Con riguardo al criterio differenziale tra il delitto di rapina mediante minaccia e quello di truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario, occorre rifarsi al diverso modo in cui viene prospettato il danno; in particolare ricorre la truffa aggravata, quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e non proviene mai, direttamente o indirettamente, dall’agente, nel senso che la persona offesa non viene coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione o all’omissione in conseguenza dello stato di errore in cui è venuta a trovarsi; viceversa ricorre il delitto di rapina mediante minaccia, quando il danno, come nel caso di specie, viene prospettato come certo e sicuro, ad opera del reo o di altri soggetti ad esso collegati, con la conseguenza che la persona offesa è posta nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento o di incorrere nel danno minacciato. La condotta del soggetto che si spaccia falsamente come agente di polizia costituisce un atto di coazione idoneo a comprimere la libertà psichica della vittima e quindi ad integrare l’elemento della minaccia costitutivo del delitto di rapina
Corte di Cassazione
sez. II Penale
sentenza 15 settembre – 2 ottobre 2017, n. 45300
Presidente Davigo – Relatore Gallo
Ritenuto in fatto
- Con sentenza in data 12/02/2016, la Corte di appello di Milano, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Milano, in data 20/09/2010, che aveva condannato Ca. Ma., Pr. Da. e Ma. An. alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro. 600,00 di multa ciascuno per tre episodi di rapina legati dal vincolo della continuazione.
- La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine ai reati a loro concorsualmente ascritti e corretta la qualificazione giuridica dei fatti.
- Avverso tale sentenza propongono separati ricorsi Ca. Ma. e Pr. Da., e Ma. An. per mezzo dei difensori di fiducia, articolando un analogo motivo con il quale si dolgono della qualificazione giuridica dei fatti che, ad avviso dei difensori integrerebbero il reato di truffa, anziché di rapina per l’assenza di violenza o minaccia, dal momento che gli imputati avevano ottenuto il denaro con l’inganno, fingendosi carabinieri.
Considerato in diritto
- I ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi manifestamente infondati.
- La decisione assunta dalla Corte d’Appello in punto di qualificazione giuridica dei fatti, si pone perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio; segnatamente, proprio con riguardo al criterio differenziale tra il delitto di rapina mediante minaccia e quello di truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario, merita di essere ribadito il principio già affermato da questa Corte (sez. 2 n. 10182 del 16/5/1988, Rv. 179447; Sez. 2 n. 51732 del 19/11/2013), in base al quale occorre rifarsi al diverso modo in cui viene prospettato il danno; in particolare ricorre la truffa aggravata, quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e non proviene mai, direttamente o indirettamente, dall’agente, nel senso che la persona offesa non viene coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione o all’omissione in conseguenza dello stato di errore in cui è venuta a trovarsi; viceversa ricorre il delitto di rapina mediante minaccia, quando il danno, come nel caso di specie, viene prospettato come certo e sicuro, ad opera del reo o di altri soggetti ad esso collegati, con la conseguenza che la persona offesa è posta nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento o di incorrere nel danno minacciato. Più specificamente la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente occupata proprio di fattispecie concrete analoghe a quelle oggetto del presente ricorso, pervenendo alla conclusione che la condotta del soggetto che si spaccia falsamente come agente di polizia costituisce un atto di coazione idoneo a comprimere la libertà psichica della vittima e quindi ad integrare l’elemento della minaccia costitutivo del delitto di rapina (Sez. 1 n. 116 del 30/1/1964, Rv. 099188; sez. 4 n. 11407 del 1/8/1985, Rv. 171231; Sez. 2 n. 948 del 16/12/2009, Rv. 246265; Sez. 2, Sentenza n. 20216 del 06/05/2016 Ud. (dep. 16/05/2016 ) Rv. 266751).
- Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.500,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento ciascuno a favore della Cassa delle ammende.
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