CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 4 giugno 2015, n. 24011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BEVERE Antonio – Presidente

Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. CAPUTO Angel – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 3193/2012 TRIBUNALE di BRESCIA, del 20/06/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata all’udienza del 20/06/2014, il Tribunale di Brescia ha rigettato l’istanza di (OMISSIS) di sospensione del processo con messa alla prova. Rileva il Tribunale che sussistono in astratto i presupposti edittali per il beneficio della messa alla prova, mentre difetta nel caso di specie una seria volonta’ dell’imputato di eliminare le conseguenze dannose e pericolose del reato, non solo per le allegate difficolta’ economiche, quanto per “l’atteggiamento sostanzialmente denegatorio della propria penale responsabilita’”, il che e’ di ostacolo a un idoneo programma di risocializzazione.

2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore avv. M. Nobili, denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 168 bis c.p., ss. e articolo 464 bis c.p.p., e segg., nonche’ vizi di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di sospensione del processo e messa alla prova dell’imputato.

Rileva in premessa il ricorso che (OMISSIS) e’ imputato dei reati di atti persecutori, molestie, ingiurie e danneggiamento commessi in danno dell’ex coniuge; all’indomani dell’entrata in vigore delle Legge n. 67 del 2014, la difesa dell’imputato, munita di procura speciale, ha depositato istanza di sospensione del processo e messa alla prova con allegata certificazione dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Brescia e di Bergamo attestante la presa in carico di (OMISSIS), con richiesta, da parte dello stesso U.E.P.E., del termine di quattro mesi per l’elaborazione di programma di trattamento idoneo alla risocializzazione dell’imputato; e’ stata altresi’ prodotta documentazione attestante le gravi difficolta’ economiche dell’imputato e i contratti intrapresi con la difesa della parte civile; nel corso dell’udienza, la difesa ha dato conto delle circostanze che avevano reso non praticabile il risarcimento del danno, ossia l’esorbitante richiesta della parte civile e la sua indisponibilita’ a considerare le gravi difficolta’ economiche dell’imputato.

L’ordinanza impugnata ha posto a fondamento del rigetto dell’istanza dell’imputato la mancata ammissione degli addebiti, non svolgendo alcun tipo di osservazione sulle argomentazioni relative al risarcimento del danno alla persona offesa, laddove le condotte riparatorie, lungi dall’essere presupposto imprescindibile dell’ammissione alla messa alla prova, ne possono costituire l’oggetto, sulla base del programma di trattamento dell’U.E.P.E..

Nel caso di specie, come rilevato dallo stesso provvedimento impugnato, sono soddisfatti tutti i requisiti formali, ivi compreso il limite di pena edittale (in quanto all’epoca del reato di cui all’articolo 612 bis c.p., lo stesso era punito con pena massima pari a quattro anni di reclusione).

Secondo l’ordinanza impugnata, il difetto del requisito della serieta’ dell’intenzione dell’imputato di intraprendere un programma di trattamento per la propria risocializzazione si ricollega alla mancata ammissione degli addebiti, ma la Legge n. 67 del 2014 non annovera detta ammissione tra i presupposti della messa alla prova: la mancata confessione costituisce un elemento che, unitamente agli altri, puo’ concorrere a formare il convincimento del giudice circa la valutazione della serieta’ della volonta’ dell’imputato di intraprendere un percorso di risocializzazione, ma tale valutazione, pur in assenza di confessione, non puo’ prescindere dal programma di trattamento elaborato o in corso di elaborazione da parte dell’U.E.P.E., il cui omesso vaglio da parte del giudice, che avrebbe dovuto rinviare il processo fino all’acquisizione del programma, costituisce profilo di illegittimita’ dell’impugnata ordinanza.

Il provvedimento impugnato e’ inoltre affetto da manifesta illogicita’ laddove fa conseguire dall’atteggiamento sostanzialmente denegatorio della propria responsabilita’ penale la mancanza di volonta’ da parte dell’imputato di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, laddove (OMISSIS), nella richiesta all’U.E.P.E., si era impegnato allo svolgimento di lavori di pubblica utilita’ e al rispetto di tutte le prescrizioni impartite, e, nell’istanza di messa alla prova, aveva rappresentato la disponibilita’ ad intraprendere un percorso di mediazione con la persona offesa. Come si rileva dalla giurisprudenza sulla messa alla prova nel processo minorile, la mancata confessione e’ un dato neutro, la cui mancanza non e’ incompatibile con la concessione della misura; ritenere necessaria l’ammissione, anche parziale, dell’addebito significa snaturare la finalita’ rieducativa cui tendono le nuove norme, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza e con il diritto di difesa.

