Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 20 gennaio 2015, n. 854
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo – Presidente
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4671/2012 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 943/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/09/2011 R.G.N. 1799/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2014 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Societa’ affidando l’impugnazione ad un unico motivo poi illustrato con memoria.
Resiste, con controricorso, il (OMISSIS).
Il motivo deve ritenersi infondato.
La pronunzia della Corte territoriale, in effetti, si sottrae alle censure mosse dalla Societa’ ricorrente. La Corte non incorre nei denunciati errori di diritto e vizi logici che le vengono attribuiti, non e’ che non tenga conto della tipizzazione del contratto collettivo e applichi in modo non corretto i canoni valutativi che devono presiedere alla identificazione delle ricorrenza di una giusta causa, si rende anzi ben conto della configurabilita’ della condotta del dipendente come impossessamento furtivo di prodotti dell’azienda intenzionalmente operato e tale da integrare gli estremi di una azione delittuosa ma semplicemente supera questi dati nel quadro di una valutazione della proporzionalita’ della sanzione che muove dalla derubricazione della stessa condotta da furto di vino a consumo di vino, come ben rileva la stessa difesa della ricorrente, in cui l’azione dell’impossessamento invito domino e’ meramente funzionale al soddisfacimento di un bisogno di consumo immediato e limitato (al piu’ un cartone di vino da un litro al giorno), una condotta che per essersi manifestata all’improvviso e’ idonea a riflettere una anomala condizione di disagio da parte di un lavoratore che in precedenza non aveva suscitato sul lavoro particolari problemi, e tale valutazione e’ operata secondo un iter logico non privo di tenuta e sostanzialmente neppure fatto oggetto di censura da parte della Societa’ ricorrente.
Il ricorso vi si oppone con la prospettazione di una versione della vicenda che, mirando a dare esclusivo rilievo al fatto materiale dell’impossessamento furtivo, appare assolutamente incommensurabile rispetto a quella della Corte territoriale, per la quale il fatto dell’impossessamento e’ un semplice antefatto, laddove configura la condotta come essenzialmente connotata dalla mera, ancorche’ illegittima, finalita’ di consumo del vino, sicche’ le due versioni restano a fronteggiarsi senza interferire, non valendo quella proposta dalla Societa’ ricorrente ad inficiare la validita’ di quella fatta propria dalla Corte territoriale. E questa, considerata in se’, si ammanta, come detto, di una intrinseca logicita’, dovendosi ammettere che l’appropriazione di beni aziendali non e’ del tutto sovrapponibile alla sottrazione funzionale al consumo immediato del bene, siamo piuttosto, per radicare il paragone sempre nel campo penale, in un’area molto vicina al furto d’uso, per essere il fatto commesso su cose di tenue valore – di qui il rilievo dato dalla Corte territoriale alla tenuita’ del danno, intendendo, con tutta evidenza, non certo discostarsi dall’insegnamento di questa Suprema Corte di cui il Collegio ha piena consapevolezza, ma piuttosto evidenziare da parte del lavoratore, il quale ha deliberatamente scelto il prodotto di piu’ bassa qualita’, la preoccupazione di contenerlo – e per provvedere comunque ad un bisogno in qualche misura qualificabile grave ed urgente, il che abbinato alla considerazione del fattore tempo – viceversa completamente trascurato dalla Societa’ ricorrente – ovvero del manifestarsi improvviso del comportamento illecito e del suo concentrarsi in un arco temporale limitato cosi’ da indurre a ritenerlo frutto di una condizione anomala rispetto alla personalita’ ordinariamente manifestata dal lavoratore, indotta da situazioni del tipo di quelle dedotte dal lavoratore – non propriamente qualificabili frutto di una “favoletta” come vorrebbe la ricorrente e neppure tutte indimostrate, specie se si ha riguardo alle condizioni di salute dei familiari, dalla moglie in stato di gravidanza a rischiosi figlio di quattro anni con problemi respiratori, mai contestate, evenienze che non di rado possono spingere a indulgere a “rimedi” discutibili e socialmente censurabili ma soggettivamente percepiti come necessario sollievo – ben puo’ valere come esimente o circostanza attenuante, in specie se riguardata alla luce di un pregresso connotato in termini affatto diversi, idonea ad escludere, anche in considerazione dell’adibizione del lavoratore a mansioni non implicanti particolari responsabilita’ (la Corte fa riferimento a compiti di sorveglianza e di tenuta della cassa), quel pregiudizio all’affidamento del datore sull’esatto adempimento delle prestazioni future in cui si concreta il vincolo fiduciario.
Il ricorso va dunque rigettato Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
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