Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 14 marzo 2018, n. 11604.
Risponde ad una precisa esigenza di chiarezza l’inserimento della specificazione “anche senza convivenza” in quest’ultima norma, che prevede l’aggravamento del reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis c.p. se vi e’ o vi e’ stata relazione affettiva fra l’agente e la persona offesa. La precisazione normativa ha la sua ratio, chiaramente emergente dal testo e ricollegabile alla particolare struttura del reato di violenza sessuale, nella necessita’ di evitare che possa revocarsi in dubbio la configurabilita’ dell’aggravante in mancanza della convivenza. Se la norma non avesse previsto le parole evidenziate, si sarebbe potuto ritenere, proprio in considerazione dell’attinenza del reato di cui all’articolo 609-bis c.p. alla sfera sessuale ed alle connesse particolarita’, che solo in presenza di una relazione affettiva caratterizzata da convivenza fosse possibile ravvisare l’aggravante, ancorata al riconoscimento di un grado maggiore di offensivita’ della condotta rispetto a quella dell’ipotesi semplice.
Sentenza 14 marzo 2018, n. 11604
Data udienza 3 ottobre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOVIK Adet Toni – Presidente
Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere
Dott. MANCUSO Luigi F. – rel. Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/11/2015 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. LOY MARIA FRANCESCA che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore l’avvocato (OMISSIS) del foro di CAGLIARI in difesa delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che conclude come da conclusioni scritte che deposita insieme alla nota spese.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 febbraio 2015, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava l’imputato (OMISSIS) colpevole dei seguenti reati: a) atti persecutori di cui all’articolo 612-bis c.p., delitto aggravato ai sensi del comma 2, commesso, dal (OMISSIS) come da querela del 3 maggio 2014, con ripetute condotte di ingiuria, minaccia, disturbo telefonico, percosse ed altro, in danno di (OMISSIS), con la quale l’imputato aveva precedentemente intrattenuto una relazione sentimentale; b) incendio di cui all’articolo 423 c.p., aggravato ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 2, commesso il (OMISSIS), in danno sia di (OMISSIS), madre della (OMISSIS), sia di numerose altre persone, dando fuoco alle loro autovetture parcheggiate, con nesso teleologico rispetto al capo a); c) porto ingiustificato di un coltello a serramanico, reato di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4, commesso il (OMISSIS).
Venivano riconosciute le circostanze attenuanti del vizio parziale di mente e le generiche; la continuazione; la diminuente per la scelta del rito. La pena complessiva finale veniva determinata in anni due e mesi quattro di reclusione. L’imputato veniva condannato, altresi’, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, con una provvisionale.
2. In parziale riforma della predetta sentenza, su appello dell’imputato, rigettato per il resto, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 18 novembre 2015, riteneva la consumazione del delitto di atti persecutori limitata al periodo dal 22 aprile al 2 maggio 2014 e riduceva la pena complessiva ad anni due, mesi uno, giorni dieci di reclusione.
2. L’avv. (OMISSIS), in difesa del (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione con atto datato 1 febbraio 2016 affidato a tre motivi, ed ha presentato atto datato 6 marzo 2017, articolato in due motivi nuovi.
2.1. Con il primo motivo dell’atto di ricorso, ribadito con il primo dei motivi nuovi, si deduce, richiamando l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione al reato di atti persecutori di cui al capo a), erronea applicazione dell’articolo 612-bis c.p. e mancanza di motivazione. Per la consumazione del reato di atti persecutori non sono sufficienti condotte di minaccia o molestie, ma e’ necessario che sia accertato il verificarsi di un danno consistente in un perdurante stato di ansia e di paura cagionato nella persona offesa da reiterate condotte dell’imputato. Il giudice di appello non ha speso nessuna argomentazione sul punto. Cio’ ha determinato: 1) mancanza di motivazione; lo stesso giudice ha escluso la sussistenza di uno stato di ansia e di paura, in (OMISSIS), per un primo periodo, ed ha assolto l’imputato in relazione a tale periodo, ma non ha spiegato perche’ ha ritenuto sussistente detto stato per il periodo successivo, in relazione al quale ha ritenuto la colpevolezza dell’imputato; 2) mancanza di esame delle censure dedotte sul punto con l’atto di appello; 3) erronea applicazione della norma incriminatrice, che richiede l’insorgenza di uno stato di ansia e di paura nella vittima, come evento del reato.
