iva

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 9 marzo 2016, n. 4613

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13380/2010 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI AVEZZANO in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 84/2009 della COMM.TRIB.REG. dell’ABRUZZO, depositata il 03/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2015 dal Consigliere Dott. TRICOMI Laura;

udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Curatela del Fallimento (OMISSIS). SRL impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale dell’Aquila tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2001, 2003 e 2004, con i quali la Agenzia delle entrate recuperava l’IVA portata in detrazione dalla Curatela sugli acquisti, sulla considerazione che cio’ era da considerarsi indebito in quanto la societa’, a fronte di fatture attive emesse senza addebito di imposta per canoni di locazione, aveva portato in detrazione costi relativi a parcelle di professionisti e spese varie del fallimento, contravvenendo al disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, comma 5.

2. La sentenza di primo grado n. 130/03/08, favorevole alla Curatela, veniva integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza n. 84/01/09, depositata il 03.11.09 e non notificata.

Il giudice di secondo grado, dopo avere rilevato che l’attivita’ di locazione era iniziata assai prima del fallimento, nel 1994, escludeva che tale attivita’ potesse essere definita occasionale, unica circostanza questa che avrebbe potuto giustificare la non applicazione del regime IVA. In proposito precisava che qualsiasi attivita’ continuativa svolta dall’azienda rientrava nel regime fiscale proprio dell’impresa, anche se estraneo o parzialmente estraneo all’oggetto sociale. La prosecuzione della locazione in corso di fallimento (dichiarato il 20.12.2000/11.01.2001), senza soluzioni di continuita’, confermava l’irrilevanza di tale condizione rispetto alla soggezione dell’attivita’ al regime IVA.

3. La Curatela propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale replica con controricorso l’Agenzia delle entrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con l’unico motivo di ricorso la Curatela lamenta la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis, comma 2, e articolo 10.

Sostiene la ricorrente che i contratti di locazione erano da considerare come “operazioni che non formavano oggetto dell’attivita’ propria del soggetto passivo”, rappresentata dall’esercizio di “commercio all’ingrosso di materiali da costruzione” e che, a seguito del fallimento, l’attivita’ di impresa era sostanzialmente cessata.

A corredo formulava il seguente quesito ” La locazione di immobili effettuata da una societa’ il cui oggetto dell’attivita’ propria di impresa sia completamente diverso e dissimile da quello statutario, tanto piu’ se fallita e quindi in una fase straordinaria di gestione, deve essere considerata attivita’ di impresa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis, comma 1, oppure, proprio perche’ estranea all’oggetto sociale e comunque riguardante una fase anomala della societa’, deve considerarsi esclusa dal calcolo del pro-rata generale, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 19 bis, comma 2, perche’ non forma oggetto dell’attivita’ propria del soggetto in quanto rientrante nelle fattispecie previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 10, da 1 a 9?”.

1.2.1. Il motivo e’ inammissibile e va respinto.

1.2.2. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, al comma 5, stabilisce “5. Ai contribuenti che esercitano sia attivita’ che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attivita’ che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10, il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare e’ determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19 bis”.

Di seguito il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis, definisce al comma 1, le modalita’ di calcolo “1. La percentuale di detrazione di cui all’articolo 19, comma 5, e’ determinata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo. La percentuale di detrazione e’ arrotondata all’unita’ superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi.”, ed al comma 2, fissa alcune deroghe, tra cui quella invocata dalla Curatela ricorrente “2. Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto (….), quando non formano oggetto dell’attivita’ propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del predetto articolo 10, ferma restando la indetraibilita’ dell’imposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni”.

1.2.3. Cio’ premesso sul piano normativo, va ricordato – in via di principio – che ai fini della determinazione dell’imposta a carico dell’impresa, nel sistema IVA della rivalsa e della detrazione, cio’ che rileva e’ l’effettivo volume di affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate nell’esercizio dell’attivita’ imprenditoriale (Decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972, articolo 1). Ne discende che, cosi’ come le operazioni passive che abbiano comportato il pagamento dell’IVA in rivalsa non danno diritto a detrazione se non rientrano nell’attivita’ propria dell’impresa, poiche’ non hanno contribuito a determinare l’entita’ delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi che costituiscono l’oggetto dell’attivita’ imprenditoriale, per la medesima ragione – a contrario – le operazioni attive esenti estranee a quell’oggetto non possono rientrare nel calcolo del pro- rata di riduzione dell’IVA detraibile (Cass. 10528/98). Cio’ in quanto – com’e’ del tutto evidente – la determinazione dell’effettivo volume di affari del contribuente, sul quale e’ destinata ad incidere l’imposta, non puo’ essere effettuata se non sulla base dell’attivita’ in concreto dal medesimo esercitata.

In tale prospettiva il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis, comma 2, impone quindi di tenere conto anche delle operazioni esenti al fine della determinazione della percentuale di indetraibilita’ (c.d. pro rata), quando queste formino oggetto “dell’attivita’ propria dell’impresa” (Cass. 11085/08). L’esigenza, ai fini della determinazione dell’imposta, di tenere conto del coacervo delle operazioni di cessione e di prestazione di servizi effettuate nell’esercizio effettivo dell’impresa, comporta, infatti, la necessita’ di avere riguardo, non gia’ all’attivita’ previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, bensi’ a quella realmente svolta dal contribuente nell’esercizio dell’impresa.

Come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare con principio a cui intende darsi continuita’, “In tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell’attivita’ propria di una societa’, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale d’imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (cosiddetto “pro rata”), occorre avere riguardo non gia’ all’attivita’ previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa: ai fini dell’imposta, rileva infatti il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e quindi l’attivita’ in concreto esercitata.” (Cass. n.6574/2008; cfr. anche nn. 912/2006, 17226/2006, 19484/2009, 22243/2009).

A tal fine, pertanto, oltre agli atti che tipicamente esprimono il raggiungimento del fine produttivo enunciato nell’atto costitutivo dell’ente, occorre avere riguardo anche a quelle attivita’ ulteriori che si raccordino con detto fine secondo parametri di regolarita’ causale, o che siano comunque ad esso legate da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale (Cass. 6194/01, 9762/03, 11073/06, 6574/08, 5970/2014).

1.2.4. Nel caso in esame, la Commissione Regionale, facendo corretta applicazione dei su esposti principi, ha affermato, nella ricostruzione della fattispecie concreta, la rilevanza dello svolgimento dell’attivita’ locativa nell’ambito della attivita’ di impresa in quanto perdurante nel tempo e svolta dalla societa’ contribuente sia prima che dopo il fallimento senza soluzione di continuita’ : tale accertamento in fatto non e’ oggetto di censura in Cassazione.

1.2.5. La censura, incardinata come violazione di legge sulla non riconducibilita’ della locazione all’attivita’ previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale e, in modo criptico, sul sopravvenuto fallimento, nonostante la prosecuzione senza alcuna modifica dei rapporti locativi, risulta svolta in modo formalistico in quanto non tiene conto della differente ricostruzione in fatto operata dalla CTR e non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

1.3. Ne consegue il rigetto del motivo per inammissibilita’.

2. In conclusione il ricorso va rigettato per inammissibilita’ del motivo, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:

– rigetta il ricorso per inammissibilita’ del motivo;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida nel compenso di euro 1.800,00, oltre spese prenotate a debito.

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