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Non puo’ non rilevarsi che l’alternativa ipotesi di traslazione tributaria c.d. occulta – cosi’ e’ tradizionalmente definita nel caso in cui le parti tengono conto, per determinare l’entita’ di una prestazione corrispettiva pecuniaria, dell’importo che per debiti tributari si trova a carico della parte cui sara’ corrisposta, cosi’ da inglobarlo nella prestazione stessa – correttamente deve definirsi traslazione economica, giacche’ incide esclusivamente su una valutazione, appunto, di tal genere, senza comportare alcun occultamento ne’ alcuna fittizieta’ nel negozio giuridico, bensi’ rimanendo ad un livello anteriore – economico – rispetto a quello – giuridico dell’esercizio dell’autonomia negoziale. Se, allora, la traslazione occulta di imposta giuridicamente non esiste – poiche’ giuridicamente sussiste soltanto la concordata determinazione del sinallagma contrattuale -, l’unica traslazione giuridicamente esistente, ovvero rilevante, e’ quella che altrettanto tradizionalmente viene definita palese.
3.1.2 Il debito tributario discende dalla legge: e i vari testi normativi di livello ordinario disciplinano le corrispondenti fonti del debito. A monte, cioe’ a livello costituzionale, l’articolo 53 Cost., stabilendo che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita’ contributiva” – detta capacita’ contributiva incidendo poi sui “criteri di progressivita’” del sistema tributario -, concretizza, come da tempo si e’ sine dubio riconosciuto, uno dei “doveri inderogabili di solidarieta’” di cui impone l’adempimento l’articolo 2 Cost..
Il nucleo della questione, allora, puo’ identificarsi nel quesito se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacita’ contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo – nel senso di obbligo di adempiere a quanto e’ giustificato dalla capacita’ contributiva – oppure anche soggettivo – nel senso che l’adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresi’ dal soggetto che per legge ne ha l’obbligo, escludendosi quindi il trasferimento dell’obbligo ad un soggetto diverso. Tenendo ben in conto l’articolo 53 Cost. – la cui natura e’ stata da tempo riconosciuta come imperativa, e quindi come direttamente precettiva. – occorre pertanto chiarire se, a parte le ipotesi in cui vi siano espressi divieti di traslazione da parte di specifiche norme tributarie, sull’individuazione del soggetto passivo dell’imposta possa incidere l’autonomia negoziale privata, neutralizzando cosi’ gli effetti della capacita’ contributiva.
3.2 Da decenni la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha esaminato il problema, da un lato dovendo considerare appunto il rilievo di norme specifiche sulla validita’ di simili accordi, dall’altro dovendo fronteggiare le varie ipotesi in cui l’accordo traslativo del debito d’imposta viene ad inserirsi in un piu’ ampio quadro negoziale, in cui sussista pure un contratto tipico a prestazioni corrispettive. Il che, ineludibilmente, ha reso necessario individuare se nei casi in esame si trattava di una compresenza – e quindi di un accordo autonomo anche se materialmente racchiuso in un unico documento negoziale, accordo la cui autonomia impediva altresi’ la qualificazione come misto del contratto, non essendo questo unico – o di una essenza – ovvero se l’accordo traslativo costituiva un componente del sinallagma di un unico contratto, e precisamente un elemento annoverabile tra quelli realizzanti la sua corrispettivita’ -. Un’uniformita’ ermeneutica non e’ mai stata compiutamente raggiunta neppure tra gli arresti massimati, come ora si verra’ sinteticamente a illustrare.
