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7.3. Orbene questa Corte ha ripetutamente affermato che la responsabilita’ dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrita’ fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla nor’ma di ordine generale di cui all’articolo 2087 c.c., la quale impone all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarita’ del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l’integrita’ fisica dei lavoratori (cfr. tra le altre Cass. 19/04/2003 n. 6377 e 01/10/2003 n. 16645 ed anche Cass. 03/08/2012 n. 13956, nonche’ Cass. 08/10/2012 n. 17092 e 05/08/2013 n. 18626). In sostanza la responsabilita’ dell’imprenditore ex articolo 2087 cod. civ. non si configura come un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, e tuttavia non e’ circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrita’ psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realta’ aziendale e della maggiore o minore possibilita’ di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (cfr. Cass. n. 18626 del 2013 cit.).
7.4. Tanto premesso va rilevato che, contrariamente a quanto pur argomentatamente preteso dal ricorrente, la Corte territoriale si e’ esattamente attenuta, nella decisione che qui e’ censurata, ai principi sopra esposti ed ha rilevato, con accertamento in fatto che resta in questa sede non censurabile perche’ ad essi conforme ed adeguatamente motivato con riguardo alle allegazioni ed alle prove offerte, che l’attivita’ svolta dal (OMISSIS) aveva natura intrinsecamente usurante poiche’ prevedeva, al di la’ dei trasferimenti in auto, la necessita’ di operare all’esterno in qualsiasi condizione climatica e su territori impervi per raggiungere anche a piedi i luoghi dove svolgere gli interventi tecnici richiesti per la sua qualifica di addetto alle teletrasmissioni. Il giudice di appello ha del pari verificato che le allegazioni del lavoratore, oltre che generiche ed in parte inammissibili perche’ tardive, erano rimaste in massima parte indimostrate. In questo contesto, coerentemente, la Corte di merito ha ritenuto che la mancata installazione dell’aria condizionata sulle autovetture di servizio non connotava di colpevolezza la condotta datoriale posto che la misura non risultava funzionale alla sicurezza della prestazione ma piuttosto ricollegabile ad una maggiore confortevolezza degli spostamenti nei periodi estivi. In definitiva il giudice di appello ha accertato che la natura usurante della prestazione era intrinseca alla stessa e non poteva essere in alcun modo riferita ad una condotta colposamente trascurata del datore di lavoro.
7.5. Coerentemente con l’accertata intrinseca natura usurante dell’attivita’ svolta la Corte ha ritenuto non decisivo l’accertamento effettuato in altra controversia che non coinvolgeva il datore di lavoro della riferibilita’ della malattia alle condizio’ni di lavoro. Peraltro la censura, che non riporta il contenuto della consulenza medica disposta in quel giudizio, presenta evidenti profili di inammissibilita’ che ne precludono l’esame poiche’ al ricorso non sono allegati gli atti di cui si lamenta l’omessa valutazione, non se ne riporta il contenuto se non per estrema sintesi nella parte espositiva del fatto senza pero’ indicare se e dove tali documenti siano reperibili (del tutto generico il riferimento alla documentazione allegata al fascicolo di parte di primo grado a pagina 39 dell’odierno ricorso). Per quanto concerne infine la mancata disposizione di una consulenza tecnica, per accertare la dipendenza dell’infarto oltre che da una causa di servizio dall’inadempimento dell'(OMISSIS), va rammentato che la decisione di non ricorrere alla consulenza tecnica d’ufficio, che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, e’ nello specifico adeguatamente giustificata dalla motivata valutazione del carattere intrinsecamente usurante dell’attivita’ in base alla quale la Corte ha escluso l’esistenza di una condotta colposa riferibile al datore di lavoro che ne giustifica, seppur per implicito, l’irrilevanza ne’ dal ricorso se ne evince, al contrario, la decisivita’. Va in proposito rammentato che la parte che denuncia la mancata ammissione della consulenza ha l’onere di precisare, sotto il profilo causale, come l’espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata (cfr. Cass 11/01/2006. n. 396).
8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore di ciascuna delle parti costituite, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano, in favore di ciascuna delle parti costituite, in Euro 3000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.
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