Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 5 settembre 2017, n. 40271. In tema di impugnazione delle misure cautelari personali e ricorso per cassazione

In tema di impugnazione delle misure cautelari personali il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento ma non anche quando pone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti oppure si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.

Sentenza 5 settembre 2017, n. 40271
Data udienza 14 luglio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 18/04/2017 del Tribunale della liberta’ di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;

udito il difensore avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/03/2017, il G.i.p. presso il Tribunale di Catania applicava a (OMISSIS) la misura degli arresti domiciliari in relazione alla partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di truffa aggravata in danno dell’I.N.P.S. (capo 1), e ad alcuni reati-fine (capi da 2 a 6).

Con provvedimento del 18/04/2017, il Tribunale della liberta’ di Catania ha annullato la predetta ordinanza quanto ai capi 4, 5 e 6, per difetto di gravita’ indiziaria e – in relazione ai capi residui – ha sostituito la misura applicata con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore del (OMISSIS), deducendo erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione. In particolare:

2.1. Si deduce l’assenza di elementi idonei a comprovare, anche solo a livello di gravita’ indiziaria, la sussistenza dell’associazione di cui al capo 1), contestando in particolare l’apoditticita’ dell’assunto per cui le conversazioni dove il (OMISSIS) lamentava la scarsa collaborazione dei presunti sodali (tra cui il ricorrente) dovevano essere interpretate in senso favorevole all’accusa, anziche’ come prova dell’insussistenza dell’affectio.

2.2. Si lamenta in ogni caso la mancanza di adeguata motivazione in ordine alla consapevole partecipazione al sodalizio del (OMISSIS), che si era limitato ad indirizzare ai vari patronati (tra cui quello della moglie del (OMISSIS)) i braccianti di cui egli, imprenditore agricolo, non aveva bisogno.

2.3. Si contesta la conferma dell’ordinanza genetica quanto al concorso nei delitti di truffa sub 2) e 3), che il Tribunale ha ritenuto di poter desumere, con un salto logico, per il solo fatto che in relazione a quel capo – a differenza degli altri reati-fine – il (OMISSIS) si sarebbe interessato circa la posizione di alcuni braccianti assunti fittiziamente: senza quindi in alcun modo chiarire il concreto apporto del ricorrente al singolo reato-fine.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato, e deve percio’ essere dichiarato inammissibile.

2. In relazione alle doglianze concernenti il reato associativo, e’ anzitutto opportuno richiamare il condivisibile insegnamento di questa Suprema corte, ribadito anche in epoca recentissima, secondo cui “in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione e’ ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito” (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884; in senso analogo, cfr. Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Altrettanto consolidata, in giurisprudenza, e’ l’affermazione per cui “il controllo di legittimita’, anche nel giudizio cautelare personale, e’ circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato, al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimita’: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento” (Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760; in senso conforme, da ultimo, cfr. Sez. 2, n. 16582 del 01/03/2017, Notaro).

3. In tale prospettiva ermeneutica, del tutto prive di pregio appaiono le doglianze proposte, con riferimento al reato associativo, nei confronti dell’impianto motivazionale esposto nell’impugnata ordinanza, la quale ha diffusamente illustrato – senza incorrere negli errori di diritto denunciati dalla difesa, ne’ in carenze espositive o in evidenti illogicita’ denunciabili, alla luce dei principi appena richiamati, con il ricorso per cassazione – gli elementi ritenuti idonei a comprovare sia la sussistenza del sodalizio di cui al capo 1, sia la consapevole partecipazione ad esso da parte dell’odierno ricorrente.