3.2.1 A prescindere dall’incidenza, che qui invero non appare rilevante, dell’obbligo di rivalsa, la cui violazione e’ stata considerata causa di nullita’ di un inverso accordo di rimborso ex articolo 1418 c.c., comma 1, (v. p. es. gia’ Cass. sez. L, 16 gennaio 1981 n. 381, Cass. sez. L, 17 gennaio 1981 nn. 406 e 407 e Cass. sez. L, 2 giugno 1982 n. 3349), in tema di accordo traslativo dell’imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili la risalente Cass. sez. 1, 11 dicembre 1974 n. 4181 – in presenza di una norma specifica comminante nullita’, la L. 5 marzo 1963, n. 246, articolo 40, – non solo ha dichiarato la nullita’ dei patti diretti a trasferire a soggetti diversi dal soggetto passivo di tale imposta l’onere da questa derivante, sia nei confronti dell’erario sia inter partes, ma altresi’ ritenuto che detta nullita’ investisse non solo la traslazione dei contributi di miglioria specifica ma anche la traslazione dell’imposta sull’incremento di valore in senso proprio. Pochi anni dopo Cass. sez. 1, 6 marzo 1979 n. 1398 ha invece affermato che la nullita’ del patto di traslazione colpisce “solo le convenzioni relative all’accollo, da parte di soggetti diversi dall’obbligato, dell’onere del contributo della miglioria specifica”, non potendo invece “estendersi anche ai patti traslativi dell’imposta sul plusvalore delle aree fabbricabili”: e questa – estratta da una interpretazione letterale della norma specifica, senza inserimento in una prospettiva sistemica – e’ stata la posizione eletta da S.U. 20 luglio 1981 n. 4675, cui ha aderito pure Cass. sez. 2, 28 aprile 1983 n. 5203.
3.2.2 Il filone giurisprudenziale piu’ noto – e di cui maggiormente si sono qui avvalse le parti nel loro analitico contraddittorio – prende le mosse, invece, da Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 n.5, la pronuncia che ha messo in gioco l’articolo 53 Cost., dichiarando nulla, per contrasto con esso e ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, “la clausola del contratto di mutuo, la quale, sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti, ponga a carico del mutuatario quanto il mutuante sia tenuto a versare all’erario per IRPEG ed ILOR afferenti gli interessi convenuti”: e il contrasto con l’articolo 53 Cost., viene riscontrato perche’ il “principio del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacita’ contributiva”, che la norma detta con “immediato valore vincolante”, viene a tradursi “nel divieto inderogabile per il debitore d’imposta, sia diretta e indiretta, di riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su un patrimonio diverso da quello rispetto al quale e’ contemplato il prelievo fiscale”.
La pronuncia, in effetti, desume dall’articolo 53, l’esclusione di un patto finalizzato al trasferimento su altri soggetti dell’onere di concorrere alle spese pubbliche, ritenendo che diversamente si sottrarrebbe la capacita’ contributiva del soggetto ai doveri sociali di solidarieta’, nonostante il soggetto stesso continui a beneficiare i vantaggi della vita associata; dunque l’articolo 53, comma 1, non si riferirebbe ad un dovere generico di pagamento delle imposte, bensi’ a un dovere di concorrere alle spese pubbliche, onde ad ogni capacita’ contributiva dovrebbe far seguito una diminuzione del patrimonio del titolare della capacita’ stessa, risultando precluso il concorrere alle spese pubbliche attingendo ad una capacita’ contributiva altrui.
Inequivoca pertanto e’ la lettura della capacita’ contributiva come parametro che individua dell’obbligo tributario sia il soggetto che ne e’ gravato sia quel che ne e’ la fonte generale e primaria in relazione ad ogni specie di tributo.
Tale sentenza avendo creato una forte ripercussione, anche negli ambienti dottrinali, si e’ poco dopo verificato l’intervento, per un caso analogo, della gia’ richiamata S.U. 18 dicembre 1985 n. 6445, che giunge ad una decisione opposta, ritenendo una siffatta clausola nell’ambito del contratto di mutuo esente da violazione di norme imperative, incluso l’articolo 53 Cost.: e’ infatti diretta a garantire un determinato ammontare netto degli interessi convenuti – ovvero, rientra nel sinallagma contrattuale – e, come enuncia la massima, “non implica che l’imposta afferente un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, obbligatosi a pagarla in sua vece e conto, ma configura una mera traslazione convenzionale del carico di imposta, da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge (per finalita’ peculiari di singoli tributi), e si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all’erario, senza alcun esonero ne’ da quest’ultimo versamento, ne’ dall’obbligo di dichiarare all’amministrazione finanziaria il maggior reddito conseguente al rimborso di tale versamento, e di pagare le ulteriori imposte dovute sullo stesso maggior reddito”.
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