Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 19 settembre 2017, n. 42834. Il divieto di ne bis in idem che ha assunto il rango di principio generale

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3.Con requisitoria scritta depositata il 9 novembre 2016 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Paolo Canevelli, ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. Con successiva memoria pervenuta in data 13 febbraio 2017 il ricorrente ha replicato circa la fondatezza dei motivi di ricorso.
5. Con ulteriore memoria pervenuta in data 20 febbraio 2017 il ricorrente personalmente ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso, insistendo per il loro accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato e va dunque respinto.
1.II primo motivo non coglie nel segno ed e’ frutto dell’omessa considerazione della disciplina processuale che regola la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, che il primo comma dell’articolo 665 cod. proc. pen. individua nel giudice che ha pronunciato il provvedimento della cui esecuzione si controverta. Si e’ gia’ affermato da parte di questa Corte che l’istituto dell’incompatibilita’ opera solo nell’ambito del giudizio di cognizione, sicche’ non e’ ipotizzabile la ricusazione del giudice dell’esecuzione, non prevista dall’articolo 34 cod. proc. pen., “posto che la competenza di quest’ultimo deriva inderogabilmente dalla sua identificazione con il giudice della fase cognitiva e che, nell’ambito di detta competenza, non puo’ sussistere alcuna divaricazione fra l’intervenuto giudicato e l’oggetto della deliberazione da adottarsi in “executivis”” (Cass. sez. 1, n. 32843 del 04/06/2014, Colatigli, rv. 261194; sez. 2, n. 11014 del 06/12/2012, Aramino, rv. 255354; sez. 1, n. 6621 del 23/01/2008, Monini, rv. 239367).
e’ poi significativo che sia stato gia’ escluso anche ogni profilo di incostituzionalita’ degli articoli 34 e 665 cod. proc. pen. per contrasto con gli articoli 3, 10, 24, 25 e 104 Cost. a ragione della mancata previsione di una incompatibilita’ del giudice che ha pronunciato la sentenza divenuta esecutiva a fungere da giudice dell’esecuzione della medesima anche quando, come nel caso presente, nella fase esecutiva vada riesaminato il merito dei fatti per delibare una domanda di revoca della sentenza, avanzata ai sensi dell’articolo 673 cod. proc. pen. (sez. 1, n. 1935 del 25/03/1996, Lembi, rv. 204915).
2. Non hanno fondamento nemmeno i motivi che s’incentrano sulla decisione per denunciarne l’erroneita’ e l’incompiutezza e manifesta illogicita’ motivazionale.
2.1 L’ordinanza in esame ha ritenuto di poter escludere la perfetta identita’ e sovrapponibilita’ delle condotte di bancarotta fraudolenta per distrazione, per le quali il (OMISSIS) era stato condannato nei due separati procedimenti penali, conclusisi con la sua condanna, disposta con la sentenza della Corte di appello di Trieste del 3/10/2014 e con sentenza della Corte di appello di Perugia del 19/3/2010. Ha dunque condotto l’analisi dei fatti di reato come contestati ed accertati nelle due differenti sedi processuali per concludere che, sebbene gli addebiti di bancarotta per distrazione avessero riguardato lo stesso bene materiale, ossia il marchio “(OMISSIS)”, le condotte si erano differenziate sul piano temporale e dei patrimoni impoveriti mediante distinte operazioni di cessione del marchio stesso in assenza di corrispettivo e di contropartita di qualsiasi natura. Piu’ i’n dettaglio, ha affermato che nel procedimento celebrato a Trieste si era accertato che il (OMISSIS), quale consigliere e presidente del consiglio di amministrazione della ” (OMISSIS) s.r.l.”, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Gorizia del 13/5/1999, aveva ceduto il marchio “(OMISSIS)” fittiziamente e tramite intermediazione alla (OMISSIS) s.r.l., realizzandone in tal modo la distrazione o la dissipazione. Per contro, la sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona e poi, dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, dalla Corte di appello di Perugia in sede di rinvio, aveva riguardato la distrazione del marchio d’impresa “(OMISSIS)”, ceduto alla societa’ controllante (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.r.l. della quale il (OMISSIS) era presidente ed amministratore delegato, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Ancona del 19/12/1996.
2.2 La diversita’ delle societa’ fallite e dei patrimoni depauperati, nonche’ delle masse di creditori danneggiati dai comportamenti accertati in via definitiva nelle rispettive modalita’ realizzative, nonche’ il compimento delle condotte in tempi distanziati di anni, in un caso nel 1992, nell’altro nel 1995, danno conto del ragionamento valutativo seguito dal giudice dell’esecuzione, che non presenta vizi logici evidenti e nemmeno profili di illegittimita’. Invero, anche l’osservazione incidentale, secondo la quale non assume rilievo che il capo d’imputazione n. 5) del processo triestino contenga il riferimento alla “successiva e definitiva” cessione del bene alla societa’ di (OMISSIS) dopo un primo incriminato trasferimento alla (OMISSIS) s.r.l., poiche’ trattasi di “nota di chiusura meramente descrittiva ed estranea alla condotta posta in essere dal (OMISSIS) nell’ambito della (OMISSIS)”, risulta perfettamente logica ed aderente alle emergenze probatorie riportate nella sentenza della Corte di appello di Trieste, nella quale la successiva vicenda traslativa del marchio (OMISSIS) alla societa’ di (OMISSIS) era richiamata e ricostruita per avvalorare l’elemento soggettivo del dolo, in quanto operazione funzionale nei propositi degli imputati a mantenere la disponibilita’ di quel cespite patrimoniale in danno dei creditori.

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