Cassazione 13

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 11 dicembre 2015, n. 25043

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 6588 del 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vigevano, rigettava l’impugnativa proposta da D.R. avverso il licenziamento intimatogli dal datore di lavoro Axitea s.p.a. a causa dell’assenza ingiustificata contestata per i giorni dal 20 marzo 2007 al 5 aprile 2007 e, riqualificata la giusta causa in giustificato motivo soggettivo, riconosceva al ricorrente l’ indennità sostitutiva del preavviso. La Corte argomentava che, pur essendo il R. impossibilitato a svolgere le ordinarie mansioni di guardia giurata a seguito dello smarrimento incolpevole da parte della società del porto d’armi che questi le aveva consegnato per il rinnovo, egli avrebbe tuttavia dovuto presentarsi o comunque rendersi reperibile per l’assegnazione di nuove mansioni, il che non aveva fatto, non rispondendo al telefono, né tentando in alcun modo di contattare i responsabili, così realizzando un inadempimento tale da costituire un giustificato motivo soggettivo di recesso.
Per la cassazione della sentenza D.R. ha proposto ricorso, affidato a 3 motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito con controricorso Axitea s.p.a

Motivi della decisione

1. 1 motivi di ricorso possono essere così riassunti:
1.1. Il ricorrente sostiene in primo luogo che la Corte d’appello di Milano avrebbe violato gli articoli 1256 e 2103 del codice civile, considerato che egli si trovava in una situazione non imputabile che gli impediva di adempiere l’obbligazione lavorativa per la temporanea assenza del porto d’armi e che l’assegnazione di mansioni differenti non sarebbe stata legittimamente praticabile in assenza di accordo scritto o di disposizione scritta.
1.2. Come secondo motivo, deduce il vizio di motivazione nel quale sarebbe incorsa la Corte d’appello, laddove da un lato ha ammesso che lo smarrimento del porto d’anni non fosse imputabile al R. e dall’altro ha ugualmente ritenuto che la sua assenza dal lavoro non fosse giustificata. Lamenta altresì che la Corte abbia valorizzato la deposizione dei testi Bonzato e Mola, i quali avevano riferito che dopo l’incontro con la direzione dei 19/312007, nel corso del quale la società gli aveva comunicato che gli avrebbe trovato una diversa collocazione, questa non era riuscita a contattare il dipendente, che neppure rispondeva al telefono al numero che aveva fornito. Avrebbe tuttavia omesso di valutare che con fax del 23/3/2007 il R. aveva chiesto chiarimenti in ordine alle tempistiche e modalità del proprio rientro al lavoro, sui quali non era mai arrivata una risposta scritta; inoltre, che egli si era presentato al lavoro accompagnato da un collega ed era stato allontanato; che ai sensi dell’ art. 2103 c.c. l’esercizio dello ius variandi non poteva comunque avvenire se non in forma scritta e con il consenso del lavoratore da formalizzarsi mediante accordo in sede sindacale.
1. 3. Come terzo motivo, in via subordinata, lamenta che la Corte non abbia considerato che, trovandosi egli in malattia al momento del licenziamento, questo ex art. 2110 c.c. doveva essere ritenuto nullo o quantomeno inefficace sino al superamento del periodo di comporto.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. Il primo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello. E difatti, il giudice di merito ha dato per ammesso che il R. non potesse svolgere le proprie ordinarie mansioni di guardia particolare giurata per la temporanea assenza del porto d’anni, ma ha ritenuto che, in ossequio al dovere di collaborazione che caratterizza la condotta del dipendente, questi avrebbe dovuto rendersi reperibile per l’assegnazione di altre mansioni, obbligo del quale peraltro il lavoratore era ben consapevole in quanto nel fax dei 23/3/2007 aveva chiesto informazioni in ordine alla sua collocazione lavorativa.
L’affermazione della Corte è peraltro del tutto coerente con la natura degli obblighi imposti al dipendente dagli artt. 1375 e 2104 c.c., considerato che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisce anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata e si estende ai comportamenti necessari per rendere possibile l’effettiva utilizzazione della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro (v. Cass. Sez. n. 8300 del 2015).
Del tutto infondata poi è l’osservazione secondo la quale il mutamento di mansioni previsto dall’articolo 2103 del codice civile presupporrebbe il consenso del lavoratore ed un accordo scritto, prevedendo con chiarezza la disposizione che l’assegnazione di mansioni equivalenti rientra nel potere di conformazione della prestazione, unilateralmente esercitabile da parte del datore di lavoro, senza onere di forma.
2.2. II secondo motivo è infondato, avendo la Corte territoriale correttamente valutato tutte le risultanze di causa. E difatti: il fax del 23/3/2007 è stato proprio uno degli elementi che ha fatto ritenere alla Corte territoriale che il R. sapesse di dover avere una nuova collocazione; in ordine al fatto che egli si fosse presentato al lavoro accompagnato dal collega, non viene fornita alcuna precisazione in ordine alla data e alle circostanze in cui si sarebbe verificato; l’interpretazione dell’art. 2103 c.c. che viene fornita è del tutto estranea alla corretta lettura della disposizione. Quella che si sollecita quindi in sostanza è una nuova completa valutazione delle risultanze di causa, inammissibile in questa sede, considerato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico­formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi (così da ultimo tra le tante Cass. n. 22065 del 2014, Cass. n. 27197 del 2011).
2.3. In relazione al terzo motivo, occorre rilevare che il fatto che il licenziamento fosse inefficace in quanto intimato in costanza di malattia non risulta documentato, né esaminato dalla Corte d’appello. Trattasi di quindi di deduzione inammissibile, considerato che qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto dei giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione. Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (così ex plurimis Cass. n. 23675 del 1811012013, Cass. n. 4787 del 26103/2012, Cass. n. 3664 del 21102/2006).
La Corte territoriale peraltro in senso contrario ha affermato che il licenziamento è stato comminato dopo un periodo di malattia cessato nel luglio 2007, né alcuna deduzione viene formulata a confutazione di tale affermazione.
7. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in £ 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad £ 100,00 per esborsi ed accessori di legge.

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