver rotto gli indugi, cercando di trovare in Italia un centro di interessi per spostare qui l’intero nucleo familiare.
E’ dunque lo stretto collegamento con il processo a risultare determinante per ridimensionare il significato della presenza della (OMISSIS) in Italia, comunque non protrattasi per un periodo di tempo cosi’ lungo da potersi ormai considerare come un dato consolidato e ormai svincolato dall’intento originario.
4. In tale ottica dunque le censure formulate risultano infondate, con la conseguenza che il ricorso deve essere respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5
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