Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 3 ottobre 2017, n. 45530. Violenza sessuale aggravata dall’abuso di posizione dominante e non di consenso presunto nel caso di atti sessuali compiuti da un pubblico ufficiale

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5. Anche il quinto motivo, al pari del primo, consta di doglianze del tutto generiche ed indeterminate, limitandosi con esse il ricorrente a censurare la mancata valutazione del fatto nella sua globalita’ sulla base di massime di questa Corte pedissequamente riprodotte, senza indicare in quali omissioni, ovvero quali specifici elementi non siano stati tenuti in considerazione ai fini del diniego dell’attenuante della minore gravita’ di cui all’articolo 609 bis c.p., u.c.. Per contro la sentenza impugnata da conto con puntuale e coerente motivazione, sul punto richiamando anche la sentenza di primo grado con la quale comunque e’ chiamata ad integrarsi della valenza particolarmente negativa della condotta posta in essere dall’imputato in relazione sia all’incisivita’ dell’atto sessuale, culminato in una penetrazione vaginale, sia all’abuso di autorita’ derivante dalla funzione ricoperta dall’imputato, circostanze entrambe volte ad escludere un’attenuata compressione della liberta’ sessuale della vittima, su cui si fonda l’applicabilita’ dell’attenuante in esame. Invero la laconica espressione legislativa che si limita ad indicare “la minore gravita’ del fatto” impone all’interprete, al fine di individuare la ratio sottesa alla minore riprovevolezza prevista dal legislatore in punto di trattamento sanzionatorio, di muovere dal bene giuridico protetto dal reato base che, avuto riguardo alla collocazione della norma codicistica all’interno del capo dedicato ai delitti contro la liberta’ individuale – collocazione questa che ha costituito la novita’ piu’ pregnante della riforma introdotta dalla L. n. 66 del 1996 contro la violenza sessuale -, nonche’ alla formulazione del precetto, elemento costitutivo del quale e’ la mancanza della volonta’ consenziente all’atto sessuale, deve identificarsi nella liberta’ sessuale intesa come esplicazione dell’autodeterminazione dell’individuo nella sfera sessuale. Conseguentemente in tanto puo’ ritenersi configurabile la minore gravita’ in quanto venga lesa in misura attenuata la liberta’ sessuale della vittima e dunque il fatto assuma connotazioni di minor gravita’ per quanto concerne la sua stessa materialita’, cosi’ come ritenuto dai giudici di merito che hanno correttamente dato rilievo agli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., comma 1.
6. In ordine alla determinazione della pena, costituente l’oggetto del sesto motivo di ricorso, occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte secondo cui la graduazione della pena in concreto costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge rientrante nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 cod. pen., con conseguente inammissibilita’ delle censure che, nel giudizio di cassazione, mirino ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596): pertanto immune da censure risulta la dosimetria della pena effettuata dalla Corte capitolina che ha adeguatamente assolto all’onere motivazionale a suo carico indicando nella qualifica pubblicistica dell’imputato e nelle modalita’ della condotta criminosa gli elementi in base ai quali ha ritenuto di discostarsi dal minimo edittale.
All’esito del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 in favore della Cassa delle Ammende. Devono altresi’ essere poste a carico del ricorrente le spese processuali sostenute dalla parte civile, ritualmente costituitasi, in relazione al presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.500, oltre accessori come per legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

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