Suprema Corte di Cassazione
sezione unite
sentenza 7 luglio 2014, n. 15429
Svolgimento del processo
L’avvocato P.O. impugnò avanti al Consiglio Nazionale Forense la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca del 30.9.2011-21.5.2012, con la quale gli era stata inflitta la sanzione disciplinare della cancellazione dall’Albo professionale, per avere svolto, in data 10.12.2010, attività difensiva avanti al Tribunale di Lucca, nonostante fosse stato sospeso, in via cautelare e a tempo indeterminato, con provvedimento del competente Consiglio dell’Ordine in data 11.10.2010, dall’esercizio dell’attività forense; con il quarto motivo di impugnazione, in particolare, l’avv. P. dedusse che l’esercizio della professione durante la sospensione cautelare non era censurabile, in quanto dovuta ad errore scusabile.
Con sentenza n. 195/2013 del 18.7-21.10.2013, il Consiglio Nazionale Forense respinse il ricorso.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente rileva, il Consiglio Nazionale Forense osservò quanto segue:
– il fatto storico per il quale si era proceduto non era mai stato oggetto di contestazione e poteva dunque ritenersi pacificamente ammesso;
– l’avv. P. conosceva la sua condizione di sottoposto a sospensione cautelare o, comunque, era stato posto con ogni mezzo nelle condizioni di conoscerla;
– in ordine alla dedotta scusabilità dell’errore nel quale il ricorrente sarebbe incorso per non avere avuto la consapevolezza della efficacia immediata della sospensione cautelare, doveva escludersi che l’iscritto all’Albo potesse invocare, come esimente della responsabilità disciplinare, la propria ignoranza delle norme che regolano la sua attività, onde la non conoscenza dei precetti deontologici avrebbe in realtà costituito aggravante della violazione contestata e non certo giustificazione della condotta;
– doveva ritenersi l’estrema gravità del comportamento dell’avv. P. , che, svolgendo attività processuale in pendenza di sospensione cautelare, aveva pregiudicato (o, quanto meno, avrebbe potuto compromettere) gli interessi del proprio assistito, trattandosi di attività difensiva inficiata da nullità, che in effetti aveva indotto il Giudice della causa a rimettere la stessa sul ruolo dopo averla introitata per la decisione;
– la sanzione inflitta doveva ritenersi adeguata, trattandosi di comportamento indiscutibilmente grave e lesivo della dignità e del decoro della professione forense.
Avverso l’anzidetta sentenza del Consiglio Nazionale Forense, l’avv. P.O. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, con richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato; ha quindi depositato memoria illustrativa.
Gli intimati Consiglio Nazionale Forense, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca e Procuratore della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze sono rimasti intimati.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti del Consiglio Nazionale Forense e del Procuratore della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze.
Infatti, come è stato affermato da queste Sezioni Unite e va qui ribadito, nel giudizio di impugnazione delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense dinanzi alla Corte di Cassazione, contraddittori necessari – in quanto unici portatori dell’interesse a proporre impugnazione e a contrastare l’impugnazione proposta – sono unicamente il soggetto destinatario del provvedimento impugnato, il consiglio dell’ordine locale che ha deciso in primo grado in sede amministrativa ed il Pubblico Ministero presso la Corte di Cassazione, mentre tale qualità non può legittimamente riconoscersi al Consiglio Nazionale Forense, per la sua posizione di terzietà rispetto alla controversia, essendo l’organo che ha emesso la decisione impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 4446/2002; 9075/2003; 18771/2004; 15289/2006; 19513/2008; 1716/2013; 14746/2014).
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge ex art. 112 cpc, nonché vizio di motivazione, deducendo che, con la sentenza impugnata, non era stato esaminato in alcun modo il profilo di doglianza secondo cui esso ricorrente aveva fatto affidamento, in buona fede, su di un provvedimento di un Giudice del Tribunale di Firenze, che aveva riconosciuto l’efficacia sospensiva dell’impugnativa al Consiglio Nazionale Forense contro la sanzione disciplinare.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’irragionevolezza ed eccessività della sanzione infettagli, assumendo che per l’imputabilità di un’infrazione disciplinare è necessaria la volontarietà dell’atto deontologicamente scorretto e che, in un richiamato procedimento afferente a un diverso incolpato, era stata confermata la sanzione della sospensione dalla professione, nonostante la pluralità delle analoghe infrazioni commesse.
3. Premesso che, come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare, l’avvocato sottoposto a sospensione cautelare dall’esercizio della professione è privo dello ius postulandi, tanto che deve ritenersi inammissibile il ricorso al Consiglio Nazionale Forense ove personalmente proposto dall’avvocato sospeso (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 11213/2008) e che, come pure, con risalente decisione, queste sezioni Unite hanno espressamente precisato, il ricorso al Consiglio Nazionale Forense non ha effetto sospensivo del provvedimento di sospensione cautelare dell’avvocato dall’esercizio professionale (cfr, Cass., SU, n. 831/1971), deve osservarsi che il primo motivo di doglianza si incentra sulla dedotta mancata considerazione, da parte della sentenza impugnata, di uno degli elementi di giudizio addotti dall’interessato a sostegno del motivo di gravame incentrato sulla scusabilità dell’errore in cui sarebbe incorso in ordine all’efficacia sospensiva del ricorso al Consiglio Nazionale Forense.
