Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 11 novembre 2014, n. 46488
Fatto e diritto
Con sentenza 22.3.2013, il tribunale di Brindisi ha confermato la sentenza 10.12.2011 del giudice di pace di San Pietro Vernotico, con la quale T.L. era stato condannato alla pena di € 200 di multa, al risarcimento dei danni , alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, perché ritenuto responsabile del reato di ingiuria in danno di E.M., avendo proferito la frase “sta esaurita”,più volte, a distanza di alcuni minuti, dinanzi a più persone.
Il giudice di appello ha ritenuto che nel contesto in cui erano state pronunciate le parole (una polemica sorta a seguito del parcheggio da parte del T., della propria auto dinanzi all’autorimessa della donna e a seguito dell’intervento dei vigili urbani sollecitato dalla E.) ,queste avevano una valenza offensiva dell’onore della parte civile, avendole attribuito una condizione psico-patologica.
Nell’interesse dell’imputato è stato presentato ricorso per i seguenti motivi
1. vizio di motivazione avendo il tribunale trascurato il rapporto di confidenza esistente tra le parti e il contesto in cui il fatto si è verificato : il contrasto è sorto nell’ambito di rapporti di vicinato improntati a reciproca tolleranza, che consente, in caso di trasgressione delle regole della vita quotidiana,di risolvere pacificamente la questione, senza invocare l’intervento della pubblica autorità. L’espressione “sta esaurita” è stata pronunciata nei confronti di chi , invece di chiedere lo spostamento della’auto scorrettamente posteggiata, ha chiesto ed ottenuto l’intervento della polizia urbana , che ha inflitto una sanzione pecuniaria all’imputato. Questi , nella richiesta di lumi sulle ragioni di questa sproporzionata reazione, ha usato parole che esprimono un giudizio censurabile sul piano del costume, ma che ,rientrando nel linguaggio comune, non integrano -secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale- un attacco diretto a colpire l’onore o il decoro altrui.
2. vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione : la non punibilità , dovuta allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, ricorre quando il soggetto attivo ponga in essere la condotta astrattamente offensiva, mosso da uno stato d’animo direttamente riconducibile a un comportamento altrui che, sebbene non illecito o illegittimo, sia contrario alle regole comunemente accettate nella civile convivenza. Il comportamento da quale derivi una sanzione amministrativa per la sua contrarietà a una norma giuridica è da ritenere ricompreso tra quelli integranti la causa di non punibilità della provocazione, qualora in concreto risulti lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza.
Il ricorso merita accoglimento .
Secondo un condivisibile orientamento interpretativo , in tema di ingiuria, il criterio cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalla intenzioni inespresse dell’offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell’offeso.
In tema di tutela penale dell’onore, occorre fare anche riferimento ad un criterio di media
convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore, unitamente al contesto nel
quale detta espressione sia stata pronunciata (sez. 5,n. 21264 del 19/02/2010, Rv. 247473)
Nel caso in esame, il giudice di appello ha ricondotto- senza alcuna convincente giustificazione – l’espressione dell’imputato (sta esaurita ) – diretta all’antagonista , durante la leggera polemica in corso – ad una critica sprezzante nei confronti del suo stato di equilibrio psichico e , addirittura, all’attribuzione di una patologia mentale . E’ di tutta evidenza che , alla luce del linguaggio comune , l’attribuzione all’interlocutore di uno stato patologico di questo tipo è espressa comunemente con termini critici più diretti e mirati sulle capacità mentali Nel caso in esame il riferimento all’esaurimento della E., essendo diretto a criticare un’eccessiva ansia vendicativa e un eccessivo bisogno di punizione nei confronti dell’inadempiente dell’obbligo di osservanza di una norma stradale e di una regola di buon vicinato , evidentemente non pone in discussione la sua salute mentale, bensì il suo livello di tolleranza nei confronti del vicino , autore della doppia trasgressione . L’aggettivo esaurito , sinonimo di vuoto, di finito , nello specifico episodio di cronaca quotidiana vissuto dai protagonisti , non riveste carattere offensivo, in quanto è diretto verso una persona che ha mostrato di essere vuota, nel senso di aver esaurito la propria capacità di sopportazione, la propria tolleranza per l’irregolare comportamento del vicino . L’ interpretazione che individua il significato dell’aggettivo in malato di mente oltre ad essere non necessariamente corrispondente al suo significato nel linguaggio comune, non corrisponde ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore,nonché al contesto nel quale detta espressione è stata pronunciata da L. T. nei confronti di M. E.. Come già anticipato, la sensazione puramente soggettiva della donna di essere stata classificata come mentalmente malata , per aver invocato l’intervento della polizia urbana per il ripristino dell’ordine nel vicinato, non è idonea a far ritenere violato il suo onore e a collocare l’aggettivo esaurita, come impiegato dal ricorrente, nel campo dell’illecito penale. Il riconoscimento della fondatezza di questo motivo comporta l’assorbimento delle altre doglianze contenute nel ricorso.
La sentenza va quindi annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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