Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 24 ottobre 2017, n. 25151. La riconosciuta dipendenza della malattia da una causa di servizio non implica necessariamente, né può far presumere, che l’evento dannoso sia derivato dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro

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4. Con il primo motivo di ricorso e’ denunciata, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c.. Sostiene il ricorrente che il datore di lavoro nel valutare i rischi connessi alla prestazione deve tenere conto anche di quelli da ricollegare al luogo ed alle condizioni in cui la stessa e’ resa e che l’ignorare rischi ambientali non lo esonererebbe da responsabilita’ tenuto conto del fatto che: la sicurezza sul luogo di lavoro non puo’ essere subordinata a criteri di fattibilita’ economica o produttiva; la tutela dell’integrita’ fisica non tollera condizionamenti economici; la tutela dell’integrita’ fisica e della personalita’ morale dei prestatori di lavoro deve essere apprestata individuando rischi e nocivita’ specifiche e perseguendo la massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale fattibile. Rammenta che il mancato adempimento all’obbligo di tutela descritto e’ fonte di responsabilita’ contrattuale per il datore di lavoro di tal che al lavoratore e’ consentito, ex articoli 2087 e 1453 c.c. chiedere l’adempimento ovvero ex articolo 1218 c.c. il risarcimento dei danni subiti. Alla responsabilita’ contrattuale si affianca quella aquiliana con obbligo di risarcimento anche dei danni non patrimoniali. Sottolinea che il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 6 in continuita’ con le disposizioni sopra richiamate, ribadisce specificandoli gli obblighi di sicurezza che gravano in capo al datore di lavoro ed insiste nell’affermare che il mancato adeguamento dell’organico aziendale, ed il conseguente super lavoro derivatone, avrebbe dovuto indurre il giudice di merito ad accogliere le sollecitazioni formulate, gia’ dal 1989 da parte delle organizzazioni sindacali, a dotare le autovetture di impianti di climatizzazione che furono introdotti, troppo tardi per il lavoratore ricorrente, solo nel 1994. Alla luce di tali premesse, ad avviso del ricorrente avrebbe dovuto essere riconosciuto quanto meno il danno biologico.
5. Con il secondo motivo di ricorso viene poi denunciata la falsa applicazione del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 di attuazione della L. 3 agosto 2007, n. 123, articolo 1 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel richiamare l’allegato IV del citato decreto legislativo evidenzia che l’installazione di impianti di climatizzazione a bordo delle autovetture, lungi dal costituire solo un maggiore confort, andava considerata, piuttosto, come finalizzata alla predisposizione di condizioni adeguate di svolgimento della prestazione al pari di quanto previsto per gli trasportatori, gli autisti ed in generale per tutte quelle mansioni che prevedano l’utilizzazione di autoveicoli. Osserva che pertanto la prova dell’origine professionale della patologia sarebbe dovuto essere valutata in termini di ragionevole certezza tenuto conto del rilevante grado di probabilita’ di fattori sia lavorativi che extralavorativi concorrenti nella causazione della malattia.
6. Con il terzo motivo di ricorso viene censurata la sentenza per avere in violazione dell’articolo 421 c.p.c., omettendo di esaminare fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, trascurato che con sentenza passata in giudicato, pronunciata in un procedimento tra l’odierno ricorrente e l’Inps, era stata accertata la dipendenza da causa di servizio dell’infarto e conseguentemente riconosciuto il diritto del (OMISSIS) alla pensione privilegiata; che le prove raccolte in quel giudizio erano utili e rilevanti, anche nel presente, ai fini della dimostrazione della esistenza di una responsabilita’ della datrice di lavoro; che la societa’ datrice non si era opposta alla loro acquisizione da un punto di vista processuale ne’ aveva contestato il loro contenuto; che il loro contenuto, ove valutato, avrebbe sollecitato nuovi esami peritali ed indagini istruttorie che, nell’ambito del processo, avrebbero confermato la fondatezza della domanda azionata.
7. Le censure, che investono sotto vari profili i criteri per l’attribuzione della responsabilita’ in capo al datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2087 Cod. civ. e denunciano carenza nell’acquisizione del materiale probatorio, possono essere esaminate congiuntamente e sono in parte infondate ed in parte inammissibili.
7.1. Va in generale rammentato che ai sensi dell’articolo 2087 c.c. la responsabilita’ del datore di lavoro deve essere collegata alla violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento ed incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attivita’ lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare oltre all’esistenza di tale danno anche la nocivita’ dell’ambiente di lavoro ed il nesso tra l’uno e l’altro. Solo allorquando sia stata fornita la prova di tali circostanze, il datore di lavoro ha l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non e’ ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. Va del pari rammentato che la riconosciuta dipendenza della malattia da una “causa di servizio” non implica necessariamente, ne’ puo’ far presumere, che l’evento dannoso sia derivato dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro essendo ben possibile che la patologia accertata debba essere collegata alla qualita’ intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa ed al logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo piu’ o meno lungo. In tale descritto ultimo caso si resta fuori dall’ambito dell’articolo 2087 c.c. il quale riguarda una responsabilita’ contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici (cfr. Cass. 29/01/2013 n. 2038).
7.2. Ancora va rammentato che se spesso la causa di servizio cui si ricollega l’infermita’ del dipendente si identifica con la stessa esplicazione dell’attivita’ lavorativa, o delle attivita’ ad essa connesse, al di fuori di qualsiasi, sia pur legittimo, comportamento commissivo od omissivo da parte del datore di lavoro, tuttavia al fine del riconoscimento della dipendenza di una determinata malattia da causa di servizio, non viene necessariamente in considerazione il comportamento, commissivo od omissivo, colposo o doloso del datore di lavoro. Al contrario la responsabilita’ del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2087 c.c. richiede un inadempimento contrattuale suscettibile di venire in considerazione, quantomeno, sotto il profilo colposo.

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