Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 26 ottobre 2017, n. 25420. In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa

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Una prospettiva, questa, che muove anzitutto dal riconoscimento che l’articolo 2059 c.c., non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta, per l’appunto, da quella di cui all’articolo 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilita’ dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dal citato articolo 2043, senza differenziazioni in termini di prova (cfr. Cass., sez. un. n. 26972 del 2008, cit.).
Ne consegue che la sussistenza del danno non patrimoniale, quale conseguenza pregiudizievole (ossia, una perdita ai sensi dell’articolo 1223 cod. civ., quale norma richiamata dall’articolo 2056 c.c.) di una lesione suscettibile di essere risarcita, deve essere oggetto di allegazione e di prova, sebbene a tale ultimo fine possano ben utilizzarsi anche le presunzioni semplici, la’ dove, proprio in materia di danno causato da diffamazione a mezzo della stampa, idonei parametri di riferimento possono rinvenirsi, tra gli altri, dalla diffusione dello scritto, dalla rilevanza dell’offesa e dalla posizione sociale della vittima (Cass., 25 maggio 2017, n. 13153).
4.1.2. – La sentenza impugnata, nonostante l’erronea affermazione in iure sulla risarcibilita’ del danno in re ipsa, si sottrae, pero’, alle censure mossele, in quanto il giudice di appello ha comunque motivato in punto di sussistenza e consistenza del danno non patrimoniale (cfr. sintesi al § 2.4. del “Rilevato che”, cui si rinvia), assumendo come idonei parametri di riferimento la gravita’ dell’offesa, il risalto avuto dalla stessa (anche per la “autorevolezza” dell’autore del libro), nonche’ calibrando la liquidazione anche in ragione della mancata individuazione nominativa del danneggiato (quale fattore, dunque, di attenuazione del pregiudizio risarcibile.
5. – Con il quarto mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di legge (articolo 21 Cost.).
La Corte territoriale, ritenendo sussistente il reato di diffamazione, avrebbe errato nell’ordinare l’inibizione della commercializzazione e diffusione del libro nella parte in cui sono riportate le frasi indicate nel dispositivo della sentenza, disponendone la cancellazione a spese degli odierni ricorrenti, giacche’, essendo il reato di diffamazione di natura istantanea, l’inibitoria avrebbe potuto riguardare “soltanto le eventuali riedizioni dell’opera letteraria de qua, successive al passaggio in giudicato della sentenza”.
5.1. – Il motivo e’ infondato.
L’azione inibitoria – che, come questa Corte ha affermato gia’ da tempo risalente, ben puo’ essere fatta valere, pure al di fuori delle ipotesi tipizzate, a tutela dei diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 Cost. (cfr. in tale prospettiva Cass., 22 giugno 1985, n. 3769) e, tra questi, dunque, anche del diritto alla reputazione ed all’onore – e’ funzionale ad evitare l’insorgenza di un pregiudizio ad un diritto o interesse giuridicamente rilevante del soggetto titolare degli stessi o a contenerne gli effetti permanenti, mirando, dunque, a prevenire per il futuro la ripetizione di atti o la continuazione di un’attivita’ contra ius, causativi di danno, anche non patrimoniale, senza, pero’, dover configurarsi, necessariamente, secondo il paradigma dell’illecito aquiliano.
Cio’ premesso, i ricorrenti non solo non mettono in discussione la qualificazione della domanda dell’originario attore come volta ad ottenere una tutela di tipo inibitorio, ne’ contestano la possibilita’ che di un siffatto rimedio ci si possa avvalere nel caso di lesione del diritto alla reputazione personale, ma neppure dubitano (e cio’ in sintonia con la giurisprudenza penale di questa Corte) del fatto che, sebbene la lesione della reputazione si sia gia’ verificata a seguito del reato di diffamazione a mezzo stampa – che e’ a consumazione istantanea e si determina nel momento stesso della pubblicazione del prodotto editoriale (Cass. pen., n. 1524 del 15/05/1979 – dep. 06/07/1979; Cass. pen., n. 1763 del 19/10/2010 – dep. 20/01/2011) -, in ragione di successive edizioni dell’opera letteraria contenente le medesime espressioni diffamatorie si venga a determinare un’ulteriore lesione alla reputazione personale, essendo diversa la platea di lettori rispetto a quella della precedente edizione (Cass. pen., n. 6 del 29/09/1983 – dep. 04/01/1984; Cass. pen., n. 5781 del 04/12/2012 – dep. 05/02/2013).
La censura, tuttavia, non coglie nel segno nel suo nucleo essenziale, ossia la’ dove postula che, al fine di conseguire la tutela inibitoria rispetto alle successive edizioni dell’opera letteraria diffamatoria (cio’ che la Corte territoriale ha avuto di mira con la riforma in parte qua della sentenza di primo grado, rivolgendo la condanna di inibizione alla commercializzazione del libro “(OMISSIS)” in presenza delle affermazione diffamatorie – e, dunque, imponendo la cancellazione delle stesse a spese dei danneggianti – non gia’ alla prima edizione, pubblicata nel 2006, bensi’ a quella successiva del 2011, pubblicata a giudizio civile in corso da tempo), sia necessario il passaggio in giudicato della sentenza che abbia accertato la responsabilita’ civile del diffamante, giacche’ la tutela inibitoria, come detto, opera in funzione preventiva di un pregiudizio arrecabile ad un diritto/interesse ovvero per farne cessare il suo ulteriore protrarsi, senza essere necessariamente ancorata ai presupposti della responsabilita’ ex articolo 2043 c.c..
6. – Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti, in solido tra loro, condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo in conformita’ ai parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.
7. – Non si ravvisano i presupposti per attivare, su sollecitazione del controricorrente, la facolta’ di condanna delle parti soccombenti ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis.

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