2.2. Con il secondo motivo dell’atto di ricorso, ribadito con il secondo dei motivi nuovi, si deduce, richiamando l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al reato di atti persecutori di cui al capo a), erronea applicazione dell’articolo 612-bis c.p., comma 2.
Il giudice di appello avrebbe dovuto escludere l’aggravante della relazione affettiva, in mancanza di una convivenza presente o passata. Nel prevedere come circostanza aggravante una relazione affettiva fra la persona offesa e l’autore del reato di atti persecutori, il testo della disposizione citata non include l’espressione “anche senza convivenza”, ma deve ritenersi, in virtu’ di una interpretazione sistematica della norma e del canone ermeneutico ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit, che l’aggravante possa essere riconosciuta solo qualora vi sia o vi sia stato un rapporto di convivenza fra i predetti soggetti, avuto riguardo al fatto che, nelle ipotesi in cui il legislatore ha voluto attribuire alla relazione affettiva una valenza come aggravante, indipendentemente dalla convivenza, lo ha indicato espressamente.
Cosi’ per il reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis c.p., in cui l’analoga aggravante di cui all’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5) quater, contiene le parole “anche senza convivenza”. E sia l’una sia l’altra aggravante sono state introdotte dal Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93, articolo 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119.
2.3. Con il terzo motivo dell’atto di ricorso si deduce, richiamando l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al reato di incendio di cui al capo c), erronea applicazione dell’articolo 423 c.p. ed inosservanza dell’articolo 424 c.p., comma 2. Il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere il reato previsto da quest’ultima disposizione che punisce il danneggiamento seguito da incendio, diverso per l’elemento psicologico dal reato di incendio previsto dall’altra norma incriminatrice. L’imputato, infatti, come ha affermato nell’interrogatorio, e come era stato spiegato nell’atto di appello, non voleva provocare un incendio, altrimenti avrebbe cosparso il liquido infiammabile ovunque, mentre i Vigili del fuoco hanno accertato che esso era presente soltanto sotto l’autovettura di (OMISSIS). Il precedente citato dalla Corte di appello, cioe’ la sentenza della Corte Suprema di cassazione n. 4506/1995, riferito ad una ipotesi di incendio di un capannone al fine di conseguire una indennita’ assicurativa, non ha peso nel caso in esame, date le differenze fra i due casi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, ribadito con il primo dei motivi nuovi e riguardante il reato di cui al capo a), e’ fondato.
La giurisprudenza di legittimita’ ha spiegato che, ai fini della configurabilita’ del reato di atti persecutori, non e’ necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o piu’ degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente (Sez. 5, n. 47195 del 06/10/2015 – dep. 27/11/2015, P.M. in proc. S., Rv. 265530; caso in cui la S.C. ha ritenuto irrilevante il fatto che la persona offesa non avesse riferito espressamente di essere impaurita, alla luce dei certificati medici sulle lesioni subite, delle annotazioni di polizia giudiziaria sul suo stato di esasperazione e spavento, dei messaggi sms di minaccia). Nel delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p., che ha natura abituale, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensivita’, in quanto e’ proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016 – dep. 27/12/2016, G, Rv. 269081).
Nel caso in esame, la motivazione circa la sussistenza dell’evento, in relazione al periodo ritenuto dal giudice di appello per la responsabilita’ dell’imputato, e’ carente, perche’, dopo aver riconosciuto che l’epoca dei fatti in contestazione doveva essere suddivisa in due periodi, e dopo aver escluso la sussistenza in (OMISSIS) di uno stato di ansia e di paura per il primo di detti periodi, non spiega da quali elementi dovrebbe ricavarsi che per il secondo di essi (compreso fra il 22 aprile e il 2 maggio 2014) in relazione al quale e’ stata affermata la responsabilita’ dell’imputato per il reato di atti persecutori, dovrebbe ritenersi che (OMISSIS) abbia riportato, a causa della condotta dell’imputato, quello stato di ansia e di paura che la norma incriminatrice richiede per la configurabilita’ del reato. In altri termini, il giudice di appello, nell’affermare il carattere persecutorio degli atti compiuti nel secondo periodo, ha manifestato di aver ritenuto la sussistenza nella vittima, per tale periodo, quello stato di ansia e di paura che ha negato per il primo periodo, ma non ha chiarito quali siano le basi fattuali alle quali ancorare l’assunto condannatorio.
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