Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 23 novembre 2017, n. 53323. Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente: i c.d. “disturbi della personalità”

Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i “disturbi della personalità”, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di “infermità”, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale i fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di “infermità

Corte di Cassazione

sezione prima penale

sentenza 4 luglio – 23 novembre 2017, n. 53323
Presidente Bonito – Relatore Rocchi

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Napoli, in parziale riforma di quella del G.U.P. del Tribunale di Napoli appellata da C.V., escludeva l’aggravante del mezzo insidioso di cui all’art. 577, comma 1, n. 2 cod. pen. e rideterminava la pena nei confronti dell’imputato in anni trenta di reclusione.
C. è imputato dell’omicidio premeditato ed aggravato della moglie D.F.G.. Secondo l’imputazione, egli aveva seguito la moglie con la propria autovettura, l’aveva investita facendola cadere al suolo, l’aveva fatta salire a bordo, cosparsa di benzina e, mentre ella si dava alla fuga, l’aveva inseguita e le aveva dato fuoco con un accendino e della carta; C. è imputato anche del delitto di maltrattamenti in danno della moglie che quotidianamente percuoteva, umiliava e ingiuriava anche di fronte alla figlia minore.
Poiché i motivi di ricorso hanno per oggetto esclusivamente il mancato riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere e la sussistenza dell’aggravante della premeditazione, l’esposizione si limita ai dati rilevanti.
La Corte aveva disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale conferendo incarico per una perizia psichiatrica sull’imputato, anche se il Giudice di primo grado aveva già disposto C.T.U. al fine di accertarne la capacità di intendere e di volere al momento del fatto e la capacità di partecipare al processo.
La sentenza impugnata dava atto che il C.T.U. nominato dal Giudice dell’udienza preliminare aveva concluso per la sussistenza della piena capacità di intendere e di volere dell’imputato; anche i risultati della nuova perizia non si discostavano dalla precedente, avendo il perito concluso per la capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto.
C. è risultato affetto soltanto da un disturbo dell’adattamento, condizione insufficiente per negare la capacità di intendere e di volere; inoltre, in passato, non aveva manifestato sintomi psicopatologici della sfera psicotica. I medicinali somministrati all’imputato in carcere non erano in stretta correlazione con una patologia psichiatrica, avendo azione esclusivamente sintomatologica. Non emergeva alcuna compromissione della capacità di intendere e di volere.

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