Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 16 ottobre 2014, n. 21917
Fatto e diritto
1. Con sentenza 30.5.2012, la corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza 1.2.2006 del tribunale della stessa sede, che aveva condannato la ASL n. X L’Aquila al risarcimento del danno morale jure proprio, subito dai ricorrenti in ragione del decesso del loro familiare (marito e padre, rispettivamente) a seguito di malattia contratta in servizio ed a causa del lavoro svolto quale medico specialista in gastroenterologia in servizio al Centro tumori di Medicina nucleare – zona controllata della suddetta ASL. Inoltre, la corte territoriale, qualificando la domanda come volta a far valere un responsabilità extracontrattuale, ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno esistenziale e del danno morale jure hereditatis, dichiarando inutilizzabile la documentazione tardivamente prodotta a sostegno della domanda; ha rigettato le domande di risarcimento del danno biologico jure hereditatis e del danno patrimoniale; ha rigettato le domande di risarcimento per spese di cura, viaggio e funerarie; ha, infine, compensato tra le parti per intero le spese di lite dei due gradi di giudizio.
2. Ricorrono avverso tale sentenza la moglie ed i figli del lavoratore deceduto, per dieci motivi, illustrati da memoria. Resiste la ASL con controricorso.
3. Con il primo motivo di ricorso, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la sentenza escluso la cumulabilità della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 2087 e2043 cod. civ., nonché 10 d.P.R. n. 1124/1965, al d.P.R. n. 185/1964 ed al d.m. n. 449/1990.
4. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ragione della mancata valutazione delle prove documentali relative al danno biologico jure hereditatis, alla mancata ammissione di consulenza tecnica d’ufficio sull’accertamento e sulla quantificazione del predetto danno, alla mancata liquidazione di tale danno, eventualmente sulla base della prova presuntiva acquisita, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 115, 116, 184 cod. proc. civ., e 1226, 2727 e 2729 cod. civ., in ragione della ritenuta tardività del deposito di documentazione invece ritualmente prodotta sin dall’atto di citazione.
5. Con il terzo motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ragione della mancata ammissione di CTU sull’accertamento del danno biologico del de cuius (potendo e dovendo invece il giudice procedere alla quantificazione del relativo danno, tenendo conto dei documenti prodotti e anche della prova presuntiva, e quanto meno dei verbali di riconoscimento della causa di servizio e dell’equo indennizzo) e dovendo comunque liquidare il danno anche in via equitativa, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 115, 116 cod. proc. civ., e 1226, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione soprattutto all’omessa considerazione dei numerosi elementi presuntivi già in atti, sicuramente idonei a fondare anche da soli una decisione risarcitoria del danno biologico, anche in senso dinamico ovvero come lesione delle potenzialità espressive dell’uomo costituzionalmente protette.
6. Con il quarto motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ragione della mancata quantificazione del danno patrimoniale, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 115, 116, 184 cod. proc. civ., e 1226, 2727 e 2729 cod. civ. e 4 l. 39/1977, per aver la sentenza ritenuto non tempestivamente provato il danno (che invece secondo i ricorrenti era dimostrato, risultando già dalla denuncia di infortunio prodotta ritualmente il guadagno del lavoratore prima dell’infortunio) ed aver inoltre escluso il criterio sussidiario del terzo della pensione sociale in quanto il ricorrente percepiva reddito superiore. Deducevano inoltre i ricorrenti che, quanto al danno emergente, lo stesso risultava implicitamente dalla sottoposizione all’estero a cure mediche (pur se le relative spese non erano documentate) e, quanto al lucro cessante, occorreva valutare la perdita di ciance lavorative del loro dante causa.
7. Con il quinto motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento alla prova e liquidazione del danno biologico jure proprio e per la mancata ammissione di CTU collegiale per la quantificazione del danno, pur in presenza di due CTU discordanti, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 115, 116, 184 cod. proc. civ., e 2059 cod. civ., in ragione della mancata considerazione di certificati medici ritualmente prodotti.
8. Con il sesto motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ragione della declaratoria di inammissibilità delle domande di risarcimento del danno esistenziale (jure proprio) e del danno morale jure hereditatis dei ricorrenti, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 112 cod. proc. civ..
9. Con il settimo motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al danno esistenziale del de cuius, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1223, 2056 e 2059 cod. civ..