3. Con requisitoria del 19/09/2014, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. De Augustinis U. ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, non avendo l’imputato presentato al giudice il programma ex articolo 464 bis c.p.p., comma 4, presupposto essenziale per ottenere una decisione da parte del giudice competente.

4. Con memoria depositata il 18/02/2015, la difesa dell’imputato ha richiamato l’articolo 464 bis c.p.p., comma 4, ai sensi del quale all’istanza e’ allegato un programma ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione di detto programma, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.

2. Si impone, in limine, un duplice rilievo.

In primo luogo, rileva il Collegio che l’ordinanza con la quale il giudice rigetta l’istanza di sospensione del processo per la messa alla prova e’ autonomamente impugnabile, dall’imputato con ricorso per cassazione.

Decisivo, in tal senso, e’ il tenore letterale dell’articolo 464 quater c.p.p., comma 7 (“contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero …”), che include nella disciplina dell’autonoma ricorribilita’ qualsiasi provvedimento decisorio – quelli ammissivi, cosi’ come quelli reiettivi – della richiesta in questione. Non smentisce, anzi conferma, questa conclusione la disciplina dettata, per il processo penale a carico di imputati minorenni, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 28, comma 3, in forza del quale “contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore”, disposizione, questa, che deve essere interpretata alla luce del precedente articolo 28, comma 2, che ha ad oggetto esclusivamente l’ordinanza che dispone la sospensione: proprio all’interpretazione che mette in correlazione i due commi indicati si ricollega l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimita’, secondo il quale l’ordinanza con la quale il Tribunale per i minorenni rigetta l’istanza di messa alla prova dell’imputato con contestuale sospensione del procedimento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, articolo 28 non e’ impugnabile autonomamente, ma solo congiuntamente alla sentenza che definisce il giudizio (Sez. 1, n. 2429 del 24/04/1995 – dep. 31/05/1995, Rv. 201298). Non ravvisandosi, nella disciplina di cui all’articolo 464 quater c.p.p., il fondamento di analoga interpretazione sistematica, l’ampio tenore letterale del comma 7 sottrae l’ordinanza reiettiva dell’istanza di sospensione del processo per la messa alla prova alla disciplina di cui all’articolo 586 c.p.p.. Conclusione, questa, ulteriormente rafforzata dalla considerazione che, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la sospensione del procedimento con messa alla prova presuppone lo svolgimento di un iter procedimentale “alternativo alla celebrazione del giudizio” (Sez. F, n. 35717 del 31/07/2014 – dep. 13/08/2014, Ceccaroni, Rv. 259935; conf.: Sez. F, n. 42318 del 09/09/2014 – dep. 10/10/2014, Valmaggi, Rv. 261096) e proprio detta “alternativita’” resta salvaguardata dalla autonoma impugnabilita dell’ordinanza con la quale il giudice rigetta l’istanza di sospensione del processo per la messa alla prova (cfr., sia pure implicitamente, Sez. 6, n. 6483 del 09/12/2014 – dep. 13/02/2015, P.M. in proc. Gnocco e altro).

Sempre in premessa deve rilevarsi che, come risulta dal verbale dell’udienza del 20/06/2014, l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova fu accompagnata dalla documentazione della richiesta di elaborazione di un programma di trattamento presentata all’ufficio di esecuzione penale esterna, in linea con la disciplina di cui all’articolo 464 bis c.p.p., comma 4.

3. Cio’ premesso, deve escludersi che l’ammissione da parte del richiedente del fatto oggetto dell’imputazione rappresenti un requisito per la sospensione del procedimento con messa alla prova.

