cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 4 aprile 2016, n. 6430

Fatto e diritto

È stata depositata in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:
“1. Con il decreto di cui in epigrafe, il Tribunale di Palermo ha rigettato le istanze di liquidazione dei compensi finali richiesti dagli avv. T.F. e D.V.G. per l’attività professionale prestata in qualità rispettivamente di curatore e coadiutore del curatore del fallimento dell’A. e G. S.n.c. e dei soci G.F. , D.T. , C.P. , G.P. ed G.A. ,
2. Avverso il predetto decreto l’avv. T. ha proposto ricorso per cassaziane, articolato in cinque motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.
3. A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha dedotto:
a) la nullità del decreto impugnato per violazione del principio del contraddittorio, affermando di non aver avuto notizia dell’istruttoria relativa alle due istanze, del parere reso dal curatore e della relazione svolta dal Giudice delegato, ed aggiungendo che al procedimento non hanno partecipato né l’avv. B.V. , al quale egli era subentrato nelle funzioni di curatore, né l’avv. R.P. , nominato in sostituzione di esso ricorrente;
b) l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel ritenere satisfattivo l’importo degli acconti precedentemente liquidati, il decreto impugnato ha omesso d’indicare i criteri seguiti per la liquidazione e di spiegare le ragioni per cui si è discostato dalle percentuali dovute in relazione all’attivo realizzato, nonché di motivare in ordine alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa ed all’inferiorità degli acconti complessivamente liquidati rispetto al compenso accordato al precedente curatore, che aveva realizzato un attivo notevolmente inferiore;
c) l’erroneità dell’imputazione ad esso ricorrente del compenso dovuto al coadiutore, che avrebbe dovuto essere invece liquidato in via autonoma, in considerazione della natura integrativa dell’opera dallo stesso prestata in qualità di ausiliario del giudice e dell’onerosità della gestione del fallimento;
d) la violazione e l’errata applicazione dell’art. 39 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e del d.m. 27 luglio 1992, n. 570, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto congrui gli acconti liquidati in precedenza, in relazione all’attivo realizzato fino alla cessazione dell’incarico ed al passivo accertato, senza tener conto dell’impegno da lui profuso, che aveva condotto alla realizzazione di gran parte dell’attivo, in tal modo consentendo di soddisfare quasi integralmente i creditori;
e) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 n. 2 del d.m. n. 570 del 1992, sostenendo che, nell’escludere la spettanza di ulteriori importi a titolo di saldo, il Tribunale non ha considerato che in occasione della liquidazione degli acconti non era stato riconosciuto il rimborso forfettario previsto dalla predetta disposizione.
4. – Si osserva al riguardo che il ricorrente, nominato curatore del fallimento della A. e G. S.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili in sostituzione dell’avv. B.V. , che aveva rinunciato all’incarico, è stato revocato con decreto dell’8 marzo 2007, e sostituito dall’avv. R.P. , attuale curatore. A seguito della revoca, egli ha depositato il rendiconto della propria gestione ed ha chiesto la liquidazione del saldo. Tale domanda è stata rigettata con il decreto impugnato, nel quale il Tribunale ha dato atto della precedente liquidazione di acconti in favore dell’avv. B. , dello avv. T. e dell’avv. D.V. , nominato a sua volta coadiutore, ritenendoli esaustivi dei compensi dovuti a ciascuno dei professionisti, ed escludendo pertanto la possibilità di riconoscere ulteriori importi all’istante. L’assenza di qualsiasi rinvio a futuri provvedimenti evidenzia la natura definitiva della decisione, ulteriormente comprovata dalla commisurazione dell’importo complessivamente dovuto all’attivo realizzato fino al momento della revoca ed al passivo accertato, nonché dal carattere globale della valutazione compiuta dal Tribunale, avente riguardo alla durata dei rispettivi incarichi ed ai risultati conseguiti da ciascun professionista. Il ricorso per cassazione, proposto ai sensi dell’art. 111 Cost., deve considerarsi pertanto ammissibile, in quanto avente ad oggetto un provvedimento idoneo ad incidere sul diritto del ricorrente al compenso e non impugnabile con altri mezzi, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la questione concernente la possibilità di procedere alla liquidazione in epoca anteriore alla chiusura del fallimento, la quale non incide sul carattere decisorio e definitivo del decreto, ma esclusivamente sulla sua legittimità.
In ordine a quest’ultimo aspetto, occorre invece rilevare che l’opera prestata dal ricorrente si riferisce ad una procedura fallimentare apertasi in data anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 150 del medesimo decreto, la determinazione del compenso resta assoggettata alla disciplina dettata dall’art. 39 della legge fall., nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dallo art. 37 del d.lgs. n. 5 cit., il quale, nel subordinare la liquidazione all’approvazione del rendiconto, attribuiva al tribunale la facoltà di accordare al curatore acconti per giustificati motivi, senza nulla prevedere per l’ipotesi di successione di più curatori nella carica. In riferimento a tale fattispecie, le Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato il principio secondo cui la liquidazione del compenso non è automaticamente collegata all’ammontare dell’attivo realizzato ed a quello del passivo accertato al momento della cessazione dalla carica, ma richiede una valutazione complessiva dell’attività svolta dai curatori succedutisi nel tempo e dei risultati conseguiti, che può aver luogo soltanto nella fase di chiusura del fallimento. Pertanto, ferma restando la possibilità di procedere alla liquidazione di acconti nel corso della procedura, la domanda di determinazione del compenso proposta prima del predetto momento deve considerarsi improponibile, e tale improponibilità, rilevabile anche d’ufficio, comporta la cassazione senza rinvio del decreto impugnato, con il conseguente assorbimento delle censure prospettate nel ricorso (cfr. Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 27630; Cass., Sez. I, 14 maggio 2014, n. 10455)”.
Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ritiene condivisibile l’opinione espressa dal relatore e la soluzione da lui proposta, non risultando meritevoli di accoglimento le contrarie argomentazioni svolte dal ricorrente in camera di consiglio.
Nessun rilievo può infatti assumere la circostanza, già fatta valere nel ricorso e rimasta peraltro indimostrata, che nell’ambito delle procedure fallimentari a carico di G.A. e P. si sia già pervenuti all’approvazione del rendiconto, in quanto, avuto riguardo all’avvenuta dichiarazione di fallimento delle stesse ai sensi dell’art. 147 della legge fall., in qualità di socie illimitatamente responsabili della A. e G. S.n.c., la perdurante pendenza della procedura concorsuale a carico di quest’ultima esclude la possibilità di dispone la chiusura dei predetti fallimenti, destinati a proseguire in funzione della soddisfazione dei creditori sociali.
Il decreto impugnato va pertanto cassato senza rinvio, con esclusione della necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degl’intimati.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa il decreto impugnato senza rinvio.

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