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Una volta rientrati a casa, accertarono che il figlio aveva trovato, impossessandosene, il denaro (circa 150-200 Euro) che avevano nascosto in un sottofondo del comodino, oltre ai pochi Euro che si trovavano nel portafogli che avevano lasciato sul comodino (cfr pag. 7 sentenza di primo grado).
Per questo episodio il ricorrente e’ stato giudicato e condannato (in entrambi i gradi del giudizio di merito) per il seguente capo d’imputazione: “del reato p. e p. dall’articolo 628 cpv., 81 c.p. per essersi procurato con violenza e minaccia, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al padre (OMISSIS) e alla madre (OMISSIS) si procurava l’ingiusto ai danni dei predetti; in particolare minacciandoli di arrecare alla loro persona il 29.12.2008 si procurava la somma di Euro 250,00 lanciando una bottiglia contro i genitori nonche’ minacciando entrambi i genitori con un coltello da cucina lungo cm. 33 e dicendo “adesso li chiamo io i Carabinieri e vi ammazzo in diretta”. Con recidiva. In Aversa fino a tutto il dicembre 2008. Capo d’imputazione cosi’ modificato all’udienza del 7-10-10″.
Entrambi i giudici di merito, hanno ritenuto corretta la qualificazione giuridica in quanto la materiale apprensione del denaro da parte dell’imputato fu “diretta conseguenza dello stato di terrore che aveva incusso nei genitori, costretti ad abbandonare il domicilio, a seguito delle gravi minacce subite perfino con l’uso del coltello, al fine di ottenere il denaro; ne’ si puo’ ritenere che il lasso di tempo intercorso tra le minacce poste in essere e l’uscita di casa dell’imputato abbia fatto venir meno il nesso causale tra le condotte” (pag. 8 sentenza di primo grado; a pag. 3 della sentenza impugnata la Corte di. Appello ha ribadito il suddetto concetto, in cio’ confermando la decisione del tribunale, avendo ritenuto l’unicita’ del fatto in quanto “l’ulteriore condotta predatoria, posta in essere dall’imputato successivamente all’abbandono della casa da parte dei genitori, sia stata resa possibile proprio dalle minacce e dalla violenza esercitata sulle due persone offese, avendo l’imputato, senza soluzione di continuita’, sottratto il denaro dopo una ricerca resa possibile proprio dall’assenza dei genitori”).
2. Contro la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli in data 16/05/2016 – confermativa, in punto di responsabilita’, della sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere – l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1. ERRATA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO: sostiene la difesa che il fatto commesso dall’imputato (la cui materialita’ cosi’ come ricostruita da entrambi i giudici di merito, non e’ contestata) sarebbe ravvisabile il solo furto consumato del denaro, fatto, pero’, che avrebbe dovuto essere dichiarato non punibile ex articolo 649 cod. pen.: “come e’ noto, infatti, furto e rapina hanno un elemento comune rappresentato dall’impossessamento della cosa mobile altrui; differiscono, invece, nella modalita’ attraverso la quale avviene l’impossessamento: mediante sottrazione nel furto e mediante violenza o minaccia nella rapina, tanto che il furto viene ricondotto nella categoria dei reati contro il patrimonio ad aggressione unilaterale e la rapina nella categoria dei reati contro il patrimonio mediante collaborazione artificiosa o violenta della vittima. Fatte queste premesse, e’ proprio l’attivita’ del (OMISSIS) di ricerca del danaro nascosto nel sottofondo di un cassetto ad escludere che il fatto possa essere qualificato come rapina: nel caso di specie, l’impossessamento non e’ la conseguenza diretta ed immediata dell’azione minacciosa; il denaro, infatti, non viene consegnato dalle vittime in conseguenza delle minacce subite e non viene neppure sottratto mediante un’azione violenta, ma viene sottratto (e cioe’ spostato dal luogo dove il precedente detentore lo custodiva e cioe’ all’interno del cassetto) all’esito di un’attivita’ di ricerca, che e’ tipica delle modalita’ di consumazione del furto” (pag. 3 ricorso).
2.2. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 81 COD. PEN. per non avere entrambi i giudici di merito riconosciuto la continuazione fra il fatto per cui e’ processo ed i fatti di estorsione continuata commessi dal ricorrente in danno dei genitori in Aversa sino a tutto il dicembre 2008 e giudicati con sentenza di applicazione della pena pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza del 24/10/2010 passata in giudicato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO.
La censura e’ infondata per le ragioni di seguito indicate.
In punto di diritto, e’ pacifico il principio – che in questa sede va ribadito secondo il quale “nell’ipotesi di sottrazione di una cosa dopo l’esaurimento della azione violenta, si configura il delitto di rapina e non quello di furto, qualora il proposito della sottrazione sorga e si formi prima della attuazione della violenza, sempre che sussista un nesso di casualita’ apparente tra quest’ultima e l’impossessamento, nel senso che il secondo sia la conseguenza della prima”: Cass. 12353/2010 rv. 246750.
Si e’, infatti, osservato che, affinche’ “la violenza o la minaccia possa ritenersi “soggettivamente” orientata al conseguimento della cosa attraverso lo spossessamento, al fine ultimo di conseguire per se’ o per altri un ingiusto profitto, e’ ontologicamente necessario che il proposito sottrattivo insorga “non dopo” l’esaurimento della condotta coattiva, giacche’, altrimenti, al di la’ dello iato temporale, che pure puo’ distinguere tra loro le due fasi in cui si articola il fatto tipico (uso della violenza o minaccia e condotta sottrattiva), mancherebbe l’elemento della concatenazione finalistica, sul piano soggettivo” (Cass. cit. in motivazione).
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