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Inoltre, il giudice di appello avrebbe errato a ritenere sussistente la potenzialita’ lesiva delle “affermazioni incriminate”, estrapolandole dal contesto del libro che intendeva soltanto evidenziare una critica al giornalismo italiano in generale nell’ambito dell’esperienza personale vissuta dall’autore come giornalista del quotidiano “(OMISSIS)”.
La Corte territoriale, infine, avrebbe errato nel riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di diffamazione, posto che questo era escluso dal carattere autobiografico del libro, volto a mettere in rilievo la personale esperienza giornalistica dell’autore, all’epoca della vicenda narrata assai conflittuale con la testata per cui lavorava, in quel contesto (e non gia’ al momento della pubblicazione del libro) dovendosi valutare il convincimento, corretto, che lo stesso autore si era formato sul fatto che i colleghi giornalisti erano entrati a (OMISSIS) solo il giorno del loro arresto.
2.1. – Il motivo e’ in parte infondato e in parte inammissibile.
2.1.1. – E’ infondato la’ dove postula che la Corte di appello, nel valutare la sussistenza sia dell’elemento oggettivo, che di quello soggettivo del reato di diffamazione addebitato agli originari convenuti, abbia commesso degli errores in iudicando.
2.1.1.1. – Quanto all’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 595 c.p., il giudice di secondo grado – basandosi sull’accertamento di fatto sinteticamente riportato al § 2.1. del “Rilevato che”, cui si rinvia – si e’ congruamente attenuto al principio secondo il quale: “in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, non e’ necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, purche’ la sua individuazione avvenga, in assenza di una esplicita indicazione nominativa, attraverso tutti gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva diverse da quella della cui illiceita’ si tratta, se la situazione di fatto sia tale da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia e’ riferita” (Cass., 27 agosto 2015, n. 17207; analogamente, in precedenza, Cass., 6 agosto 2007, n. 17180, Cass., 28 settembre 2012, n. 16543).
2.1.1.2. – In relazione, poi, alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di diffamazione, la Corte territoriale – alla stregua dell’accertamento sintetizzato al § 2.2. del “Rilevato che”, cui si rinvia – ha fatto corretta applicazione del principio per cui, in tema di diffamazione, e’ necessario e sufficiente che ricorra il dolo generico, anche nelle forme del dolo eventuale, cioe’ la consapevolezza di offendere l’onore e la reputazione altrui, la quale si puo’ desumere dalla intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni usate (Cass., 20 dicembre 2007, n. 26964, che richiama la giurisprudenza penale di questa Corte in materia).
2.1.2. – Sono poi inammissibili le doglianze che aggrediscono la motivazione in relazione agli accertamenti in fatto in forza dei quali la Corte di appello ha correttamente operato il giudizio di sussunzione rispetto alla fattispecie legale di riferimento (reato di diffamazione), senza che tale motivazione venga idoneamente censurata ai sensi del vigente articolo 360 c.p.c., n. 5. E cio’ anche per quanto concerne il profilo (evidenziato specificamente dalla memoria) del supposto mancato esame del “fatto storico” della distanza temporale tra l’arresto dei giornalisti (marzo 2003) e pubblicazione del libro (novembre 2006), quale critica che, in detta prospettiva, non solo non emerge in modo specifico dallo stesso ricorso (che al riguardo si sofferma piuttosto sulla dedotta violazione di legge), ma che, in ogni caso, non coglie nel segno, posto che il “fatto storico” anzidetto e’ stato considerato dal giudice di appello (che ha evidenziato come l’ (OMISSIS) abbia “scritto il libro anni dopo i fatti”), mentre la critica di parte ricorrente si appunta, inammissibilmente, sulla valenza e sulla portata da ascrivere al predetto “fatto storico”, quale apprezzamento rimesso esclusivamente al giudice del merito e non gia’ veicolabile dalla lettura che ne fornisce la stessa parte interessata.