Quanto al primo aspetto, deve osservarsi che il Tribunale di Catania ha anzitutto richiamato le linee portanti del sodalizio emerso all’esito dell’attivita’ di indagine: sodalizio dedito alla commissione di truffe in danno dell’I.N.P.S. attraverso la fittizia costituzione di aziende agricole, appositamente create al fine di assumere “falsi braccianti” e di contabilizzarne le false giornate lavorative, onde consentire a questi ultimi la richiesta all’I.N.P.S. dell’indennita’ di disoccupazione, una volta maturati (apparentemente) i requisiti di legge. Sempre in chiave associativa, il Tribunale ha valorizzato tra l’altro: la distribuzione di compiti tra diversi soggetti, alcuni dei quali dotati di specifiche competenze tecniche (consulenti del lavoro, impiegati dell’I.N.P.S.), per la perpetrazione delle truffe secondo meccanismi collaudati; la costituzione “anno per anno” delle fittizie aziende agricole, da utilizzare per la realizzazione delle truffe; la disponibilita’ di mezzi (terreni cui riferire le predette aziende) e di una cassa comune (indennita’ indebitamente percepite dai braccianti, tenuti a versarne una quota preventivamente concordata); la stabilita’ del vincolo desumibile dalla continuita’ dell’attivita’ illecita, protrattasi per anni (quantomeno dal 2013 al 2016), avvalendosi delle varie aziende agricole fittiziamente costituite.

Quanto poi al contributo associativo prestato dal (OMISSIS), individuato come un reclutatore di falsi braccianti da far assumere nelle aziende fittizie, avente anche il compito di richiedere ai predetti, dopo l’erogazione, la quota previamente concordata dell’indennita’ di disoccupazione, il Tribunale ha richiamato espressamente (rinviando per il resto al contenuto dell’ordinanza applicativa della misura) alcune intercettazioni ritenute idonee a comprovare non solo la fondatezza dell’impostazione accusatoria, ma anche la continuita’ dell’apporto assicurato dal (OMISSIS) anche durante l’utilizzo di un’azienda agricola ( (OMISSIS)) per cui non vi era stata esplicita contestazione.

In particolare, sono state tra l’altro valorizzate (pag. 4 ss. dell’ordinanza impugnata) una serie di intercettazioni comprovanti il pieno coinvolgimento del (OMISSIS) in tutte le fasi dell’attivita’ illecita.

In altri termini, la figura del ricorrente e’ emersa, in primo luogo, nel reperimento dei braccianti (discutendosi, in alcune conversazioni tra i correi, se un determinato bracciante fosse o meno riconducibile al gruppo di (OMISSIS); quest’ultimo escludeva poi recisamente, nell’intercettazione n. (OMISSIS) riportata integralmente nell’ordinanza generica, che tale (OMISSIS) fosse compreso nella sua lista); in secondo luogo, nella materiale riscossione delle quote di indennita’ da costoro (nella conv. n. (OMISSIS) del 12/11/2014, (OMISSIS) Orazio informa il padre Leonardo che “Con (OMISSIS) stiamo cercando di prendere qualche mille Euro”, che (OMISSIS) avrebbe successivamente girato al coindagato (OMISSIS); nella conv. (OMISSIS) del 12/11/2014, (OMISSIS) informa il ricorrente che si sta recando a riscuotere somme attinenti all’azienda (OMISSIS)); in terzo luogo, nelle problematiche relative alla redistribuzione del ricavato o ad altre questioni comunque insorte nello svolgimento dell’attivita’ illecita (conv. n. (OMISSIS) del 14/11/2014 in cui (OMISSIS), indispettito dalle richieste del commercialista (OMISSIS), chiarisce che questi aveva ricevuto soldi dal (OMISSIS), oltre che da lui stesso e dal figlio; nella conv. n. (OMISSIS) del 14/11/2014 il (OMISSIS) informa il ricorrente dell’imminente incontro che avrebbe avuto con il (OMISSIS), in conseguenza dell’intervenuto annullamento di alcune giornate lavorative). Tra le intercettazioni riportate nell’ordinanza applicativa della misura, e richiamate dal Tribunale, e’ opportuno ricordare anche quella in cui il (OMISSIS) esprime a tale (OMISSIS) il proprio risentimento nei confronti del (OMISSIS), che si era “preso i soldi da quelli di Paterno’, come te lo devo dire…e sono qualche 30 mila Euro”, e da sette mesi gli avrebbe dovuto “dare i 15 mila Euro della mia parte” (conv. n. (OMISSIS) del 17/04/2015).

