Mentre la nozione dell’aspetto, contenuta nell’art. 1127 cc, relativo alla facoltà dei condomini di costruire in sopraelevazione, coinvolge una serie di valutazioni connesse alla compatibilità con lo stile architettonico dell’edificio, diversamente il decoro dell’immobile, come richiamato dall’art. 1120 cc, si esprime nell’omogeneità delle linee e delle strutture architettoniche, ossia nell’armonia estetica.
Le due nozioni, a luce meridiana, vivono un rapporto di stretta complementarietà, tale da escludere uno iato netto tra le due, le quali appaiono anzi l’un l’altra imprescindibili, risolvendosi la valutazione di continuità stilistica in una verifica del rispetto delle direttive architettoniche impresse dal progettista
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI civile
ordinanza 25 agosto 2016, n. 17350
Considerato in fatto
Con atto di citazione notificato l’11 gennaio 2006, T.M. e M.A. , in qualità di proprietari di due unità immobiliari poste al primo piano del Condominio di via (OMISSIS) , convenivano in giudizio B.G. , proprietaria di un appartamento posto al medesimo piano, al fine di ottenere la rimozione di una tettoia di copertura realizzata, a detta degli attori, in violazione dell’art. 5 del regolamento di condominio e degli artt. 1120 e 1122 cc.
Il Tribunale di Torino, nella resistenza della convenuta, rigettava le domande attoree con la sentenza n. 3759 del 2010, depositata l’1 giugno 2010, avverso la quale interponevano gravame la T. e il M. .
Con sentenza n. 1561 del 2012, depositata l’1 ottobre 2012 e non notificata, la Corte di Appello di Torino, nella resistenza della controparte, accoglieva l’impugnazione, disponendo la rimozione dell’opera contestata e il ripristino dello status quo ante.
B.G. , con ricorso notificato il 14 novembre 2013, ha domandato la cassazione della sentenza di appello, articolando tre motivi.
Con il primo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli arti. 112, 116 e 132 c.p.c..
Con il secondo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1120 c.c., nonché l’errata interpretazione del regolamento di condominio.
Con l’ultimo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, 1127 e 1369 c.c..
T.M. ed M.A. non hanno svolto difese in sede di legittimità.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo la reiezione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Ritenuto in diritto
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con il primo mezzo d’impugnazione, nel dedurre la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116 e 132 c.p.c., l’odierna ricorrente contesta l’interpretazione delle risultanze probatorie resa dal giudice de quo, asserendo che quest’ultimo sarebbe incorso in un errore di fatto, relativo all’individuazione dell’appartamento cui il terrazzo è annesso, si dente ad alterare la valutazione circa le dimensioni effettive dell’opera contestata. A detta della ricorrente, inoltre, il giudice sarebbe giunto a conclusioni incompatibili con l’evidenza delle prove circa i connotati strutturali della tettoia, ritenendo che essa sia stata costruita utilizzando i muri condominiali e poi murata attraverso l’apposizione di pannelli in materiale traslucido, assumendo caratteri strutturali di stabilità e inamovibilità, in incremento del volume della porzione chiusa del primo piano.
Tali deduzioni non appaiono suscettibili di accoglimento, in quanto esse propongono questioni inammissibili in sede di legittimità, perché relative a errori di stampo revocatorio, come la prima, e comunque inerenti all’accertamento di circostanze di fatto riservate al libero apprezzamento del giudice di merito.
Con gli ulteriori due motivi d’impugnazione, da valutarsi congiuntamente data la loro stretta connessione, la ricorrente deduce che il giudice de quo sarebbe incorso in vizio di ultrapetizione, ampliando l’oggetto della domanda originaria degli appellanti, relativa a una violazione degli artt. 2 e 5 del regolamento condominiale, al profilo della compatibilità dell’opera contestata rispetto all’aspetto architettonico dell’edificio, a detta della ricorrente coperto da giudicato interno, concernendo i motivi di appello unicamente un’asserita violazione del decoro dell’immobile. A tal proposito, oggetto del ricorso è anche la corretta interpretazione del concetto di aspetto architettonico contenuto nell’art. 5 del regolamento condominiale, il quale è stato interpretato dal giudice di merito espandendo la portata del divieto convenzionale di innovazioni ivi contenuta a tutte le opere idonee ad alterare l’aspetto generale dell’edificio in sé e per sé considerato, a prescindere da valutazioni concernenti il diverso parametro del rispetto del decoro architettonico dell’immobile. A detta della ricorrente, invece, la norma condominiale imporrebbe, in conformità agli orientamenti ermeneutici di questa Corte, una serie di valutazioni analoghe a quelle disposte dall’art. 1120 c.c., essendo i due concetti dell’aspetto e del decoro architettonico tra sé profondamente affini, se non l’un l’altro imprescindibili, seppur diversi.
