Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 19 settembre 2017, n. 42834. Il divieto di ne bis in idem che ha assunto il rango di principio generale

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b) Vizio di motivazione per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ laddove la Corte di appello ha ritenuto che i fatti di reato giudicati nei due procedimenti penali fossero diversi mentre la soluzione opposta sarebbe stata raggiungibile se si fossero considerati: le modalita’ dei comportamento criminoso, l’esatta collocazione temporale delle azioni, il ruolo dei soggetti giuridici attivi nelle operazioni distrattive, la finalita’ perseguita, il ruolo dell’imputato. Nel procedimento penale celebrato ad Ancona si era contestata la distrazione dei marchi d’impresa di cui la (OMISSIS) era proprietaria, alienandoli alla societa’ controllante (OMISSIS) di (OMISSIS) per l’importo di 4 miliardi di lire, poi non corrisposti per rinuncia della cessionaria; in quello celebrato a Trieste l’addebito riguardava la distrazione, l’occultamento o la dissipazione del marchio d’impresa (OMISSIS) che, ceduto fittiziamente alla (OMISSIS) s.r.l. in grave crisi finanziaria e poco dopo dichiarata fallita, senza alcuna giustificazione economica e contropartita, veniva poi ceduto alta (OMISSIS), facente capo sempre alla famiglia (OMISSIS). La Corte di appello ha ritenuto irrilevante che nel capo d’imputazione del processo celebrato a Trieste vi fosse il riferimento all’ultima cessione, perche’ si trattava di nota di chiusura meramente descrittiva ed estranea alla condotta del (OMISSIS), posta in essere nell’ambito della gestione della Distilleria Goriziana; in realta’ tale ultima cessione e’ centrale nell’attivita’ distrattiva perche’ descrive la fuoriuscita del marchio dal patrimonio delle due societa’ di (OMISSIS) e la sua entrata in quello di societa’ straniera, soda di entrambe, con la collocazione dello stesso al di fuori della giurisdizione italiana e dei creditori italiani. Secondo la Corte di appello, l’avere il (OMISSIS) agito quale legale rappresentante di due societa’ diverse, entrambe fallite, consente di escludere la coincidenza dei fatti, ma in tal modo non tiene conto che una di esse controllava l’altra e che dopo la cessione del marchio alla (OMISSIS) la societa’ goriziana aveva mutato denominazione con eliminazione del marchio (OMISSIS) e due mesi dopo cessato l’attivita’. Identico nelle due imputazioni e’ il significato e la descrizione dell’effetto distrattivo perfezionato per la mancata percezione del corrispettivo da parte della impresa cedente, al punto che il curatore della (OMISSIS) s.r.l. si era insinuato al passivo del fallimento della (OMISSIS) per l’importo riconosciuto di 793.676.936 Lire. e’ dunque contraddittorio ed illogico sostenere che la distrazione sarebbe avvenuta nel 1992 tra le due societa’ italiane poiche’ dal 1992 fino al luglio 1995 si e’ verificato l’utilizzo condiviso tra di esse del marchio (OMISSIS) con notevoli utili per entrambe, mentre quanto affermato dal curatore (OMISSIS) a pag. 34 della sentenza non e’ supportato da alcun documento, tanto che non si sa chi abbia firmato nel 1992 ed all’epoca la (OMISSIS) s.r.l. godeva di ottima salute e produceva consistenti utili, per cui in riferimento a questa presunta prima cessione non vi e’ reato.
c) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla irretrattabilita’ dell’azione penale in materia di reati fallimentari dovuta, non alla sentenza del Tribunale di Gorizia del 19/7/2002, ma all’iscrizione nel registro degli indagati del 2000 del procedimento n. 217/2000, il che smentisce quanto affermato dalla Corte di appello, ossia che nella sentenza del 3/10/2014 la questione della violazione del divieto di “bis in idem” fosse stata gia’ affrontata e respinta.

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