cassazione 9

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 4 giugno 2015, n. 24027

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. SETTEMBRE A – rel. Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfred – Consigliere

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 1615/2014 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del 09/01/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;

Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr. Mario Pinelli, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9/1/2015 il Tribunale del riesame di Milano ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Milano del 7/11/2014, che aveva rigettato, a sua volta, la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari a lui applicata in data 4/5/2014 per reati di associazione a delinquere – aggravata dal carattere della trans nazionalita’ – allo scopo di commettere piu’ delitti di bancarotta, truffa aggravata, appropriazione indebita, frode fiscale, trasferimento fraudolento di valori finalizzato ad agevolare il riciclaggio utilizzando strutture societarie del gruppo (OMISSIS) spa. La misura cautelare era stata emessa anche in relazione a plurimi reati di scopo del sodalizio, tra cui numerose ipotesi di bancarotta per distrazione.

Il Tribunale premette che analoga istanza e’ stata presentata dal (OMISSIS) dopo la rinunzia al gravame proposto contro l’ordinanza genetica e che la stessa e’ stata disattesa prima dal G.I.P. e poi dal T.D.R. con provvedimento emesso all’udienza del 27/8/2014, nel quale risultano sostanzialmente esaminate e trattate le medesime questioni poste dalla difesa a sostegno della successiva impugnazione (ignoranza della destinazione impressa ai fondi distratti; collegamenti internazionali dell’indagato; possibilita’ di aggravare le conseguenze dei reati; grande potere di manovra posseduto dall’indagato; precedenti penali). Rispetto al quadro precedente nessun significativo elemento di discontinuita’ e’ stato segnalato dalla difesa, giacche’ il decorso del breve lasso di tempo intercorrente dalla precedente ordinanza non e’ in se’ significativo dell’attenuazione delle esigenze cautelari; l’aggravante della transnazionalita’ e’ stata contestata per la prima volta ed e’ stata, comunque, ben motivata nel provvedimento genetico e nel successivo provvedimento del TDR; le condizioni di salute dell’indagato non sono tali da attenuare il pericolo di recidiva; il provvedimento ex articolo 310 c.p.p., emesso dal TDR, di cui sopra, e’ stato annullato dalla Suprema Corte per motivi ancora ignoti.

2.0. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’indagato, l’avv. (OMISSIS), denunciando una violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo sia alla ritenuta persistenza delle esigenze cautelari che all’inidoneita’ – affermata dal Tribunale – di una misura meno afflittiva.

La ricorrente si duole, innanzitutto, di una mancata risposta alle doglianze difensive, essendosi il Tribunale limitato a trascrivere le motivazioni di rigetto di altro provvedimento cautelare, oltretutto annullato dalla Suprema Corte in data 31/10/2014. Lamenta, poi, che abbia giustificato il pericolo di recidiva in modo del tutto generico e aspecifico, ancorando la sua valutazione alla sola gravita’ astratta dei reati e omettendo di motivare sulla concretezza e attualita’ del pericolo, nonche’ il fatto che siano stati ignorati o irragionevolmente sviliti gli elementi forniti dalla difesa, atti ad escludere la rilevanza del supposto pericolo di recidiva, quali: il venir meno di tutte le cariche sociali in capo a (OMISSIS); l’ammissione della (OMISSIS) al concordato preventivo e la nomina dei liquidatori; l’aver prestato idonee garanzie al concordato; la cessazione del vincolo associativo determinata dall’applicazione, a suo tempo, degli arresti domiciliari; la risalenza nel tempo delle condanne riportate. Lamenta, infine, sotto il profilo in esame, che il Tribunale abbia confuso le esigenze di cautela sottese all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), con le ragioni giustificative del sequestro preventivo, avendo fatto riferimento – in violazione di affermati principi di diritto – alla mancata individuazione dei fondi distratti dall’indagato onde pervenire ad ipotizzare “manovre di occultamento o di reimpiego” al fine di giustificare il mantenimento della misura.