Premesso che nel caso di specie non sembra potersi ritenere integrato un vizio di ultrapetizione – non avendo il giudice alterato gli elementi obiettivi di identificazione della domanda, ma piuttosto interpretato semplicemente quest’ultima ricomprendendovi questioni proposte tacitamente, perché strettamente connesse all’interpretazione dell’art. 5 del regolamento condominiale (v. Cass., sez. 3, n. 22595 del 2009) – occorre rilevare l’infondatezza delle descritte censure tanto sul piano dell’asserita errata interpretazione delle norme, quanto sul piano di un eventuale vizio di motivazione.
Il giudice d’appello, riconosciuta la possibilità della fonte convenzionale di incidere in senso restrittivo sui parametri di cui all’ad 1120 c.c. (Cass., sez. 2, n. 1748 del 2013), ha proceduto a un’interpretazione sistematica del concetto di “aspetto architettonico”, giungendo a delle conclusioni che, pur fondate su una ricostruzione della nozione non del tutto condivisibile, appaiono comunque allineate rispetto agli indirizzi prevalenti della giurisprudenza di legittimità.
Questa Code ha ben definito i due parametri del decoro e dell’arto architettonico, sottolineandone le numerose differenze e affinità concettuali Mentre la nozione dell’aspetto, contenuta nell’art. 1127 cc, relativo alla facoltà dei condomini di costruire in sopraelevazione, coinvolge una serie di valutazioni connesse alla compatibilità con lo stile architettonico dell’edificio (Cass., sez. 2, n. 1025 del 2004), diversamente il decoro dell’immobile, come richiamato dall’art. 1120 cc, si esprime nell’omogeneità delle linee e delle strutture architettoniche, ossia nell’armonia estetica (Cass., seti 2, n. 10350 del 2011).
Le due nozioni, a luce meridiana, vivono un rapporto di stretta complementarietà, tale da escludere uno iato netto tra le due, le quali appaiono anzi l’un l’altra imprescindibili, risolvendosi la valutazione di continuità stilistica in una verifica del rispetto delle direttive architettoniche impresse dal progettista (Cass., sez. 2, n. 10048 del 2013).
Il giudice d’appello, pur ricostruendo i rapporti tra i due criteri nei termini di una ben più rigida incomunicabilità, riconoscendo nel riferimento all’aspetto architettonico un vincolo di immodificabilità in toto del fabbricato condominiale, ha poi posto alla base della propria decisione parametri ben più ampi rispetto alla alterazione qualsiasi dell’aspetto del condominio, cioè della pur minima variazione dello stesso, rilevando come la realizzazione della tettoia contestata, dati i materiali utilizzati (copertura in coppi e pannelli traslucidi blu/violetto a chiusura), i suoi caratteri strumentali di stabilità e inamovibilità, nonché le sue dimensioni notevoli e la sua incidenza sul volume del fabbricato, abbia realizzato una significativa alterazione dell’aspetto architettonico C011 conseguente violazione del’art. 5 del regolamento condominiale (v. sentenza impugnata pag. 9).
A tal proposito, il giudice distrettuale ha ancor meglio precisato che, a prescindere dall’applicabilità o meno dei principi dettati dalla giurisprudenza per il decoro, l’opera realizzata è venuta a modificare illegittimamente l’aspetto architettonico dell’edificio, non solo tenendo conto del suo aspetto originario, ma anche alla luce delle modifiche apportate nel corso degli anni ed emerse nella consulenza tecnica d’ufficio (v. pag. 10).
Se ne può dedurre anche l’insussistenza dell’asserito vizio di motivazione, da valutarsi in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., come interpretato dal Supremo consesso nomofilattico con la sentenza n. 19881 del 2014, non potendosi rilevare alcun vizio sul piano dell’esistenza e della coerenza logica dell’impianto argomentativo della sentenza.
In definitiva, sembrano sussistere i presupposti perché si proceda in camera di consiglio ai sensi del combinato disposto degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., per ivi rilevare l’inammissibilità del primo motivo d’implicazione e l’infondatezza del terzo e del secondo”.
Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dai ricorrenti nella memoria illustrativa non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, giacché ribadiscono difese che per le ragioni sopra esposte – sono state superate dalle argomentazioni predette e non rappresentano alcuna lacuna motivazionale, non apportando alcun ulteriore elemento di valutazione, e conseguentemente il ricorso va respinto.
Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo gli intimati svolto difese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 la Corte è tenuta a dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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