Il Tribunale ha altresi’ posto in evidenza anche il rilievo accusatorio di un elemento di natura dichiarativa, costituito dalle dichiarazioni di (OMISSIS), la quale – sentita dagli inquirenti in ordine alla sua inconsapevole assunzione presso l’azienda (OMISSIS) – aveva riferito di aver lavorato nel 2014, come bracciante, per il (OMISSIS), il quale peraltro l’aveva informata che sarebbe stata formalmente assunta dall’azienda (OMISSIS) in relazione alla quale avrebbe successivamente percepito l’indennita’, mentre la retribuzione per il lavoro effettivamente prestato le era sempre stato consegnato dal (OMISSIS).

Sulla scorta di tali risultanze, non puo’ che concludersi per la manifesta infondatezza dei rilievi difensivi: risultando del tutto immune dai dedotti vizi di carenza o manifesta illogicita’ un impianto motivazionale, quale quello contenuto nel provvedimento impugnato, che ha valorizzato le predette risultanze per affermare la sussistenza della gravita’ indiziaria in ordine alla sussistenza del sodalizio di cui al capo 1 ed alla fattiva partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio stesso. Del tutto priva di illogicita’, tra l’altro, risulta la valorizzazione anche della conversazione (n. (OMISSIS) del 14/11/2014) in cui il (OMISSIS) comunica al figlio che stava recandosi d’urgenza dal (OMISSIS) a discutere degli annullamenti in corso, lamentandosi della indisponibilita’ sua e dello stesso (OMISSIS), che non aveva risposto al telefono (“…lasciatemi sempre solo tu, (OMISSIS)…”). Il Tribunale ha infatti posto in evidenza che la lamentela del (OMISSIS) attestava proprio la comunanza degli interessi per i quali si stava recando a discutere, e per i quali si sarebbe aspettato un intervento dei sodali.

A tale percorso argomentativo, la difesa si e’ limitata a contrapporre una diversa e piu’ favorevole lettura dell’intercettazione, senza peraltro confrontarsi con le plurime convergenti risultanze di cui si e’ detto.

Altrettanto e’ a dirsi in ordine all’assunto difensivo secondo cui il (OMISSIS), imprenditore agricolo, si era limitato a “smistare” i braccianti di cui non aveva bisogno: trattasi di un assunto che, con ogni evidenza, non si e’ confrontato con la valorizzazione, operata dal Tribunale, delle dichiarazioni della (OMISSIS) e delle numerose intercettazioni cui si e’ accennato.

4. Manifestamente infondato e’ anche il motivo di ricorso concernente il concorso nei delitti di truffa.

E’ opportuno anzitutto porre in evidenza che il Tribunale ha ritenuto sussistere la gravita’ indiziaria per i soli capi 2 e 3, essendo emerso l’intervento del (OMISSIS), nei vari momenti gia’ individuati trattando del reato associativo, solo con riferimento a soggetti fittiziamente assunti dalle aziende cui si riferiscono i capi predetti, ed ha invece annullato il titolo cautelare quanto ai capi residui.

Il richiamo alle risultanze gia’ valorizzate in chiave associativa, operato dal Tribunale, da’ luogo ad un percorso argomentativo certamente improntato alla massima sintesi, ma che sfugge alle censure prospettate dal ricorrente, il quale ha lamentato l’esistenza di un salto logico tra il fatto che il (OMISSIS) “si sarebbe interessato” ad alcuni braccianti e l’affermazione della gravita’ indiziaria. Si e’ visto infatti che, nel paragrafo precedente, dall’attivita’ investigativa e’ emersa una stabile e fattiva ingerenza del (OMISSIS) in tutti i segmenti in cui si articolava l’attivita’ illecita: reperimento dei braccianti, “gestione” degli stessi con assunzione solo formale nell’azienda fittizia e svolgimento di attivita’ effettiva nella propria reale azienda (v. dichiarazioni della (OMISSIS)), fino alla materiale acquisizione, anche per conto dei sodali, delle quote di indennita’ indebitamente percepite dai braccianti). Una situazione, in definitiva, del tutto diversa da quella delineata in ricorso, tale da far escludere la sussistenza del salto logico lamentato.

5. Per le considerazioni fin qui esposte, il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile.

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 1.500,00 (millecinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento Euro a favore della Cassa delle Ammende.

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