10. Con l’ottavo motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ragione della modestia del risarcimento del danno morale jure proprio accordato dalla sentenza, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1226 e 2059 cod. civ..
11. Con il nono motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’esclusione del rimborso delle spese di cura, viaggi e funerarie, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 1228 cod. civ..
12. Con il decimo motivo, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 92 co. 2, 132 co. 3 n. 4 cod. proc. civ., 118 att. c.p.c. e 111 Cost., in ragione della immotivata compensazione integrale delle spese di lite nei due gradi nonostante la sostanziale soccombenza della ASL.
13. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento. Nel rilevarsi che la qualificazione della domanda è compito che il giudice di appello esercita con pienezza di poteri, quale che sia stata la soluzione del giudice di prime cure, va evidenziato che la corte territoriale ha correttamente interpretato la domanda attorea come domanda volta a far valere una responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro. Tale conclusione è correttamente motivata dalla corte in relazione al contenuto specifico della domanda formulata da parte attrice, ed è condivisibile anche in quanto la domanda, in un contesto normativo dell’epoca che vedeva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul rapporto di pubblico impiego, è stata proposta al giudice ordinario.
14. La sentenza impugnata, inoltre, si è attenuta al principio enunciato dalle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 8459 del 02/08/1995; Sez. U, Sentenza n. 291 del 25/05/1999; Sez. U, Sentenza n. 639 del 21/01/2002), secondo il quale ai fini dell’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta dal lavoratore verso il datore, deve ritenersi proposta l’azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale, mentre si può ritenere proposta l’azione di responsabilità contrattuale solo quando la domanda di risarcimento danni sia espressamente fondata sull’inosservanza, da parte del datore di lavoro, di una precisa obbligazione contrattuale, senza che la semplice prospettazione dell’inosservanza del precetto dettato dall’art. 2087 cod. civ. o delle altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro del dipendente deponga in modo univoco per la proposizione dell’azione contrattuale; comunque, in tema di infortuni sul lavoro e di malattie professionali che rientrino nell’ambito della tutela previdenziale di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965, il dettato dei primi tre commi dell’art. 10 della legge stessa comporta che, allorquando il dipendente che abbia ricevuto, o che abbia diritto a ricevere, dall’I.N.A.I.L. le prestazioni previdenziali previste per l’infortunio subito, agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno ulteriore (cosiddetto danno differenziale) la sua pretesa è necessariamente ricollegabile solo alla responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro.
15.11 secondo e terzo motivo di ricorso sono fondati. Invocando il risarcimento del danno biologico loro spettante jure hereditatis, gli attori lamentano la mancata considerazione di documenti ritualmente prodotti con la citazione, ma erroneamente rubricati sotto numero di indice successivo immediatamente a quello effettivamente scritto sul documento, e non reperiti dal giudice, sebbene la stessa corte abbia rilevato la mancata corrispondenza numerica (sia pur in relazione ad altro documento della stessa serie); gli attori evidenziano che, in ragione di questo errore la corte ha ritenuto di non poter liquidare il danno biologico, il cui nesso causale era stato invece riconosciuto dal giudice di primo grado conformemente alla consulenza ivi espletata.
16. I ricorrenti – nel richiamare vari documenti elencati nella consulenza tecnica di primo grado e, per altro verso, gli atti da cui risulta la rituale e tempestiva produzione in primo grado dei documenti decisivi di seguito indicati – hanno fondatamente evidenziato che i documenti prodotti dimostrano le assenze del lavoro per motivi di salute e le patologie che le avevano causate (documentazione medica varia e prospetto ASL riepilogativo delle assenza del lavoratore), nonché il riconoscimento della morte del lavoratore per causa di servizio (delibera ASL 22.11.1994), il riconoscimento di malattie inquadrate nella cat. V e poi I, tab. A (v. verbali della commissione medica ospedaliera del 10.6.1991 e 6.10.1994), il riconoscimento della somma di L. 69 milioni a titolo di equo indennizzo ed il riconoscimento di una rendita INAIL di somme capitalizzabili in circa L. 375 milioni.
17. Questa Corte ritiene che, sulla base dei detti documenti, ritualmente prodotti e dai quali sono evincibili entità e durata dell’invalidità del lavoratore in relazione all’evoluzione delle patologie riscontrate dalla c.m.o., il giudice di merito avrebbe potuto e dovuto valutare – se del caso anche in via equitativa (Sez. L, Sentenza n. 11039 del 12/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 19493 del 21/09/2007)- il danno biologico subito dal lavoratore, ricorrendo ove necessario all’ausilio di una specifica consulenza tecnica.
18. Va in proposito precisato inoltre che il detto danno non è stato liquidato dall’INAIL in quanto, essendo la morte avvenuta nel 1994 ed essendo stata liquidata quell’anno la rendita INAIL, non era all’epoca ancora intervenuta la disciplina di cui al d.lgs. 38/2000 (che all’art. 13 ha incluso nell’indennizzo INAIL anche il danno biologico, con riferimento esclusivo agli infortuni verificatisi ed alle malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di pubblicazione del d.m. 12.7.2000).
19. Il quarto motivo di ricorso, che si riferisce al mancato risarcimento del danno patrimoniale, è in parte fondato e può essere accolto nei limiti di seguito indicati. Parte attrice, richiedendo il risarcimento del danno differenziale non coperto dall’INAIL, ha infatti dimostrato la retribuzione in godimento, con la rituale produzione della denuncia di malattia professionale presentata all’INAIL dalla ASL, la quale reca indicazione specifica delle competenze economiche del dipendente e analitica rappresentazione delle singole voci stipendiali.
20. La produzione di tale documento è stata tempestiva, essendo stata effettuata con il ricorso introduttivo della lite, sicché dello stesso il giudice di merito avrebbe comunque dovuto tener contro, senza che potesse avere valenza ostativa la produzione ulteriore – in corso di causa (e perciò ritenuta tardiva dalla corte territoriale) – di prospetto contabile di parte, avendo questo contenuto meramente rielaborativo dei dati economici già tempestivamente offerti.
21. Va dunque riconosciuto l’obbligo della ASL di corrispondere al lavoratore (ed ai suoi eredi) il danno differenziale, rispetto all’importo meramente indennitario percepito dall’assicuratore sociale (conformemente ai criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 10035 del 25/05/2004; Sez. L, Sentenza n. 7195 del 26/05/2001).
22. Il motivo di ricorso è invece infondato nella parte relativa alle spese mediche asserite, non risultando documentazione alcuna delle stesse né essendo stati forniti elementi minimi specifici per una quantificazione pur equitativa del quantum di una prestazione comunque dimostrata nell’an.
23. Altresì infondato è il motivo di ricorso quanto al mancato risarcimento del danno da perdita di chance (non essendo stato fornito nessun elemento a supporto della chance di promozione in concreto, pur in via prospettica). Riguardo a tale ultimo aspetto, la sentenza impugnata è immune dalle censure sollevate, essendosi attenuta al principio affermato da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 1443 del 30/01/2003; Sez. 1, Sentenza n. 17677 del 29/07/2009; Sez. 3, Sentenza n. 11353 del 11/05/2010) secondo cui la liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ., richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece – anche semplicemente in considerazione dell’id quod plerumque accidit – connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità.
24. Il quinto motivo, relativo al danno biologico jure proprio invocato dai ricorrenti, non può essere accolto. La corte territoriale, con motivazione adeguata, ha aderito alle conclusioni di consulenza tecnica, affidata a specialista in materia e più recente di quella espletata in primo grado, opportunamente facendo riferimento a consulenza intervenuta a distanza di tre anni dall’evento e dunque quando i postumi si erano stabilizzati: sulla base del relativo accertamento, sono stati esclusi postumi permanenti invalidanti, anche in considerazione del miglioramento delle condizioni psichiche con il passare del tempo dall’evento luttuoso e dell’assenza di compromissione dell’integrità psicofisica rilevante sul piano medico legale.
25. Il sesto motivo di ricorso è fondato, sia per quanto attiene al danno morale del de cuius, sia – nei limiti di cui appresso – per ciò che concerne il danno esistenziale subito dai suoi familiari.
