Condanna per minaccia al condomino che con una pistola di plastica impedisce ad un altro di parcheggiare la sua auto nell’androne

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 19 gennaio 2017, n. 2532

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. SCOTTI Umberto L – rel. Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 22/04/2015 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dr. UMBERTO LUIGI SCOTTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Corasaniti Giuseppe, che ha concluso per l’inammissibilita’.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/4/2015 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 22/2/2012, respingendo l’appello proposto dall’imputato (OMISSIS).

La sentenza di primo grado aveva ritenuto responsabile l’ (OMISSIS) del reato di cui all’articolo 612 c.p., comma 2, previa riqualificazione del reato originariamente contestato di violenza privata, condannandolo alla pena di quattro mesi di reclusione nonche’ al risarcimento dei danni in favore della parte civile, (OMISSIS), liquidati in Euro 1.000, oltre alle spese processuali.

2. Ricorre in cassazione l’avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputato, chiedendo l’annullamento della sentenza, con il corredo di quattro motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione agli articoli 521 e 522 c.p.p., lamentando difetto di correlazione fra imputazione e sentenza. Il ricorrente precisa che all’imputato era stato contestato il reato di cui all’articolo 610 c.p., comma 2, perche’, impugnando una pistola di plastica e puntandola contro (OMISSIS), gli aveva impedito, con minacce, di parcheggiare il proprio automezzo all’interno dell’androne del palazzo dove entrambi risiedevano.

Il Giudice di primo grado lo aveva invece ritenuto responsabile del reato di minaccia aggravata, cosi’ riqualificando il delitto contestato, dando risalto alla querela sporta dalla parte offesa nell’immediatezza dei fatti e ritenendo viceversa poco credibile l’integrazione di querela dalla medesima successivamente sporta.

In realta’ – secondo il ricorrente – il querelante aveva fatto riferimento nella sua narrazione a due fatti distinti, il primo raccontato nella prima querela e il secondo oggetto dell’integrazione sporta circa un mese dopo, il 15 ottobre 2015; il capo d’imputazione poggiava anche su elementi relativi alla narrazione della condotta descritta nell’integrazione di querela del 15 ottobre 2015; infatti nella prima versione non era contenuto alcun riferimento alla richiesta dell’ (OMISSIS) di spostare la motocicletta ma si faceva cenno esclusivamente della richiesta rivolta alla parte offesa per sapere di chi fosse una vettura Fiat Cinquecento parcheggiata nel cortile.

Secondo il ricorrente, l’imputato e’ stato chiamato a difendersi in relazione a un fatto diverso da quello contestato, con la conseguente violazione del suo diritto di difesa suscettibile di valutazione anche ai sensi dell’articolo 6, comma 3, della CEDU. Nel caso di specie la Corte d’appello di Napoli aveva violato il dettato di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p. rifugiandosi in una decisione piu’ sfavorevole all’imputato, pur di non affermarne l’innocenza dal capo d’imputazione contestato, mentre la pretesa possibilita’ di esercizio del diritto di difesa, giustificata con il fatto che tutti gli atti erano contenuti nel fascicolo, nulla aveva a che vedere con la correlazione fra accusa e sentenza, poiche’ la legge consente di condannare per un fatto anche se diversamente qualificato ma non per altro fatto, pur contenuto negli atti.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), negando che nel comportamento ascritto all’imputato fossero presenti tutti gli elementi costitutivi integranti la fattispecie di cui all’articolo 612 c.p. poiche’ l’arma non era stata puntata verso la parte offesa e perche’ la frase (“in questo palazzo comando io”), comunque non rivolta espressamente nei suoi confronti, non prefigurava un danno ingiusto.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla ritenuta inammissibilita’ dei motivi d’appello in tema di concessione delle attenuanti. Secondo il ricorrente, non era condivisibile la valutazione della Corte territoriale perche’ l’atto d’impugnazione non poteva essere ritenuto generico e aspecifico alla stregua di una lettura globale delle motivazioni in esso contenute, inerenti al trattamento sanzionatorio effettuato dl giudice di primo grado; occorreva inoltre tenere conto dell’attenuata esigenza di specificita’ dei motivi di impugnazione in appello, per i quali e’ sufficiente l’indicazione dei “punti” della sentenza di primo grado oggetto di riesame.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione alla conferma delle statuizioni civili, erroneamente disposta, nonostante il fatto che la parte civile ritualmente citata non fosse comparsa ad entrambe le udienze del 17 dicembre 2014 e del 22 aprile 2015, con la conseguente sanzione processuale di cui agli articoli 82 e 598 c.p.p., consistente nella revoca tacita della costituzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Manifestamente non sussiste la violazione del principio di correlazione fra imputazione e sentenza, denunciata con il primo motivo di ricorso.

Il principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza esige che nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza (Sez. 2, n. 18729 del 14/04/2016, Russo e altro, Rv. 26675801); la violazione di tale principio si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa. (Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 – dep. 2016, Addio e altri, Rv. 26594601).

