Il giudice dell’esecuzione non può alterare il giudicato, ritenendo esistente un’attenuante non ravvisata in sede di cognizione, o procedendo alla comparazione tra circostanze opposte. Né può, dopo l’irrevocabilità della sentenza, qualificare il fatto di reato, già considerato attenuato, come autonoma fattispecie e rideterminare la pena.
Sentenza 15 novembre 2017, n. 52259
Data udienza 20 luglio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BONI Monica – rel. Consigliere
Dott. APRILE Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 15/11/2016 del TRIBUNALE di MATERA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MONICA BONI;
lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 15 novembre 2016 il Tribunale di Matera, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, revocava nei confronti di (OMISSIS) il beneficio della sospensione condizionale della pena, concessogli con la sentenza in data 11 novembre 2011, irrevocabile il 22 febbraio 2012, con la quale gli era stata applicata ex articolo 444 c.p.p. la pena di mesi sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, commesso il (OMISSIS). A fondamento della decisione rilevava che tale pronuncia costituiva la terza condanna per delitto e quindi il beneficio era stato applicato in violazione dell’articolo 164 c.p., comma 4.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per inosservanza o erronea applicazione della legge penale; il giudice dell’esecuzione ha revocato la sospensione condizionale della pena senza considerare che la Corte di cassazione ha affermato come si debba rideterminare la pena quando, ritenuto il quinto comma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, si sia rimasti significativamente in prossimita’ del minimo edittale rimasto immutato (cfr. Cassazione Penale sezione 3 sentenza 25 febbraio 2014 n. 11110). Nel caso di specie il ricorrente risulta condannato alla pena di mesi sei di reclusione e quindi presenta le condizioni per poter operare la richiesta rideterminazione della sanzione inflittagli in sede di cognizione.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale ha rassegnato le proprie conclusioni chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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