segue pagina antecedente
[…]

Le altre doglianze, concernenti l’asserito contrasto tra le dichiarazioni del curatore e quelle del liquidatore, sono invece inammissibili, perche’ sollecitano, in realta’, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita’; infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., sono in realta’ dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794.

In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata.

Il controllo di legittimita’, al contrario, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia’ il rapporto tra prova e decisione; sicche’ il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia’ nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e’ estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.

Invece, le censure proposte concernono la ritenuta erroneita’ e/o parzialita’ della valutazione probatoria formulata dal giudice di merito, e prospettano una lettura alternativa del compendio probatorio, sollecitando una non consentita rivalutazione del merito.

Peraltro, la deduzione secondo cui non vi sarebbe stata distrazione, bensi’ un mero processo di obsolescenza delle merci informatiche, appare riferita alla condotta di occultamento delle merci, per la quale era gia’ stata pronunciata l’assoluzione, e non gia’ alla condotta distrattiva della somma di 77 milioni di Lire ricavata dalla vendita di merce.

La doglianza con la quale si censura, infine, il rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, e’ manifestamente infondata, essendo pacifica la legittimita’ della c.d. motivazione per relationem (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664; di recente, Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839), oltre ad essere del tutto generica, non indicando i profili (di ricostruzione del fatto, di valutazione delle prove o di qualificazione giuridica) oggetto di censura.

2. Il secondo motivo, relativo al capo B (distrazione della cassa sociale), e’ inammissibile, perche’ propone doglianze di fatto, riservate al merito della decisione, e perche’ e’ manifestamente infondato.

La circostanza che l’imputato, su una somma distratta pari a Lire 8.400.000, abbia restituito al liquidatore una somma di Lire 266.325, oltre a non risultare documentata, non appare idonea ad elidere l’affermazione di responsabilita’ penale per la condotta distrattiva, trattandosi, oltretutto, di una cifra del tutto marginale rispetto alle somme risultanti nella cassa sociale.

La deduzione relativa alla mancanza di una precisa determinazione dell’ammontare della cassa sociale da parte del liquidatore, infine, e’ manifestamente infondata, oltre che generica, essendo priva di qualsivoglia confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che ha evidenziato come la condotta distrattiva e’ stata integrata dalla mancata consegna delle somme della cassa sociale, quantificate sulla base delle scritture contabili.

3. Il terzo motivo e’ inammissibile, non soltanto perche’ generico, ma anche perche’ manifestamente infondato, in quanto, a prescindere dal rilievo che la pena inflitta e’ stata determinata nel minimo edittale (due anni di reclusione per la distrazione di 77 milioni, tenuto conto della diminuzione per il riconoscimento delle attenuanti generiche, e dell’aumento di quattro mesi per la continuazione, che, come si dira’, va eliminato), e’ pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 cod. pen.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).

Quanto all’omesso riconoscimento dell’attenuante speciale di cui alla L.F. articolo 219, il motivo e’ inammissibile perche’ nuovo, in quanto non risulta proposto con l’atto di appello.

Il motivo e’ altresi’ generico, in quanto, dovendo il danno patrimoniale essere di “speciale tenuita’” ai fini del riconoscimento dell’attenuante, essendo questa configurabile quando il danno arrecato ai creditori e’ particolarmente tenue o manchi del tutto (Sez. 5, n. 17351 del 02/03/2015, Pierini, Rv. 263676), non sono stati neppure illustrati i motivi per i quali il depauperamento di denaro per un valore corrispondente ad oltre 80 milioni di Lire avrebbe potuto essere valutato in termini di speciale tenuita’.

4. Il quarto motivo e’ fondato, in quanto la sentenza impugnata ha applicato l’aumento per la continuazione, ai sensi dell’articolo 81 cod. pen., tra i due reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale accertati.

Nel caso di specie e’ indubbio che gli autonomi reati oggetto dell’accertamento giurisdizionale non potessero essere qualificati in continuazione tra loro ai sensi dell’articolo 81 c.p., atteso che, nel caso di consumazione di una pluralita’ di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento (com’e’ avvenuto nel caso di specie), le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria prevista dalla disposizione codicistica succitata (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665).

Questa Corte ha altresi’ avuto modo di precisare tale principio, chiarendo come la configurazione, sotto il profilo formale, della c.d. continuazione fallimentare, di cui al menzionato articolo 219, quale circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilita’ al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti (Sez. 5, n. 21036 del 17 aprile 2013, Bossone, Rv. 255146), e che, pertanto, e’ illegittima per erronea qualificazione giuridica del fatto la decisione con cui il giudice applica la pena richiesta dalle parti in relazione a piu’ fatti di bancarotta commessi nell’ambito del medesimo fallimento, unificando gli stessi sotto il regime della continuazione previsto dall’articolo 81 c.p., comma 2, invece di ritenere configurabile la circostanza aggravante prevista dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, potenzialmente assoggettabile al giudizio di bilanciamento (Sez. 5, n. 23275 del 29/04/2014, Gurgone, Rv. 259846).

In tal senso, dunque, ricorre l’interesse del ricorrente all’annullamento della sentenza impugnata, in quanto l’erronea qualificazione giuridica della continuazione ha impedito di procedere, come invece sarebbe stato corretto, alla comparazione tra l’aggravante della L. Fall., articolo 219, e le riconosciute attenuanti generiche.

5. Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al disposto aumento di pena per continuazione.

Ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera l), (come novellato dalla L. n. 103 del 2017), puo’ procedersi alla rideterminazione della pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito, eliminando l’aumento di quattro mesi di reclusione disposto ai sensi dell’articolo 81 cod. pen., ed essendo superfluo il rinvio, poiche’ le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute nella massima estensione, e la formulazione di un giudizio di equivalenza con la circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219 implicherebbe, in assenza di impugnazione del P.M., una non consentita reformatio in peius.

Va, invece, dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso, relativamente ai residui motivi.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al disposto aumento di pena per continuazione, che elimina, e ridetermina la pena in anni due di reclusione; dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *