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2.3 Ad avviso del Collegio il percorso giustificativo della decisione impugnata non merita censure; il ricorrente oppone l’erroneita’ delle valutazioni espresse dal giudice dell’esecuzione, prospettando la centralita’ della cessione conclusiva del marchio (OMISSIS) alla societa’ straniera, ma tale obiezione non puo’ essere accolta per plurime ragioni: da un lato sollecita a questa Corte una rivisitazione delle vicende fattuali, gia’ accertate in sede di cognizione, attraverso una considerazione critica degli elementi di prova acquisiti, che trascende i limiti delibativi consentiti alla giurisdizione di legittimita’; dall’altro si pone nella prospettiva del tutto soggettiva dell’autore della distrazione e delle finalita’ economico-giuridiche perseguite, che, seppur considerate alla luce del collegamento tra societa’ e del controllo esercitato da una sull’altra nell’ambito di un gruppo di imprese facenti capo alla famiglia (OMISSIS) ed ai suoi interessi, non smentiscono la diversita’ oggettiva dei fatti quanto ad azione ed al pregiudizio arrecato a distinte masse creditizie, seppure mediante una manovra distrattiva identica nelle distinte imputazioni e nell’effetto distrattivo conseguito mediante la mancata percezione del corrispettivo da parte della impresa cedente.
e’ dunque necessario ricordare che l’applicazione del principio che vieta il “bis in idem” richiede, secondo l’espressione testuale contenuta nell’articolo 649 e nell’articolo 669 cod. proc. pen., comma 1, l’identita’ del fatto, locuzione costantemente intesa nella giurisprudenza di legittimita’ come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, portata alla cognizione del giudice nei distinti processi, come “corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona” (Cass. S.U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, rv. 231799; nonche’: sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, P.G. in proc. Mustaccioli, rv. 240895; sez. 1, n. 44860 del 05/11/2008, Ficara, rv. 242197). Il legislatore, con l’imporre il divieto di celebrazione di distinti procedimenti a carico della stessa persona per lo stesso fatto di reato e l’adozione di piu’ provvedimenti, anche non irrevocabili, ma indipendenti l’uno dall’altro, ha inteso perseguire la duplice finalita’ di presidiare la certezza e la stabilita’ delle situazioni giuridiche, oggetto di decisione definitiva, di garantire razionalita’ ed efficienza al sistema processuale e di tutelare la posizione individuale del cittadino imputato, interessato a non vedersi nuovamente perseguito, una volta condannato o prosciolto per quello stesso fatto illecito. L’eventuale duplicazione del procedimento costituisce dunque una disfunzione da scongiurare perche’ contraria al principio di economia processuale e pregiudizievole per i diritti fondamentali dell’imputato, costretto a reiterare le proprie difese a fronte della medesima accusa mossagli in due sedi processuali distinte. Nell’interpretazione giurisprudenziale, che rinviene significative indicazioni nei lavori parlamentari precedenti l’approvazione dell’attuale codice di rito, nella sua operativita’ anche nel codice previgente, ove era previsto dall’articolo 579, nel suo inserimento nei trattati internazionali, – nell’articolo 4 del paragrafo 7 della Convenzione EDU e nell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea quale uno dei principi fondamentali a tutela del cittadino europeo-, il divieto di “bis in idem” ha dunque assunto il rango di principio generale dell’ordinamento processuale, e, come tale, ai sensi dell’articolo 12 preleggi, comma 2 di parametro di riferimento necessario per l’interpretazione logico-sistematica e di esso costituiscono espressione concreta le disposizioni sui conflitti positivi di competenza di cui all’articolo 28 e segg. cod. proc. pen., l’articolo 649 cod. proc. pen. sul divieto di un secondo giudizio, anche se il primo non sia ancora definito con pronuncia incontrovertibile (Sez. U. n. 34655 del 28/06/2005, citata) e l’articolo 669 stesso codice per l’ipotesi di una pluralita’ di sentenze o di decreti penali, pronunciati per il medesimo fatto (Cass. sez. 1, n. 27834 del 01/03/2013, P.G. in proc. Carvelli, rv. 255701; sez. 1, n. 14823 del 03/02/2009, Fusco, rv. 243737; sez. 1, n. 1285 del 20/11/2008, Linfeng, rv. 242750; sez. 1, n. 28581 del 26/06/2008, P.G. in proc. Gasparro, rv. 240482; sez. 6, n. 1892 del 18/11/2004, Fontana, rv. 230760).
Tanto premesso, e’ evidente che il provvedimento contestato dal (OMISSIS) ha fatto corretta applicazione dei principi giuridici che regolano la materia e dei presupposti di legge, avendo motivatamente escluso la medesimezza del fatto giudicato nei due procedimenti separati.
2.4 e’ poi affetta da inammissibilita’ la censura con la quale ci si duole dell’avvenuta condanna in grado di appello in ordine a fattispecie di reato per la quale in primo grado il ricorrente era stato mandato assolto senza che i giudici di appello avessero proCEDUto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. La dedotta violazione dei principi dei giusto processo di cui all’articolo 6 della Convenzione Edu, affermati anche dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 27620 del 6/7/2016, con la conseguente compressione dei diritti difensivi, costituisce vizio della sentenza che non e’ consentito denunciare, anche a volerlo ritenere sussistente, mediante incidente di esecuzione, perche’ ormai precluso dall’avvenuta formazione del giudicato.
2.4 II terzo motivo non puo’ accogliersi poiche’ privo di autosufficienza: deduce il (OMISSIS) l’erroneo riferimento nell’ordinanza in verifica alla sentenza del Tribunale di Gorizia del 19/7/2002 ed al passaggio della sentenza della Corte di appello di Trieste del 3/10/2014 laddove si era esclusa l’identita’ del fatto di reato giudicato con quello oggetto della predetta sentenza, mentre egli aveva inteso denunciare la violazione del principio di “bis in idem” quanto al procedimento n. 217/2000 iscritto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia a carico proprio e del Volsi, gia’ deceduto. Non risultano pero’ prodotti gli atti relativi, di cui non e’ stato trascritto in ricorso nemmeno il contenuto, il che priva questa Corte della possibilita’ materiale di apprezzare la fondatezza della denuncia e la non pertinenza alla domanda della soluzione offerta dal giudice dell’esecuzione. Ne’ e’ compito del giudice di legittimita’ ricercare d’ufficio atti che possano avvalorare i fatti dedotti dalle parti.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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