3.1 Peraltro, come già diffusamente esposto nello storico di lite, la sentenza impugnata si è espressamente pronunciata, nei termini già ricordati, su tale specifico motivo di gravame, ritenendone l’inaccoglibilità, dal che discende l’infondatezza del profilo di censura qui svolto e relativo alla pretesa violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.
3.2 Quanto al pur dedotto vizio di motivazione, va tenuto presente che, nel presente giudizio, trova applicazione il disposto dell’art. 360, comma 1, n. 5, cpc, nel testo vigente a seguito della riformulazione dello stesso attuata dall’art. 54 dl n. 83/12, convenuto con modificazioni nella legge n. 134/12, considerato che la sentenza impugnata è stata depositata il 21.10.2013.
In proposito le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare i principi secondo cui:
– la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cpc, disposta dall’art. 54 dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, cosicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;
– l’art. 360, primo comma, n. 5, cpc, riformulato dall’art. 54 del dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cpc, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., SU, nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014).
3.3 Nel caso di specie il fatto storico non espressamente considerato dalla sentenza impugnata (vale a dire il ricordato provvedimento del Tribunale di Firenze che aveva riconosciuto l’efficacia sospensiva dell’impugnativa al Consiglio Nazionale Forense contro la sanzione disciplinare) è in sé privo del carattere di decisività, non potendo ravvisarsi, quale conseguenza logicamente necessitata dal medesimo e, come tale, comportante un diverso esito del giudizio, il riconoscimento di un errore scusabile in ordine alla legittimità della condotta professionale oggetto di incolpazione.
3.4 Né, attesa la sussistenza sul punto di una motivazione effettiva e non meramente apparente, coerente con le circostanze esaminate e scevra da elementi di illogicità, la mancata espressa considerazione dell’emergenza istruttoria dedotta dal ricorrente può concretizzare un’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé.
3.5 Il motivo all’esame, nei distinti profili in cui si articola, non può pertanto trovare accoglimento.
4. Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che, in sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 56, comma terzo, rdl 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità, salvo che si traducano in palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito (cfr, Cass., SU, n. 7103/2007).
Oltre a ciò, essendo le suddette decisioni soggette all’obbligo di motivazione sancito per ogni provvedimento giurisdizionale dall’art. 111 della Costituzione, esse possono esser censurate dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione anche per difetto di motivazione, nei termini già più sopra precisati a seguito della modificazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cpc; alla luce dei ricordati principi enunciati da queste Sezioni Unite, deve pertanto escludersi che la deduzione di tale vizio possa essere tesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto, ovvero un sindacato sulla scelta discrezionale del Consiglio in ordine al tipo e all’entità della sanzione, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di sostituirsi all’organo disciplinare né nell’enunciazione di ipotesi di illecito nell’ambito della regola generale di riferimento, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, né nell’apprezzamento della rilevanza dei fatti rispetto alle incolpazioni (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 130/1999; 148/1999; 4802/2005; 20360/2007).
4.1 La coerente ed esaustiva motivazione della sentenza impugnata, nei termini già esposti, esclude il dedotto profilo di irragionevolezza della decisione assunta, dovendo altresì osservarsi che, a tale specifico riguardo, il sindacato di ragionevolezza non può prendere a parametro di valutazione, come preteso dal ricorrente, la sanzione inflitta, in un differente giudizio ed in diverse circostanze fattuali, ancorché per violazioni deontologiche similari, ad altro avvocato.
4.2 Né può censurarsi in questa sede la sanzione inflitta sotto il profilo della sua adeguatezza, in quanto, come è stato costantemente affermato da queste Sezioni Unite e va qui ribadito, in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale è riservato agli organi disciplinari, cosicché la determinazione della sanzione inflitta all’incolpato dal Consiglio Nazionale Forense non è censurabile in sede di legittimità, salvo il caso di assenza di motivazione (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 326/2003; 1229/2004; 11564/2011; 13791/2012; 9032/2014), ciò che palesemente non ricorre nel caso di specie.
4.3 Anche il secondo motivo non può pertanto essere accolto.
5. Con la memoria illustrativa il ricorrente ha dedotto la violazione del combinato disposto degli artt. 52 e 59 legge n. 247/12, deducendo che, in forza di tale normativa, non è più prevista l’irrogazione della sanzione della cancellazione dall’albo professionale; la doglianza è tuttavia inammissibile, non essendo stata svolta con il ricorso per cassazione.
6. In definitiva il ricorso va rigettato, con conseguente assorbimento della richiesta di sospensiva.
Non è luogo a provvedere sulle spese, in mancanza di attività difensiva da parte degli intimati.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dprn. 115/02.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Consiglio Nazionale Forense e del Procuratore della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze; rigetta il ricorso nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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