Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 16 novembre 2017, n. 27206. La sospensione cautelare, priva di connotato sanzionatorio, è sottratta alle formalità prescritte per i procedimenti disciplinari.

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2.10. che e’ infondato il motivo formulato sul presupposto della natura ontologicamente disciplinare del provvedimento, in quanto la Corte territoriale ha rilevato che alla base dell’allontanamento dal posto di lavoro potevano esserci al piu’ ragioni “precauzionali”, sicche’ non ha spazio la doglianza sul mancato rispetto delle garanzie difensive, essendo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la sospensione cautelare, priva di connotato sanzionatorio, e’ sottratta al rispetto delle formalita’ prescritte per i procedimenti disciplinari (cfr. fra le tante Cass. 15353/2012; Cass. 25136/2010);
2.11. che il vizio di omessa pronuncia deve essere denunciato facendo esplicito riferimento alla nullita’ della sentenza derivata dalla violazione dell’articolo 112 c.p.c. (Cass. S.U. n. 17931 del 2013) e non e’ ravvisabile quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa, anche se manchi una specifica motivazione su tutti gli argomenti sviluppati dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto di tutte le prospettazioni incompatibili con l’impostazione logico-giuridica della decisione (Cass. n. 20311 del 2011);
2.12. che una volta accertata la acquiescenza del dirigente al provvedimento adottato dall’azienda e, comunque, affermata la legittimita’ dello stesso, non possono essere invocati l’articolo 2087 c.c. e le disposizioni del Decreto Legislativo n. 626 del 1994 perche’ la responsabilita’ del datore di lavoro non e’ oggettiva ma presuppone un inadempimento colpevole;
3. che anche il rigetto delle domande formulate in relazione al lavoro straordinario, ai turni di reperibilita’ ed alla mancata concessione del riposo compensativo e’ stato motivato sulla base di una pluralita’ di ragioni perche’ la Corte territoriale, oltre a ritenere prescritti i crediti maturati in epoca antecedente al quinquennio, decorrente a ritroso dalla richiesta di tentativo di conciliazione, ha evidenziato che l’azienda aveva contestato i prospetti prodotti dal ricorrente e che quest’ultimo non aveva chiesto l’escussione di testi a dimostrazione dell’orario di lavoro osservato;
3.1. che l’ottavo motivo, nella parte in cui sostiene che in realta’ i fatti dovevano essere ritenuti pacifici perche’ non contestati, non e’ formulato nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’articolo 366 c.p.c., n. 6 e articolo 369 c.p.c., n. 4 perche’ non trascrive, come sarebbe stato necessario, il contenuto degli atti introduttivi del giudizio di primo grado, dal quale non si puo’ prescindere ove si invochi il principio di non contestazione;
3.2. che il motivo, inoltre, presenta i medesimi profili di inammissibilita’ indicati ai punti 2.6 e 2.7 perche’ trascrive le richieste istruttorie senza precisare quale decisiva circostanza di fatto la Corte territoriale avrebbe non adeguatamente valutato nel ritenere non rilevanti i mezzi di prova;
3.3. che “l’emanazione di ordine di esibizione e’ discrezionale e la valutazione di indispensabilita’ non deve essere neppure esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio e’ svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza di ordine di esibizione non e’ sindacabile in sede di legittimita’, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte instante non abbia finalita’ esplorativa.” (Cass. n. 24188/2013);
3.4. che una volta escluso che il ricorrente abbia assolto all’onere della prova sullo stesso gravante, per le ragioni indicate al punto 2.8 viene meno ogni interesse alla pronuncia sugli ulteriori motivi formulati in relazione alla ritenuta prescrizione del diritto;
4. che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo;
4.1. che non sussistono ratione temporis le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

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