Questa Sezione ha avuto modo di precisare che “In tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto della regola del contraddittorio – che deve essere assicurato all’imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all’articolo 111 Cost., comma 2, integrato dall’articolo 6 Convenzione Europea, come interpretato dalla Corte EDU – impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa” e cioe’ nei confronti dell’imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilita’ di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell’articolo 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilita’ di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (nella specie proposta avverso la sentenza di primo grado contenente la diversa qualificazione giuridica del fatto)”.

(Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 – dep. 2013, Jovanovic e altro, Rv. 25464901).

Inoltre l’indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel mero pedissequo confronto letterale fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, poiche’, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione non sussiste quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia stato concretamente in condizione di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr. Cass., sez, un., 19/06/1996, n. 16, Di Francesco).

In particolare, appare evidente che non puo’ sussistere violazione del principio di correlazione espresso nell’articolo 521 c.p.p. e sanzionato di nullita’ dall’articolo 522 allorche’ il reato accertato si ponga in rapporto di genere a specie rispetto a quello inizialmente contestato in imputazione, in quanto la prima contestazione ricomprende di necessita’ la seconda. (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, P.G in proc. Agostino e altri, Rv. 26463101).

Nella fattispecie la Corte territoriale ha correttamente evidenziato il rapporto di specialita’ intercorrente fra il reato contestato di violenza privata ex articolo 610 c.p. e quello di minaccia ex articolo 612 c.p. accertato in sentenza, reato formale con evento di pericolo, nel quale l’atto intimidatorio e’ fine a se’ stesso, mentre nel primo la minaccia viene utilizzata come mezzo al fine di costringere taluno a fare od omettere qualcosa. In definitiva, il reato contestato conteneva un ulteriore elemento specializzante (ossia la coartazione del soggetto passivo) rispetto a quello, piu’ ridotto, effettivamente accertato.

La Corte di appello ha inoltre evidenziato che la data del 19 settembre 2009, trascritta in rubrica, in luogo della data corretta del 20 settembre 2009, era frutto di un mero errore materiale, facilmente evincibile dagli atti e in particolare dalla prima querela sporta dal (OMISSIS) nelle prime ore notturne del 21 settembre 2009, con riferimento alla sera immediatamente precedente: sullo specifico punto non v’e’ censura.

E’ quindi chiara e corretta l’operazione logica seguita dalla Corte di appello napoletana che ha accertato la commissione del fatto intimidatorio del 20 settembre 2009 (erroneamente indicato in rubrica come del 19 settembre) da parte dell’ (OMISSIS) in danno del (OMISSIS), eliminando dalla condotta contestata il perseguimento da parte dell’imputato dell’ulteriore fine di indurre coattivamente il (OMISSIS) a non parcheggiare il proprio automezzo all’interno dell’androne del palazzo, ritenuto estraneo alla condotta del (OMISSIS) ed oggetto semmai dell’ulteriore episodio di cui all’integrazione di querela successivamente sporta dal (OMISSIS) il 15 ottobre 2009.

Ricorrono nella fattispecie entrambe le condizioni indicate dalla giurisprudenza di legittimita’ per escludere un effetto a sorpresa in tema di correlazione tra sentenza ed accusa contestata, nel rispetto della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), secondo cui, ai sensi dell’articolo 6, par. 3, lettera a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo sul “processo equo”, la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice “ex officio”.

Da un lato, l’imputato ha avuto nella fase di merito la possibilita’ comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado in cui e’ stata operata la diversa qualificazione giuridica del fatto.

Dall’altro, la diversa qualificazione giuridica selezionata appare come uno dei possibili (“non sorprendenti”) epiloghi decisori del giudizio stante la riconducibilita’ alla contestazione del fatto storico, di cui e’ stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale e’ stato consentito l’effettivo esercizio del diritto di difesa; per converso, non e’ apprezzabile, in relazione alla diversa qualificazione giuridica, una sostanziale immutazione del fatto, seppur diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (qual e’, per definizione, la condanna per un fatto di reato che si colloca in rapporto di genere a specie con il reato contestato).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), ma nella sostanza propone una inammissibile censura in ordine alla ricostruzione del fatto storico operata dal giudice del merito che ha dato conto delle ragioni per cui il comportamento dell’ (OMISSIS) (avvicinarsi al (OMISSIS), alzare la pistola e mostrarla di profilo, pronunciando a voce alta la frase “in questo palazzo comando io”) nel contesto di esasperata conflittualita’ condominiale legata all’utilizzo del cortile comune per il parcheggio, provocata dall’ (OMISSIS) verso gli altri condomini e anche verso il (OMISSIS), possedeva una concreta valenza intimidatoria e poteva ritenersi diretta verso la parte offesa.

In tema di reati contro la persona, ai fini della configurabilita’ del reato di minaccia grave, ex articolo 612 c.p., comma 2, rileva l’entita’ del turbamento psichico che l’atto intimidatorio puo’ determinare sul soggetto passivo; pertanto, non e’ necessario che la minaccia sia circostanziata, potendo benissimo, ancorche’ pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalita’ dei soggetti (attivo e passivo) del reato.

