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1.2. Deve, piu’ in generale, rilevarsi che dalla qualificazione giuridica del fatto illecito possono derivare effetti sulla gravita’ del danno patrimoniale e morale dei danneggiati, incidenti sull’entita’ del risarcimento.
1.2.1. Questa Corte ha gia’ riconosciuto che, per verificare se la parte civile vanti un concreto interesse a non essere estromessa dal giudizio riguardante un ricorso del P.G. tendente ad ottenere una diversa qualificazione giuridica, in pejus, del fatto-reato accertato, e’ quindi necessario verificare se la diversa qualificazione del fatto implichi – come indiscutibilmente accade nel caso in esame – una sua valutazione di maggior gravita’, nel qual caso il danno morale subito puo’ ritenersi piu’ grave ed importare un diverso risarcimento: soltanto in questa ipotesi esiste un interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna in punto di definizione giuridica (Sez. 5, sentenza n. 8577 del 26 gennaio 2001, Rv. 218427; Sez. 5, sentenza n. 54303 del 4 dicembre 2002, Rv. 223769; Sez. 5, sentenza n. 12139 del 14 dicembre 2011, dep. 2102, Rv. 252164; Sez. 4, sentenza n. 39898 del 3 luglio 2012, Rv. 254672).
1.2.2. Ed invero, tra gli elementi dei quali il giudice di merito, nell’effettuare la quantificazione dei danni morali risarcibili (ovvero delle sofferenze interiori che ledono l’integrita’ morale della persona offesa, la cui tutela, ricollegabile all’articolo 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo) provocati dal reato, deve tenere conto (per “rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento”: Cass. civ., Sez. un., sentenza n. 5814 del 1985, Rv. 443005; Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 2557 del 2011, Rv. 616607), rientra anche la gravita’ del reato in se’, perche’ suscettibile di acuire i turbamenti psichici e l’entita’ del paterna d’animo sofferto dalla vittima, da esso derivanti.
1.3. Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto:
“Sussiste l’interesse della parte civile alla partecipazione al giudizio di legittimita’ instaurato a seguito di ricorso del Procuratore Generale finalizzato ad ottenere una diversa qualificazione giuridica, in pejus, del fatto-reato accertato, poiche’ da quest’ultima puo’ derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravita’ del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici e dell’entita’ del paterna d’animo sofferto dalla vittima (fattispecie riguardante la qualificazione come riciclaggio di reati qualificati in appello come ricettazione”.
2. Il ricorso di (OMISSIS) e’ integralmente inammissibile.
2.1. Le doglianze riguardanti l’affermazione di responsabilita’ sono del tutto generiche (in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e/o a motivi di appello in ipotesi non valutati o mal valutati) nonche’ manifestamente infondata, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata statuizione (f. 6 ss. della sentenza impugnata).
2.1.1. D’altro canto, questa Corte, con orientamento (Sez. 4, n. 19710 del 3.2.2009, rv. 243636) che il collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilita’), il vizio di travisamento della prova puo’ essere rilevato in sede di legittimita’ solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (“Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, e’ ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso puo’ essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimita’, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice”).
Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a formulare in ricorso doglianze meramente assertive, prive di uno specifico contenuto.
2.2. Anche la doglianza ulteriore (riguardante la mancata esclusione della recidiva) e’ del tutto generica, perche’ formulata in modo esclusivamente assertivo (in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e/o a motivi di appello in ipotesi non valutati o mal valutati) nonche’ manifestamente infondata, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata statuizione, valorizzando la premessa gravita’ dei reiterati fatti accertati, espressione della medesima elevata capacita’ criminale desumibile dalla contestata recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, e pervenendo comunque ad una pena finale estremamente mite, in quanto ben lontana dai possibili limiti massimi.
2.3. La declaratoria di inammissibilita’ totale del ricorso comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali, nonche’ apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro millecinquecento in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

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