26. Occorre premettere la domanda risarcitoria è stata ritualmente proposta, in quanto in citazione è stato richiesto il risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi: come precisato da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 23147 del 11/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 25575 del 30/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 21680 del 13/10/2009), con principio cui va qui data continuità (e conseguente cassazione della sentenza impugnata che, nel ritenere inammissibili le domande risarcitorie in quanto nuove, non si è attenuta a tale principio), laddove dalle lesioni personali, sia scaturito un danno biologico, all’importo determinato in risarcimento di tale voce di danno, deve essere aggiunta una somma idonea a compensare le eventuali conseguenze non patrimoniali ulteriori, ove ricorrano gli estremi del pregiudizio morale, esistenziale, estetico, ecc, e, a tale scopo, non occorre che il danneggiato proponga fin dall’atto di citazione una specifica domanda risarcitoria relativa ad ognuno degli aspetti considerati, essendo sufficiente che egli manifesti inequivocamente la volontà di ottenere il risarcimento di “tutti i danni non patrimoniali”, purché egli specifichi, nel corso del giudizio, i peculiari aspetti che tali danni abbiano concretamente assunto nel suo particolare caso ed essi risultino, ancorché presuntivamente, provati o, comunque, attendibili. Nello stesso senso, si è detto che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, anche senza una specifica domanda della parte, le attribuisca il risarcimento dei danni non patrimoniali di cui essa risulti aver sofferto in conseguenza del fatto illecito costituente reato posto a fondamento della sua domanda di risarcimento di danni, la quale – salva espressa specificazione – deve ritenersi comprensiva di tutti i danni e, quindi, anche di quelli morali (Sez. L, Sentenza n. 10441 del 08/05/2007).
27. Sulle voci di danno in questione, del resto, si è pacificamente svolto il contraddittorio delle parti in modo specifico nelle fasi di merito.
28. Con riferimento al danno morale subito dal de cuius, deve evidenziarsi in fatto che lo stesso, nelle circostanze della fattispecie, che ha visto una lenta evoluzione verso l’exitus patologie gravi subite dal lavoratore, è conseguenza pressoché evidente dei fatti; in diritto, va precisato che si tratta di voce risarcitoria distinta rispetto al danno biologico subito dal lavoratore, riguardando specificamente le sofferenze psicofisiche del danneggiato e non le conseguenze invalidanti dell’integrità psicofisica dello stesso. Infatti, come precisato ripetutamente da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 22585 del 03/10/2013; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16041 del 26/06/2013) il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, non è ricompreso in quest’ultimo e va liquidato autonomamente, non solo in forza di quanto espressamente stabilito -sul piano normativo – dall’art. 5, lettera c), del d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, ma soprattutto in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo, infatti, tali danni a due aspetti differenti, il dolore ulteriore e la significativa alterazione della vita quotidiana.
29. Anche con riferimento all’evento morte del soggetto danneggiato, che consegua a distanza di tempo dalla lesione, va evidenziato che è configurabile un danno morale, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 7126 del 21/03/2013), secondo la quale, in caso di illecito civile che abbia determinato la morte della vittima, il danno cosiddetto “catastrofale”, conseguente alla sofferenza dalla stessa patita – a causa delle lesioni riportate – nell’assistere, nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita (danno diverso sia da quello cosiddetto “tanatologico”, ovvero connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, sia da quello rivendicabile jure hereditatis dagli eredi della vittima dell’illecito, poi rivelatosi mortale, per avere il medesimo sofferto, per un considerevole lasso di tempo, una lesione della propria integrità psico-fisica costituente un autonomo danno “biologico”, accertabile con valutazione medico legale) deve comunque includersi, al pari di essi, nella categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., ed è risarcibile in favore degli eredi del defunto.
30. Il motivo di ricorso è fondato anche per quanto attiene al risarcimento del danno esistenziale jure proprio subito dai familiari del lavoratore. In proposito, deve premettersi che non risultano allegati aspetti esistenziali diversi dalla perdita del rapporto parentale, sicché con riferimento a questo aspetto soltanto va esaminata la questione del danno esistenziale risarcibile. Al riguardo, può dirsi di norma implicito nella morte del familiare che sia, rispettivamente, coniuge e padre, in considerazione degli aspetti relazionali ed affettivi, un danno esistenziale connesso con la perdita del rapporto parentale, relativo alle alterazioni della esistenza futura del familiare superstite; tale danno va distinto dal danno morale, che riguarda le mere sofferenze psichiche derivanti dal lutto e non anche gli aspetti esistenziali, sicché – precisati come detto i confini dei due diversi tipi di danno – può ammettersi la liquidazione degli stessi senza che ricorra il pericolo di una duplicazione risarcitoria (pericolo paventato apoditticamente dalla sentenza impugnata, per di più in modo astratto, senza riferimento alcuno alle poste risarcitorie del caso di specie).
