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Va chiarito, peraltro, che nulla autorizza a ritenere tassative le elencazioni di cui al primo e secondo capoverso dell’articolo 131-bis cod. pen.: gia’ il rilievo che ci si trova dinanzi a “indici-criteri” rende evidente che si tratta di ipotesi tipizzate dal legislatore, dove sono esclusi margini di discrezionalita’ nella valutazione del giudice, da intendersi vincolata e da realizzare attraverso un’attivita’ di mero accertamento. Tuttavia, quelli ivi contemplati non possono considerarsi gli unici casi di condotte recanti offese non tenui, ovvero di comportamenti abituali. Sara’ dunque precluso ex lege ritenere di particolare tenuita’ un reato in cui il soggetto attivo sia stato animato da motivi abietti o futili, ovvero commesso da chi si trovi nella condizione per vedersi contestare la recidiva specifica; ma potra’ senz’altro escludersi l’applicabilita’ della norma (sia stata essa valutata o meno in precedenti gradi di giudizio) laddove risulti inflitta una condanna a pena che si discosti dal minimo edittale, od in ipotesi nelle quali le circostanze attenuanti generiche, seppure concesse, debbano intendersi minusvalenti rispetto ad eventuali circostanze di segno contrario (v. Cass., Sez. 5, n. 44387 del 04/06/2015, Trischitta).
2.2 E’ da ricordare altresi’ la previsione dell’articolo 131-bis, comma 5, secondo cui l’istituto trova applicazione “anche quando la legge prevede la particolare tenuita’ del danno o del pericolo come circostanza attenuante”. Cio’ comporta che un fatto, da considerare attenuato in ragione della modestia del danno arrecato (intuitivo ed immediato si palesa, ad esempio, il richiamo all’ipotesi di cui all’articolo 62 cod. pen., n. 4), dunque meritevole di una pur meno rigorosa sanzione, ben puo’ ritenersi caratterizzato da modesta offensivita’ all’esito di una valutazione complessiva, si’ da non giustificare – malgrado ci si trovi al cospetto di un fatto che integra illecito penale – alcuna risposta sanzionatoria.
La previsione dell’articolo 131-bis cod. pen., comma 5 rende gia’ evidente la necessita’ di una chiarificazione preliminare: un conto e’ discutere di tenuita’ del danno stricto sensu, che – segnatamente laddove evocata per descrivere le conseguenze di una condotta criminosa sul piano patrimoniale – si esaurisce in una connotazione del fatto; ben altro e’ invece affrontare il problema della sussistenza (e dell’eventuale tenuita’) dell’offesa, che involge problemi di tipicita’ e di qualificazione giuridica. Il fatto offensivo – di beni giuridici di rango costituzionale – e’ comunque un fatto tipico, anche nelle ipotesi in cui l’offesa si riveli particolarmente tenue: e, mentre la dimensione quantitativa del danno puo’ individuarsi soltanto all’esito di una indagine di merito, l’individuazione di un minimum di offesa attiene alla ricerca degli elementi necessari per sussumere la fattispecie concreta sub judice nel disegno astratto contemplato da una norma incriminatrice (attivita’ cui e’ certamente chiamato anche il giudice di legittimita’).
Ad ogni modo, con l’entrata in vigore della norma de qua deve rilevarsi che per la prima volta il legislatore consente che un fatto tipico, antigiuridico e colpevole (ma tale da presentare un quantum di lesivita’ di consistenza modestissima) sfugga alla risposta sanzionatoria penale, perche’ non proporzionata a quel grado di offesa e dunque non giustificata: viene cosi’ in rilievo la cosiddetta “concezione gradualistica” del reato, non solo in senso quantitativo (come gia’ autorizzavano a ritenere le previsioni analoghe all’articolo 62 cod. pen., comma 4), ma altresi’ in senso qualitativo, sul piano di una valutazione complessiva del disvalore da ricollegare alla condotta ed all’evento cagionato. In tale prospettiva, la norma in esame assume una portata speculare a quelle che, nella medesima parte generale del codice penale, svolgono funzione estensiva, come gli articoli 56 o 110: in base a queste ultime previsioni, condotte altrimenti atipiche (perche’ non realizzative della fattispecie astratta disegnata dalla norma incriminatrice, ma solo connotate da idoneita’ ed inequivocita’ verso la commissione di un delitto, ovvero consistenti in forme di partecipazione materiale o psicologica al fatto tipico posto in essere da altri) divengono passibili di sanzione penale; l’articolo 131-bis, al contrario, presiede ad una funzione che sul piano sostanziale potrebbe definirsi riduttiva, non consentendo che la sanzione penali operi in ordine a condotte che sarebbero – e rimangono – tipiche.
In altri termini, la norma in esame, ove correlata a tutte le disposizioni di legge che ne rendano possibile l’applicazione in ragione delle previsioni sanzionatorie edittali, ne viene a tracciare – in punto di tipicita’ – una linea di confine inferiore, che la dottrina ha gia’ avuto modo di definire quale “limite tacito della norma penale”.
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