(Sez. 5, n. 44382 del 29/05/2015, Mirabella, Rv. 26605501)

Il dolo, quale componente del fatto contestato, consiste nella cosciente volonta’ di minacciare ad altri un ingiusto danno ed e’ diretto a provocare la intimidazione del soggetto passivo; non e’ viceversa necessario il proposito di tradurre in atto il male minacciato; oggetto del delitto e’ unicamente l’azione intimidatrice.

(Sez. 1, n. 7382 del 11/06/1985, Dessi, Rv. 17018601).

Il reato di minaccia e’ un delitto contro la liberta’ individuale nel particolare aspetto della liberta’ psichica e si concreta nel prospettare a taluno un male ingiusto, il cui avverarsi dipende dalla volonta’ dell’agente; e’ sufficiente che il male prospettato possa incutere timor nel soggetto passivo, menomandone la sfera morale.

Nella fattispecie il Giudice del merito, all’esito di un motivato giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimita’, ha ragionevolmente ritenuto la valenza intimidatrice della condotta minatoria dell’ (OMISSIS), posta in essere con l’esibizione di un’arma da fuoco, apparentemente idonea a ledere, nel contesto di una conflittualita’ assai accesa fra i residenti nel palazzo.

3. Palesemente infondato e’ anche il terzo motivo con il quale il ricorrente denuncia violazione di legge ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla ritenuta inammissibilita’ dei motivi d’appello in tema di concessione delle attenuanti. Il ricorrente sostiene che il suo atto di impugnazione non era generico e aspecifico, sol che si procedesse a una lettura globale dell’atto e delle motivazioni inerenti al trattamento sanzionatorio da parte del giudice di primo grado e assume poi che sia sufficiente l’indicazione dei “punti” della sentenza di primo grado oggetto del richiesto riesame.

Tale ultimo assunto e’ palesemente infondato, perche’ l’articolo 581 c.p.p. esige dall’appellante – alla lettera a) – l’enunciazione non solo dei capi o punti della decisione oggetto di impugnazione ma anche – alla lettera c) – la proposizione dei motivi e l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

La sentenza impugnata riporta poi testualmente il tenore dell’atto di gravame, assumendo – del tutto ineccepibilmente, come questo Collegio ha avuto modo di verificare nell’esercizio del proprio potere-dovere di controllo del fatto processuale – che il motivo si risolveva nella mera richiesta delle attenuanti generiche nella massima estensione, senza il corredo della benche’ minima ragione di fatto e diritto a suo supporto; il ricorso non contrasta e non confuta in alcun modo il corretto rilievo del giudice di secondo grado.

4. E’ pure palesemente infondato il quarto motivo con cui il ricorrente denuncia violazione di legge in punto conferma delle statuizioni civili, disposta nonostante il fatto che la parte civile, ritualmente citata, non fosse comparsa alle udienze del 17 dicembre 2014 e del 22 aprile 2015. Al proposito, il ricorrente invoca la sanzione processuale della revoca tacita della costituzione, che vorrebbe far discendere dagli articoli 82 e 598 c.p.p..

La tesi proposta dal ricorrente si scontra pero’ con l’indirizzo giurisprudenziale consolidato della Corte secondo il quale l’articolo 82 c.p.p., comma 2, limita i casi di revoca presunta o tacita della costituzione di parte civile alle sole ipotesi di omessa presentazione delle conclusioni nel corso della discussione in fase di dibattimento di primo grado. (Sez. 2, n. 7021 del 17/10/2013 – dep. 2014, Striano e altro, Rv. 25955301)

Tale conclusione scaturisce dalla coerente applicazione del principio di immanenza della costituzione di parte civile, previsto dall’articolo 76 c.p.p., comma 2, in virtu’ del quale la parte civile, una volta costituita deve ritenersi presente nel processo anche se non compaia e deve essere citata nei successivi gradi di giudizio ancorche’ non impugnante; l’immanenza viene meno solo nel caso di revoca espressa ovvero nei casi di revoca implicita che non possono essere estesi al di la’ di quelli tassativamente previsti dall’articolo 82 c.p.p., comma 2, (Sez. 5, n. 39471 del 04/06/2013, De Iuliis e altro, Rv. 25719901; Sez. 4, n. 24360 del 28/05/2008, Rago e altri, Rv. 24094201).

Pertanto la mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile, per il principio dell’immanenza della costituzione, non puo’ essere interpretata come revoca tacita o presunta di questa.

La disposizione di cui all’articolo 82 c.p.p., comma 2. vale, infatti, solo per il processo di primo grado ove, in mancanza delle conclusioni non si forma il “petitum” sul quale il giudice possa pronunziarsi, mentre invece le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato e grado del processo. (Sez. 2, n. 24063 del 20/05/2008 – dep. 12/06/2008, Quintile e altro, Rv. 24061601; Sez. 6, n. 48397 del 11/12/2008, Russo e altro, Rv. 24213201).

5. Il ricorso e’ quindi inammissibile per la manifesta infondatezza o l’inammissibilita’ dei motivi proposti. Ne consegue ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del

procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende

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