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Risulta evidente che non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 172 c.p.p., comma 5, in base al quale “quando e’ stabilito soltanto il momento finale, le unita’ di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere”. In effetti, la norma non fa alcun riferimento al termine finale, riferendosi invece a quello iniziale.
Proprio gli esempi menzionati dal ricorrente – quello per il deposito della lista testimoniale di cui all’articolo 468 c.p.p., comma 1, quello di notifica dell’avviso dell’udienza davanti al Tribunale del riesame di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 8 ed altri – permettono di cogliere la diversa struttura delle norme: infatti, entrambe le ultime due previsioni menzionate fanno riferimento esclusivamente ad un momento finale, dopo il quale l’attivita’ non e’ piu’ permessa e quindi e’ inefficace o nulla, mentre non menzionano – come fa, invece, l’articolo 458 cod. proc. pen. – quello iniziale, a partire dal quale l’attivita’ e’ permessa.
Ne’ puo’ soccorrere la ratio evidenziata dal ricorrente – ampliare quanto piu’ possibile lo spatium deliberandi per l’imputato e del suo difensore rispetto alla scelta di accedere ad un rito alternativo – poiche’, trattandosi di termini, l’interpretazione non puo’ che essere di tipo formale.
2. Anche il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Questa Corte ha gia’ affermato, proprio in una fattispecie di introduzione clandestina di uno straniero, nascosto nell’autovettura dell’imputato, imbarcata su una motonave che effettuava regolarmente un servizio internazionale di trasporto, che l’aggravante dell’utilizzo di “servizi internazionali di trasporto”, prevista nel Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12 in relazione alle condotte consistenti nel compimento di atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, non e’ configurabile solo nei confronti del vettore professionale autorizzato al trasporto internazionale, ma anche di chiunque tale vettore utilizza (Sez. 1, n. 12542 del 25/11/2014 – dep. 25/03/2015, Eller, Rv. 263377).
3. Il terzo motivo e’ in fatto e, quindi, inammissibile.
La sentenza impugnata ha adeguatamente valutato la testimonianza di uno degli stranieri, che aveva riferito di avere pattuito con l’imputato il prezzo di Euro 2.000 per il trasporto, e ha aggiunto la logica considerazione che il compenso poteva non essere stato ancora del tutto percepito, in quanto l’esperienza dimostra che, solitamente, esso viene corrisposto all’esito positivo del viaggio.
Il ricorrente contrappone una evidenza niente affatto dimostrata – che, cioe’, la somma corrisposta era destinata esclusivamente alle “spese vive” dei soggetti kosovari e, quindi, non costituiva profitto per l’imputato – proponendola come una “massima di esperienza” niente affatto convincente; aggiunge, poi, considerazioni sui motivi per cui l’imputato si era prestato alla condotta illecita (come detto, non contestata) che, per la verita’ (in mancanza di spiegazioni da parte dell’interessato), orientano inevitabilmente verso il fine di profitto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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