Quanto alla inidoneita’ di misure meno afflittive – pure affermata dal Tribunale -lamenta che non siano state evidenziate le ragioni ostative alla sostituzione della misura applicata all’indagato. Lamenta che, anche in questo caso, siano stati trascurati o ignorati gli elementi favorevoli addotti dalla difesa, quali: la prestazione di garanzia personale a favore della (OMISSIS) per cinque milioni di Euro; il corretto comportamento processuale dell’indagato, che ha osservato le prescrizioni impostegli e si e’ sottoposto a due interrogatori; il decorso del tempo dall’applicazione della misura; il peggioramento delle condizioni di salute. Inoltre, che sia stati utilizzati – per giustificare il mantenimento della misura – argomenti privi di concludenza, quali la possibilita’ di reimpiego illecito del denaro sottratto ai creditori; pericolo – aggiunge la ricorrente – che non dipende dalle possibilita’ di movimento del reo, data la facilita’ con cui e’ possibile operare con i moderni strumenti telematici e per mezzo di terzi (sottolinea che (OMISSIS) non ha piu’, da diversi mesi, il divieto di comunicare).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.

1. La richiesta di revoca o sostituzione di misura custodiale con altra meno afflittiva implica per il giudice l’obbligo di motivare accertando in concreto se ricorrano le specifiche situazioni che, in relazione alla gravita’ del fatto nonche’ alla natura ed al grado delle esigenze cautelari, rendono imprescindibile ed inevitabile la necessita’ di adottare e mantenere la misura cautelare applicata (nella specie, gli arresti domiciliari), dando conto, con criteri logici e di plausibile persuasivita’, delle ragioni giustificative di un provvedimento che sacrifica la liberta’ personale in misura notevole. Cio’ e’ in concreto avvenuto, dacche’ il Giudice delle indagini preliminari prima e il Tribunale del riesame dopo, hanno motivato la propria decisione di rigetto con argomentazioni compiute e lineari, prive di smagliature o incongruenze, di cui questa Corte non puo’ che dare atto.

2. Infatti, quanto all’argomento principale introdotto dalla difesa (il passaggio del tempo dall’applicazione della misura), correttamente e’ stato richiamato il principio di diritto, costantemente enunciato da questa Corte regolatrice, secondo cui “in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non puo’ essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare”: ex plurimis Cass. 16425/2010 Rv. 246868. Infatti, il decorso del tempo costituisce di per se un elemento di carattere “neutro”, che non puo’, ex se, assumere uno specifico, rilievo nella valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, in quanto la valenza di tale elemento si esaurisce nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, necessitando la sussistenza di ulteriori e diversi elementi valutativi atti a suffragare l’assunto del venir meno o comunque del ridimensionamento di siffatte esigenze cautelari. E cio’ senza considerare che i sei mesi decorsi tra applicazione della misura da parte del giudice di Milano (4 maggio 2014) e il provvedimento di reiezione del Giudice delle indagini preliminari (7 novembre 2014) non rappresentano affatto uno spazio temporale tanto ampio da lasciar supporre – in mancanza di eventi radicalmente nuovi, che e’ onere del prevenuto segnalare – un mutamento della situazione di fatto idoneo a capovolgere il giudizio contenuto nel provvedimento genetico.

3. Il venire meno del pericolo di recidiva in conseguenza dell’ammissione della (OMISSIS) al concordato preventivo e della cessazione dell’indagato da tutte le cariche sociali e’ stato neutralizzato dalla considerazione che (OMISSIS) ricopre cariche importanti in diverse altre societa’, tutte di primaria importanza ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

