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Invano parte ricorrente brandisce le disposizioni regolamentari, tentando di legittimare la derogabilità delle distanze legali.
Il concetto civilistico di costruzione, che è stabilito dalla legge statale, deve essere unico e non è derogabile ad opera di norme secondarie. Questo insegnamento, da sempre affermato in sede di legittimità (Cass. 12964/06; n. 1556/05), è stato proclamato di recente anche da Cass. 8 gennaio 2016 n. 144, che ha ribadito che la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 c.c., non può subire deroghe da parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore” tra edifici o dal confine. (da ultimo cfr., anche Cass. 10868/16).
3) Il secondo motivo si articola in due distinti profili.
Il profilo A denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 907 cod. civ..
Il primo riguarda il muretto eretto a lato della terrazza sul retro della casa P. che impedirebbe la veduta dell’attore V. verso l’esterno.
Il ricorso (che fa cenno anche alle “tramezze del balcone al piano secondo”) sostiene che erroneamente il primo giudice aveva ordinato la riduzione in pristino del muretto perché aveva determinato una limitazione del diritto di veduta.
Afferma che in sede di appello i P. avevano lamentato che l’attore avrebbe dovuto dimostrare l’anteriorità del diritto di veduta e che ha errato la Corte di appello nel respingere l’impugnazione considerando eccezione nuova il difetto di prova sul diritto di veduta.
Parte ricorrente sostiene, in una più ampia trattazione, che sarebbe stato violato il principio della libera deducibilità dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi rilevabili d’ufficio e che il fatto impeditivo relativa alla mancata prova dell’anteriorità “dell’acquisto delle vedute” era liberamente deducibile e tantomeno soggetto alle preclusioni di cui al novellato art. 167 cpc..
La censura non merita accoglimento.
Essa impone di rilevare che la Corte di appello ha errato quando considerato come eccezione nuova “l’asserito difetto di prova del preesistente diritto di veduta”. Trattavasi infatti di una contestazione dell’altri diritto e non di eccezione.
Tuttavia parte ricorrente non critica la seconda parte della motivazione resa sul punto dalla sentenza impugnata, pur riportata in ricorso.
La Corte di appello non si è infatti limitata a osservare che l’eccezione era nuova perché tardiva, ma ha aggiunto, con significativo avverbio, che “comunque” il diritto di veduta da parte del V. sul fondo del vicino non era mai stato contestato in primo grado e pertanto risultava “pacifico”.
Questa seconda ratio decidendi, che attiene alla avvenuta acquisizione della prova dell’esistenza del diritto in forza di non tempestiva contestazione, non superabile con un generico richiamo all’onere della prova, doveva essere criticata dimostrando, con l’analisi dello svolgimento processuale, l’insussistenza dell’assunto di base, cioè del fatto che l’esistenza del diritto fosse pacifica. In mancanza di puntuale censura, il motivo va respinto (SU 7931/13; Cass. 4923/16).
Va aggiunto che l’anteriorità del fabbricato V. rispetto all’ampliamento P. denunciato in causa era premessa incontroversa della vicenda (basta leggere il ricorso, pag. 2 e segg.), tanto che la lesione del diritto di veduta costituiva il primo punto dell’atto di citazione, riportato nella sentenza impugnata e in ricorso a pag. 3. Ogni tardiva contestazione era pertanto soggetta all’onere di specificità che la Corte di appello non ha ravvisato e che il ricorso non evidenzia.
Né la teorica della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni (su cui si rimanda a Cass. SU 10531/13 e SU 26242/14) può consentire la possibilità che resti aperta indefinitamente la possibilità di contestare ogni fatto precedentemente ammesso o considerato tale in forza di non tempestiva contestazione.
Si tratta di istituti diversi, il cui campo di azione non può essere confuso.
L’uno attiene ai limiti al rilievo delle eccezioni, l’altro attiene alla prova dei fatti costitutivi, pacifici quando non siano tempestivamente e adeguatamente contestati.
3.1) Quanto alle tramezze sul balcone, la censura non è specifica, né puntuale. Essa, che non è presentata come vizio di motivazione, muove infatti (a cavallo tra pag. 24 e 25) da una contestazione della ricostruzione del fatto che sarebbe stata effettuata dal giudice di primo grado, e non dalla Corte di appello, in ordine alla natura della copertura del poggiolo in cui si trovano le tramezze e si sviluppa poi nel criticare la sentenza impugnata per le sole questioni relative al diritto di veduta, senza riprendere la doglianza sulle tramezze. Non vi è quindi congruo motivo di ricorso (Cass. 6733/14).
4) Va invece accolto il profilo B) del secondo motivo di ricorso, relativo alle canne fumarie.
La Corte di appello ha respinto il gravame ad esse relativo, osservando che camini e canne fumarie sono stati posti a distanza non legale o addirittura appoggiati al confine, restando “irrilevante l’assunto che il loro posizionamento costituisca una posizione tecnica indispensabile”.
Parte ricorrente, dopo aver rilevato che il primo giudice ne aveva disposto l’abbattimento perché pericolose “in quanto realizzate in modo irregolare”, lamenta che la Corte di appello non abbia risposto alla doglianza relativa alla assenza di alcuna violazione specifica di carattere tecnico o civilistico. Denuncia in particolare che la costruzione delle canne fumarie era consentita dai regolamenti locali, non essendo soggetta al disposto dell’art. 889, ma a quello dell’art. 890 c.c..
La censura di violazione dell’art. 112, per mancata corrispondenza tra fatto e pronunciato è su questo punto fondata.
La Corte di appello ha infatti omesso una precisa qualificazione della fattispecie, avendo trascurato l’insegnamento di questa Corte, ricordato in ricorso, secondo cui “La distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889 comma 2 cod. civ. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni. Detta norma, pertanto, non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all’art. 890 cod. civ. e, quindi, poste alla distanza fissata dai regolamenti locali” (Cass., 2386/03; 10652/94).
Tale disciplina imponeva di esaminare la fattispecie alla luce dei regolamenti locali, individuandone la portata e riportandola al caso di specie.
Sarà questo il compito del giudice di rinvio, che dovrà conseguentemente riesaminare tutto l’appello sul punto. Detto giudice si individua nella Corte di appello di Trento, sede di distretto più vicina, e meno gravata, di quella cui appartiene Verona.
Provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, nonché il profilo A) del secondo motivo.
Accoglie il profilo B) del secondo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Trento, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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