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Quanto alla prima, vi e’ da notare che la Commissione tributaria regionale laziale e’ incorsa in un errore di fatto che, sulla scorta di quanto riportato in ricorso cosi’ rispettandosi il principio di autosufficienza, risulta del tutto palese.
Infatti nelle parti della motivazione dell’avviso di accertamento impugnato considerate dal giudice tributario di appello (f. 14-21) e’ chiaramente indicato che la somma di Euro 2.463.000 rappresenta i ricavi complessivi dichiarati dalla contribuente nel 2009, mentre la somma di Euro 2.456.894 e’ quella determinata a seguito della rettifica induttiva dei soli ricavi da vendite al dettaglio, dichiarati dalla societa’ verificata nella misura inferiore di Euro 2.226.191.
Emerge dunque con chiarezza che la ripresa fiscale ha, esclusivamente, ad oggetto i ricavi da vendite al dettaglio.
Questo era pertanto il “fatto controverso” in contestazione tra le parti e l’omesso esame dello stesso da parte della CTR e’ appunto manifesto. In conclusione la motivazione della sentenza impugnata sul punto decisionale de quo si pone al di sotto del “minimo costituzionale” (cfr. SU 8053/2014).
Quanto alla seconda censura, va anzitutto ribadito che:
– “In tema d’IVA, l’accertamento induttivo avente ad oggetto la ricostruzione delle rimanenze iniziali e finali puo’ essere effettuato o sulla base dei dati della contabilita’ aziendale, che costituiscono prova a carico del contribuente e di cui deve presumersi l’esattezza, o attraverso la ricerca di elementi che contraddicano in modo inoppugnabile i dati forniti dal contribuente” (Sez. 5, Sentenza n. 15615 del 27/07/2016, Rv. 640629 – 01);
-“In tema di accertamento del reddito d’impresa, pur in presenza di contabilita’ regolare, ma sostanzialmente priva di garanzia di affidabilita’ e congruita’ sostanziali, il fisco puo’ utilizzare qualsiasi elemento probatorio e fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cosiddette “supersemplici”, cioe’ prive dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, comma 3, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non e’ stato prodotto o e’ stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio” (Sez. 5, Sentenza n. 15027 del 02/07/2014, Rv. 631522 01);
– “In tema di imposte sui redditi, e’ legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 2, lettera d), qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, cosi’ violando la prescrizione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 15, comma 2” (Sez. 5 -, Sentenza n. 5995 del 08/03/2017, Rv. 643305 – 01).
La sentenza impugnata contrasta con tutti e tre i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, in particolare non considerando adeguatamente il valore indiziario della sopravalutazione delle rimanenze finali e, soprattutto, l’irregolarita’ contabile consistente nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 15, comma 2, pacificamente sussistente e contestata nel caso di specie, come pure, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, evidenziato dall’agenzia fiscale ricorrente.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ad entrambi i motivi dedotti, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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