4. A tale situazione fattuale e’ stato collegato il giudizio di “concretezza” del pericolo. Trattasi di valutazione assolutamente logica, che tiene conto della elaborazione giurisprudenziale maturata al riguardo, in quanto, come e’ stato ripetutamente rilevato, ai fini della valutazione del pericolo che l’imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della “concretezza”, cui si richiama l’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), non si identifica con quello di “attualita’” derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, essere riconosciuto alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi “concreti” (cioe’ non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede (Cass., n. 24051 del 15/5/2014; sez. 4, n. 18851 del 10/4/2012; sez. 6, n. 28618 del 5/4/2013; sez. 1, n. 10347 del 20/1/2004). Nella specie, gli elementi “non congetturali” necessari a concretizzare il pericolo spaziano, per quanto e’ stato evidenziato, dalla entratura internazionale del prevenuto alla sua professionalita’, alla disponibilita’ di rilevanti risorse e alla spregiudicatezza rivelata in questa ed altre circostanze. Il che significa che il giudizio del Tribunale e’ ancorato a dati di indubbio valore inferenziale, indiscutibilmente idonei a giustificare la conclusione cui e’ pervenuto.

Ne’ e’ corretto affermare che il Tribunale abbia valorizzato dati significativi in vista dell’applicazione di misure reali (ma non personali), giacche’ quelli esposti attengono specificamente alla valutazione del pericolo di recidiva e resistono, quindi, allo scrutinio effettuato su provvedimento concernente le misure personali; ne’ che abbia trascurato la dismissione delle cariche sociali da parte di (OMISSIS), ovvero l’ammissione della (OMISSIS) spa al concordato preventivo, giacche’ si tratta di circostanze espressamente soppesate dai giudicanti e ritenute – con motivazione priva di vizi – ininfluenti sul giudizio di pericolosita’, per i motivi sopra esposti.

5. Le esigenze di salute del (OMISSIS) hanno ricevuto esplicita considerazione da parte del Tribunale, il quale, pur rilevando, con doverosa attenzione, che si tratta di condizioni meritevoli di approfondimento e che sono state segnalate patologie bisognevoli di terapie, non ha omesso di apprezzarne il rilievo, per concludere che non appaiono di tale gravita’ e consistenza da attenuare il pericolo di recidiva e che, comunque, sono fronteggiabili nell’attuale condizione detentiva, anche mediante il rilascio – all’occorrenza – di apposite autorizzazioni. Non e’ senza significato, al riguardo, il fatto che il difensore abbia omesso – al di la’ di una generica perorazione, rafforzata con citazione di giurisprudenza largamente inconferente, perche’ riferita a casi di diversa gravita’ – di sviluppare un discorso congruente, sostenuto da dati concreti.

6. Le considerazioni sopra svolte rendono ampiamente conto del giudizio formulato intorno alla inidoneita’ di altre misure mene afflittive. In tema di criteri’ di scelta delle misure cautelari – valevoli, giova sottolineare, anche per la loro eventuale sostituzione – e’ legittimo il riferimento alle specifiche modalita’ e circostanze del fatto, alla gravita’ dei reati e alla personalita’ dell’indagato, ai fini della motivazione circa l’idoneita’ della sola misura custodiale, costituendo la condotta tenuta dal soggetto in occasione del reato e i suoi precedenti penali elementi diretti e significativi per interpretare la personalita’ dell’agente e apprezzare il pericolo di recidivanza.

Sulla base di tali principi non merita censura la decisione dei giudici della cautela, i quali, pur apprezzando l’unico elemento di novita’ nel frattempo intervenuto – il decorso di un limitato periodo di tempo – non lo hanno ritenuto sufficiente ad integrare quella situazione di novita’ che, sola, autorizzerebbe una rivisitazione del giudizio di pericolosita’ o l’attenuazione del regime custodiale.

7. Il ricorso pertanto non puo’ essere accolto, qui ulteriormente osservandosi che il giudizio sulla permanenza delle esigenze cautelari, agli effetti della conservazione della misura in atto, integra un giudizio di fatto che non e’ censurabile in sede di legittimita’ tutte le volte in cui, come nella specie, esso sia condotto e sviluppato nel rispetto delle regole che presiedono la logica dell’argomentare, e sia altresi’ fondato su una serie coerente di ragionevoli letture della realta’, secondo massime di comune esperienza ed in relazione all’id quod plerumque accidit.

8. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 a favore della cassa delle ammende.

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