31. In proposito, ha affermato la giurisprudenza (Sez. 3, Sentenza n. 10107 del 09/05/2011) che il danno da perdita del rapporto parentale conseguente alla morte di un prossimo congiunto dev’essere integralmente risarcito mediante l’applicazione di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice; tali criteri devono tener conto dell’irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia; la relativa quantificazione va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie e, in caso di ricorso a valori tabellari, che vanno in ogni caso esplicitati, effettuandone la necessaria personalizzazione. Secondo Sez. 3, Sentenza n. 13546 del 12/06/2006, il danno c.d. esistenziale da morte del congiunto, quale tipico danno-conseguenza che si proietta nel futuro, privo (come il danno morale ed il danno biologico) del carattere della patrimonialità, ben può, in ragione di tale sua natura e della circostanza che la riparazione mediante dazione di una somma di denaro nel caso assolve una funzione non già reintegratrice di una diminuzione patrimoniale bensì compensativa di un pregiudizio non economico, essere liquidato secondo il criterio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c, in considerazione dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali ad es. la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti, le esigenze di questi ultimi rimaste definitivamente compromesse. Infine, si è affermato (Sez. 3, Sentenza n. 9231 del 17/04/2013) che, in caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della c.d. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana); ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare.
32. La sentenza impugnata ha trascurato i detti principi, cui occorre invece dare continuità.
33. Il settimo motivo, relativo al danno esistenziale subito dal de cuius, ed invocato dai suoi familiari jure hereditatis, è del pari fondato. La sentenza impugnata ha trascurato completamente il fatto che il lavoratore è stato pacificamente sottoposto da un lato, per diverso tempo a mansioni diverse da quelle proprie della qualifica e, per altro verso, a diversi anni di rilevante invalidità e di terapie mediche invasive in attesa della morte, subendo uno sconvolgimento della propria esistenza ed un danno alla vita familiare e relazionale.
34. In tale contesto, richiamata e ribadita la nozione di danno esistenziale – recepita – tra le altre – da Sez. 3, Sentenza n. 1361 del 23/01/2014 e Sez. L, Sentenza n. 29832 del 19/12/2008, secondo cui rientra nella categoria giuridica ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno -, deve accogliersi il motivo di impugnazione basato sulla pretesa risarcitoria del danno subito dal lavoratore.
35. L’ottavo motivo di ricorso (con il quale si invoca un maggior danno morale jure proprio rispetto a quello liquidato dalla sentenza impugnata, affermandosi l’insufficienza delle tabelle di liquidazione del danno in uso presso il tribunale di L’Aquila e sostanzialmente richiedendosi una personalizzazione del danno che tenga conto della perdita del rapporto parentale) resta assorbito dall’accoglimento del sesto motivo di ricorso, che già ha riconosciuto il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, restando esclusa una duplicazione di voci risarcitorie in relazione al medesimo tipo di danno pur diversamente qualificato (Sez. L, Sentenza n. 1072 del 18/01/2011; Sez. U, sentenza n. 26972 del 11/11/2008).
36. Il nono motivo di ricorso è infondato: è infatti pacifico che le spese mediche di cui si chiede il rimborso non sono state documentate né è stato dimostrato il soggetto che le abbia in concreto sostenute ed il loro specifico ammontare, mentre per altro verso deve escludersi anche una liquidazione equitativa del danno (pur ammessa da Sez. 3, Sentenza n. 712 del 19/01/2010, in presenza di specifiche condizioni) in assenza della analitica e specifica allegazione e prova delle circostanze di fatto che hanno dato luogo agli esborsi.
37. Il decimo motivo di ricorso, relativo alle spese del giudizio nei gradi di merito, resta assorbito in ragione del tenore della presente decisione.
38. Per tutto quanto detto, in accoglimento dei motivi secondo, terzo, quarto, sesto e settimo del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
la Corte rigetta il primo, quinto e nono motivo; accoglie il secondo, terzo, quarto, sesto e settimo motivo e dichiara assorbiti l’ottavo e decimo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
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