Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 20 febbraio 2018, n. 8041. Nel caso di pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione la durata della pena accessoria

Nel caso di pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione la durata della pena accessoria, secondo il criterio fissato dall’articolo 37 del codice penale, va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione più grave.

Sentenza 20 febbraio 2018, n. 8041
Data udienza 23 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di BRESCIA nel proc. c/:

– (OMISSIS), n. (OMISSIS);

– (OMISSIS), n. (OMISSIS);

avverso la sentenza del tribunale di BERGAMO in data 6/12/2016;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessio Scarcella;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATOLA G., che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udite, per gli imputati, le conclusioni dei difensori, Avv. (OMISSIS) (per il (OMISSIS)) ed Avv. (OMISSIS) (per il (OMISSIS)), che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6.12.2016, depositata in data 3.03.2017, il tribunale di Bergamo condannava (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (la cui posizione processuale non e’ investita dall’impugnazione del P.G.), alla pena, rispettivamente, di 3 anni di reclusione i primi due e di 8 mesi di reclusione quanto al terzo, in quanto riconosciuti colpevoli, i primi due, dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti (capo a), di dichiarazione fraudolenta Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 2, (capo b) e di distruzione/occultamento di scritture contabili (capo c), e, il terzo, del solo reato sub c), in relazione a fatti contestati come commessi secondo le modalita’ esecutive e spazio – temporali meglio descritte in ciascun capo di imputazione; con la medesima sentenza, il tribunale irrogava ai primi due imputati le pene accessorie di legge (interdizione dai pubblici uffici per anni 5; quanto alle pp.aa. previste dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, lettera a), b) e c), ne indicava la durata in 1 anno; assolveva, infine, il (OMISSIS) dai reati sub a) e sub b) con la formula perche’ il fatto non costituisce reato.

2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di BRESCIA, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per violazione/o falsa applicazione dell’articolo 84 c.p., comma 4.

In sintesi, sostiene il PG ricorrente, che, essendo stata contestata e ritenuta per gli imputati la recidiva (in particolare, reiterata, specifica ed infraquinquennale per il (OMISSIS); reiterata ed infraquinquennale per il (OMISSIS)), l’aumento finale sarebbe stato inferiore al limite minimo previsto dall’articolo 81 c.p., comma 4, in quanto non poteva essere inferiore a 10 mesi di reclusione.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per violazione/o falsa applicazione dell’articolo 37 c.p., con riferimento alla durata delle pene accessorie temporanee di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, comma 1.

In sintesi, sostiene il PG ricorrente, che erroneamente il tribunale avrebbe applicato le pene accessorie ex articolo 12, Decreto Legislativo citato determinandone la durata, per quelle temporanee, in 1 anno; diversamente, per la durata doveva farsi riferimento all’articolo 37 c.p., sicche’ la stessa, giusta quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 6240/2014, doveva essere uniformata alla durata della pena principale inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ fondato quanto al secondo motivo, mentre dev’essere rigettato in relazione al primo motivo.

4. Ed invero, con riferimento al primo motivo, il tribunale, riconosciuta la recidiva nei termini dianzi illustrati per entrambi gli imputati, ha determinato la pena base per il piu’ grave reato sub a), nel minimo edittale di 1 anno e 6 mesi di reclusione, aumentandola per la recidiva a 2 anni e 6 mesi di reclusione (dunque aumentandola di 12 mesi), aumentandola di ulteriore 3 mesi di reclusione per ciascuno dei reati in continuazione di cui al capo b) ed al capo c), giungendo alla pena finale di 3 anni di reclusione.

Secondo il PG il tribunale sarebbe incorso in errore in quanto avrebbe violato l’articolo 81 c.p., comma 4, sostenendo che l’aumento finale sarebbe stato inferiore al limite minimo da tale norma previsto, in quanto non poteva essere inferiore a 10 mesi di reclusione. Orbene, l’articolo 81 c.p., comma 4, cosi’ prevede: “Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello piu’ grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, comma 4, l’aumento della quantita’ di pena non puo’ essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu’ grave”.

Orbene, in applicazione di tale norma, l’aumento della quantita’ di pena non poteva essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu’ grave, nella specie individuato nel minimo edittale previsto per il reato sub a) di 1 anno e 6 mesi di reclusione, ossia in 18 mesi di reclusione; in definitiva, non poteva essere inferiore a 6 mesi di reclusione, donde nessuna violazione risulta essere stata commessa dal tribunale che ha infatti aumentato di 6 mesi di reclusione (3 mesi di reclusione per ciascuno dei reati in continuazione di cui al capo b) ed al capo c). Il motivo e’ quindi infondato.

5. Diversamente deve ritenersi quanto al secondo motivo.

Ed invero, il tribunale ha irrogato agli imputati, oltre la pena accessoria Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 12, comma 2, dell’interdizione dai pubblici uffici per anni 3 (e non 5, come erroneamente indicato in dispositivo), anche le pene accessorie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, comma 1, lettera da a) ad e), individuando la durata relativa alle pene sub a), b) e c) in 1 anno.

Orbene, l’articolo 12 citato, con riferimento alle pene accessorie temporanee, prevede che la condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa: a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l’incapacita’ di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni.

Il PG ricorrente, richiamando l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, ha impugnato la decisione del tribunale, richiamando il principio secondo cui sono riconducibili al novero delle pene accessorie la cui durata non e’ espressamente determinata dalla legge penale quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, con la conseguenza che la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’articolo 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta (Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014 – dep. 12/02/2015, B, Rv. 262328).

6. Il motivo e’ fondato.

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