Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 23 novembre 2017, n. 53323. Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente: i c.d. “disturbi della personalità”

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La Corte ricordava che le stesse parole dell’imputato dimostravano la premeditazione del delitto: egli aveva riferito che, in conseguenza del peggioramento dei rapporti con la moglie, nel corso del tempo era cresciuta la sua rabbia e da alcuni giorni egli aveva deciso il suo gesto. Risultava palese la presenza di una perdurante determinazione criminosa nell’agente senza soluzione di continuità e senza ripensamenti dal momento del concepimento dell’azione antigiuridica fino alla sua realizzazione.
Per di più, emergeva un’accurata predisposizione dei mezzi usati per eseguire il delitto. In definitiva, l’azione non era frutto di un impulso momentaneo, ma il punto di arrivo del crescendo della determinazione omicidiaria che covava e si rafforzava da tempo nell’animo dell’imputato.
Due settimane prima la figlia aveva visto il padre nel gesto di mettere le mani al collo alla madre, quasi a strangolarla e solo le urla della donna l’avevano dissuaso a proseguire; inoltre – come confidato dalla vittima alla figlia – già in precedenza C. l’aveva seguita con l’autovettura. La figlia aveva affermato che il padre mostrava odio e cattiveria nei confronti della moglie e la minacciava di morte, seppure in maniera strana, con frasi del tipo: “devo trovare il modo di farti fuori”.
2. Ricorre per cassazione il difensore di C.V. , deducendo in un primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente incidente sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto.
La Corte territoriale, pur partendo dal presupposto che l’imputato è affetto da disturbo dell’adattamento con sintomatologia ansioso-depressiva reattiva di grado medio – grave in soggetto con tratti di personalità mista, non l’aveva considerata una vera e propria malattia mentale e si era adagiata sull’assenza di pregressi contatti dell’uomo con strutture deputate alla cura di tale patologia, senza tenere conto della condizione socio – economica del soggetto e dell’anamnesi carceraria. La direzione del carcere di (OMISSIS) aveva sottoposto C. a molti controlli psichiatrici, somministrando continuativamente farmaci psicoterapici.
La Corte si era appiattita sulle conclusioni del perito, senza tenere conto della storia pregressa di C. che fin dalla giovane età aveva manifestato fenomeni antisociali.
Gli accertamenti sulla persona dell’imputato, comunque, erano stati effettuati quando egli era ormai in stato di sedazione farmacologica conseguente alla somministrazione di farmaci.
Nel recepire i risultati della perizia, la Corte non aveva tenuto conto del comportamento di C. successivo al delitto, il quale dimostrava di non avere compreso il significato e il disvalore della propria azione, nonché delle informazioni rese dai vicini di casa.
In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge penale per la mancata esclusione della premeditazione, oggetto di specifico motivo di appello.
L’azione – cosciente o meno – era stata compiuta dall’imputato in conseguenza di una estemporanea risoluzione criminosa determinata da pensieri deliranti ed ossessivi di una persona malata o grandemente disturbata nelle sue capacità psichiche cognitive, del tutto incompatibili con la premeditazione.
La sentenza non aveva individuato il momento dell’insorgenza del proposito criminoso e, quindi, era mancante di motivazione sul tema della premeditazione. Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
In effetti, il ricorrente non fa che avanzare considerazioni in fatto riproponendo quelle già esposte ai giudici di merito – senza affatto dimostrare la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, motivazione che viene, in sostanza, ignorata.
Quanto alla asserita parziale incapacità di intendere e di volere dell’imputato, oggetto del primo motivo di ricorso, la Corte territoriale aveva come punto di riferimento ben due perizie d’ufficio – la prima disposta dal giudice di primo grado, la seconda dalla stessa Corte territoriale in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – che concludevano per la piena capacità dell’imputato.

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