L’ordinanza con la quale il giudice decide in ordine alla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova presuppone l’accertamento dell’insussistenza, allo stato degli atti, dei presupposti di una pronuncia di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p. (articolo 464 quater c.p.p., comma 1): detto accertamento, svolto sulla base di un compendio probatorio che puo’ risultare anche particolarmente scarno (alla luce delle scansioni temporali dettate dall’articolo 464 bis c.p.p., comma 2, e articolo 464 ter c.p.p.), in uno con il consenso, espresso attraverso la richiesta, dall’indagato/imputato, consente quell’attribuzione del fatto-reato al richiedente necessaria ad offrire un fondamento giustificativo alle misure in cui si concretizza la messa alla prova, misure, queste, il cui contenuto sanzionatorio e’ messo in luce, in particolare, dalla prestazione di lavoro di pubblica utilita’ (articolo 168 bis c.p., comma 3), oltre che dal computo del periodo di messa alla prova ai fini della determinazione della pena da eseguire in caso di revoca (articolo 657 bis c.p.p.). L’accertamento dell’insussistenza, allo stato degli atti, dei presupposti di una pronuncia ex articolo 129 c.p.p. (accertamento riconducibile nel genus delle valutazioni preliminari, anche di merito, svolte dal giudice nella medesima fase processuale e destinate a sfociare nella valutazione conclusiva, rappresentata dal proscioglimento anticipato dell’imputato, dalla declaratoria di estinzione del reato all’esito positivo della messa alla prova ovvero dalla sentenza definitoria del processo in caso di revoca della stessa) fa si’, in forza del consenso dell’interessato, che la sospensione del procedimento con messa alla prova possa fondarsi sull’attribuzione del fatto-reato al richiedente, attribuzione, a sua volta, confermata da alcuni indici testuali (la prognosi che l’imputato si asterra’ dal commettere “ulteriori” reati: articolo 464 quater c.p.p., comma 3) e dalla stessa formula di proscioglimento individuata per il caso dell’esito positivo della messa alla prova, ossia la declaratoria di estinzione del reato (articolo 464 septies c.p.p.). Risolvendosi, appunto, nell’accertamento dell’insussistenza, allo stato degli atti, dei presupposti di una pronuncia ex articolo 129 c.p.p., l’attribuzione del fatto-reato al richiedente – all’interno, puo’ osservarsi, di “ristretti spazi cognitivi di merito” (per riprendere le espressioni utilizzate, a proposito della sentenza ex articolo 444 c.p.p., da Sez. U, n. 36847 del 26/06/2014 – dep. 03/09/2014, Della Gatta) – non esige l’ammissione del fatto da parte dell’indagato/imputato, ammissione che resta dunque estranea al novero dei requisiti della sospensione del procedimento con messa alla prova delineati dalla Legge n. 67 del 2014, la qualificazione dell’ammissione del fatto-reato quale requisito per la sospensione con messa alla prova risulta, anzi, incompatibile, sul piano sistematico, con la complessiva disciplina dell’istituto: posto che in caso di revoca dell’ordinanza di sospensione il procedimento riprende il suo corso (articolo 464 octies c.p.p., comma 4), la subordinazione dell’accoglimento dell’istanza all’ammissione del fatto-reato rivelerebbe, in tale ipotesi, profili di tensione con le garanzie sostanziali e processuali dell’imputato.

Nella stessa prospettiva, deve rilevarsi che, a norma dell’articolo 464 quater c.p.p., comma 3, la sospensione e’ disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’articolo 133 c.p.p., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterra’ dal commettere ulteriori reati. Anche da questo punto di vista, il riferimento ai parametri di cui all’articolo 133 c.p.p. e all’oggetto delle valutazioni cui e’ chiamato il giudice nell’esame della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova esclude la necessita’ dell’ammissione del fatto da parte dell’indagato/imputato. Fermo restando che la confessione potra’ essere valutata dal giudice quale aspetto della condotta processuale del richiedente, vale per l’istituto in esame quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’affidamento in prova al servizio sociale, che rappresenta una forma di probation – non gia’ processuale (come l’istituto in esame), ma – penitenziario, ossia che, ai fini dell’applicazione alla misura, non configura una ragione ostativa la mancata ammissione degli addebiti (ex plurimis, Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013 – dep. 31/07/2013, Pantaleo, Rv. 257001).

4. Incentrata sul rilievo dell'”atteggiamento sostanzialmente denegatorio della propria penale responsabilita’”, la ratio deciderteli dell’ordinanza impugnata non e’ in linea con la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova.

L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Brescia che, nel rinnovato esame dell’istanza dell’imputato, si atterra’ al principio di diritto secondo cui la confessione da parte del richiedente del fatto oggetto dell’imputazione non integra un requisito della sospensione del procedimento con messa alla prova.

L’inerenza della vicenda a rapporti famigliari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia per nuovo esame.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio.

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