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Ancora, l’ordinanza avrebbe erroneamente valutato la posizione del coimputato (OMISSIS), condebitore in solido nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; in particolare, non avrebbe verificato che i beni sequestrati alla ” (OMISSIS)” (societa’ riferibile a quest’ultimo e ritenuta vero “polmone finanziario del gruppo e quindi mezzo per compiere i reati oggetto del procedimento”) erano del tutto adeguati a soddisfare le pretese dell’Agenzia stessa; non si comprenderebbe, pertanto, per quale ragione non avrebbe acquisito tali documenti, idonei a dimostrare che lo Stato aveva gia’ ottenuto integrale risarcimento del danno. Anche sul punto, peraltro, la motivazione dell’ordinanza risulterebbe viziata. Da ultimo, lo stesso provvedimento – pur riducendo sensibilmente la somma oggetto di cautela – non avrebbe adeguatamente motivato in forza di quali parametri questa sarebbe stata quantificata; al riguardo, infatti, si sarebbe utilizzato un conteggio dell’Agenzia delle Entrate gia’ tacciato di genericita’ dalla Corte di cassazione; e senza considerare, peraltro, che la Corte di appello aveva gia’ annullato – a carico del (OMISSIS) – il capo di condanna relativo alle statuizioni civili, rimandando sul punto al giudice civile per la determinazione del quantum. Una motivazione palesemente errata ed in contrasto con la lettera della legge, dunque, che peraltro non avrebbe riconosciuto alcun pregio alla sentenza 18/3/2013, irrevocabile, con la quale il Tribunale di Milano aveva rigettato la richiesta (proposta dalla citata Agenzia) di revocatoria ordinaria del fondo patrimoniale costituito dal ricorrente e dalla moglie il 27/2/2006.
Si chiede, pertanto, annullarsi l’ordinanza impugnata, che non rispetterebbe il principio di proporzione tra credito da garantire ed ammontare del debito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato quanto alla prima ed assorbente doglianza.
Al riguardo, occorre innanzitutto muovere dal dictum della sentenza n. 9851/15, emessa da questa Corte suprema il 19/1/2015 su ricorso del (OMISSIS); con la stessa – che annullava con rinvio la precedente decisione della Corte di data appello in data 29/3/2013 – si ordinava una rinnovata valutazione “sui limiti quantitativi entro cui va mantenuto il sequestro conservativo”, cio’ al fine di osservare “una ragionevole proporzionalita’ tra crediti da garantire ed ammontare del debito”. Nel corpo della medesima decisione, inoltre, si censurava che il Collegio di merito – pronunciandosi sul punto – avesse apoditticamente confermato il sequestro nella misura originaria, “pur a fronte della declaratoria di prescrizione dei tre reati”; ancora, si affermava che la sentenza impugnata non conteneva “nessun elemento concreto” a supporto della persistenza di ritenuti danni molto rilevanti, “e soprattutto della dimensione quantitativa, anche solo approssimativa, di tali danni”.
4. Questa pronuncia di legittimita’, peraltro, deve esser letta in uno con la precedente n. 40559/12 del 4/4/2012, con la quale – impugnata la sentenza del Collegio di appello di Milano in data 24/6/2010 – la Corte suprema aveva dichiarato la prescrizione dei reati (ascritti al ricorrente) sub capi V), W) e Z) (che si aggiungevano al capo U, gia’ dichiarato prescritto con la sentenza d’appello appena citata); nell’ambito della stessa pronuncia, peraltro, questa Corte aveva affermato che: 1) la sentenza di appello, pur confermando la condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, ne aveva demandato la liquidazione alla sede civile, eliminando la condanna nel “quantum” stabilita dal giudice di primo grado; 2) tale argomento doveva esser condiviso, con conseguente rimessione al (solo) giudice civile per la determinazione dell’ammontare dei citati danni.
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