3. – Con il secondo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 595, 51, 59 c.p., e articolo 21 Cost., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Il giudice di secondo grado avrebbe errato nell’esaminare la condotta dell’autore del libro secondo i canoni del dritto di cronaca, nonostante la difesa avesse invocato unicamente la diversa scriminante del diritto di critica, altresi’ omettendo di considerare il fatto storico “della posizione dei giornalisti e la collocazione degli stessi in un luogo certamente differente dal centro citta’”.
3.1. – Il motivo e’ infondato.
Occorre, infatti, rammentare che il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella mera narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non puo’ che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, fermo restando, pero’, che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verita’, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, cosi’ come accade per il diritto di cronaca (Cass., 6 aprile 2011, n. 7847; nella stessa prospettiva si colloca la giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 10 della Convenzione, in tema di liberta’ di espressione, che, nel distinguere tra la “materialita’ dei fatti” e “giudizi di valore”, pone in rilievo che, quand’anche “equivale a un giudizio di valore, una dichiarazione deve fondarsi su una base fattuale sufficiente, senza la quale sarebbe eccessiva”: sentenza Peruzzi c. Italia del 30 giugno 2015, e ulteriori precedenti ivi richiamati; cfr. in tal senso Cass., 19 gennaio 2017, n. 1285).
Il giudice di appello – come evidenziato sinteticamente al § 2.3. del “Rilevato che”, cui si rinvia – ha escluso, a monte e in modo netto, che il fatto “presupposto” sul quale si sarebbe poi fondata la stessa critica (ossia l’assenza dei giornalisti a (OMISSIS), frutto di accertamento non censurato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., vigente n. 5, applicabile ratione temporis, ma solo in parte investito da critiche mosse secondo l’abrogata formulazione di detta norma) corrispondesse a verita’, anche soltanto nella sua declinazione solo putativa, con cio’ rendendo una statuizione assorbente anche della delibazione (con esito negativo) circa la scriminante del diritto di critica.
4. – Con il terzo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2059 c.c., e articolo 185 c.p..
La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere risarcibile il danno non patrimoniale in quanto in re ipsa e a liquidarlo, dunque, in difetto di qualsiasi prova e, comunque, in misura eccessiva, anche tenuto conto che il (OMISSIS) neppure era stato indicato nominativamente.
4.1. – Il motivo e’ infondato, sebbene debba essere corretta, ai sensi dell’articolo 384, quarto comma, cod. proc. civ., la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo e’ conforme a diritto.
4.1.1. – E’, difatti, erroneo l’assunto per cui il danno non patrimoniale da lesione dell’onore e della reputazione sarebbe un danno in re ipsa, cio’ contrastando con l’attuale, e ormai consolidatosi (a partire dalle pronunce delle Sezioni Unite del 2008: cfr., segnatamente, Cass., 11 novembre 2008, n. 26972, sino alla recente Cass., sez. un., 22 luglio 2015, n. 15350), orientamento che esclude, in ogni caso, la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, sia che esso derivi da reato (Cass., 12 aprile 2011, n. 8421), sia che sia contemplato come ristoro tipizzato dal legislatore (in tema di tutela della privacy: Cass., 26 settembre 2013, n. 22100; Cass., 15 luglio 2014, n. 16133; in tema di equa riparazione per durata irragionevole del processo: Cass., 26 maggio 2009, n. 12242), sia, infine, che derivi dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti, e, tra questi, il diritto all’immagine (anche di enti collettivi: Cass., 13 ottobre 2016, n. 20643) e, segnatamente, il diritto all’onore ed alla reputazione della persona fisica (Cass., 18 novembre 2014, n. 24474).
Cio’ in quanto, con il superamento della teorica del c.d. “danno evento” (elaborata compiutamente dalla sentenza n. 184 del 1986 della Corte costituzionale in tema di danno biologico, ma oggetto di revirement operato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 372 del 1994), il danno risarcibile, “nella sua attuale ontologia giuridica, segnata dalla norma vivente dell’articolo 2043 c.c., cui e’ da ricondurre la struttura stessa dell’illecito aquiliano,… non si identifica con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione” (Cass. n. 16133 del 2014, cit.).
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