Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 novembre 2017, n. 27209. Risarcimento del danno biologico per stato ansioso-depressivo in favore del lavoratore

Risarcimento del danno biologico per stato ansioso-depressivo in favore del lavoratore che, in seguito al demansionamento si è trovata a vivere in uno stato di isolamento ed emarginazione in azienda

Sentenza 16 novembre 2017, n. 27209
Data udienza 15 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. MANNA Antonio – Consigliere

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 18564/2012 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS);
– intimata –
Nonche’ da:
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 490/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 26/08/2011 R.G.N. 562/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto di entrambe i ricorsi;
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 490/2011, depositata il 26 agosto 2011, la Corte di appello di Venezia, rigettati l’appello principale di (OMISSIS) S.p.A. e incidentale di (OMISSIS), confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Venezia, in parziale accoglimento del ricorso della lavoratrice, aveva accertato l’avvenuto demansionamento della stessa dal gennaio 2002 al 30 maggio 2006, escluso il periodo ottobre 2002-marzo 2003, e condannato la societa’ al risarcimento del conseguente danno da dequalificazione professionale nella misura di una mensilita’ di retribuzione di fatto per ogni mese in cui il demansionamento si era protratto.
La Corte osservava, quanto alla dequalificazione, come le risultanze probatorie acquisite al giudizio dimostrassero che la lavoratrice aveva subito una riduzione dei compiti che le erano stati in precedenza assegnati, sia sul piano qualitativo, per il venir meno delle funzioni di coordinamento di un intero settore (la Sezione Assegni del CUAS di Mestre), con le connesse responsabilita’, sia anche sul piano quantitativo, posto che le nuove funzioni, alle quali era stata adibita, avevano fatto si’ che trascorresse lunghi periodi di inattivita’. Con riferimento, poi, al danno di natura professionale, la Corte faceva proprie le considerazioni del giudice di primo grado, il quale aveva tratto dalle circostanze accertate in giudizio precisi e concreti elementi di fatto da cui desumere la sussistenza del pregiudizio in questione, escludendo peraltro la configurabilita’ di un comportamento colposo della dipendente, suscettibile di valutazione ex articolo 1227 c.c., e confermando una commisurazione dell’ammontare risarcitorio all’intero periodo dedotto in causa, compreso quello riferibile ad assenze per malattia, in forza della natura permanente dell’illecito e dei relativi effetti. Quanto, infine, al risarcimento del danno biologico, la Corte osservava come la (OMISSIS) avesse allegato solo genericamente l’esistenza di patologie dipendenti dalla dequalificazione, secondo quanto risultava dall’esame del ricorso introduttivo, ove era un riferimento sommario a cure psichiatriche e all’assunzione di farmaci.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (OMISSIS) S.p.A. con quattro motivi; la lavoratrice ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale, affidato ad unico motivo, a cui ha resistito la societa’ con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la societa’ ricorrente, deducendo insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, censura la sentenza impugnata per non avere la Corte di appello tenuto conto di elementi di giudizio contrari a quelli posti a fondamento della decisione e cioe’ del fatto che, come confermato la responsabilita’ di una squadra di lavoro, essendosi avvalsa dalla collaborazione di due impiegate, e che, nel mese di gennaio 2002, avesse ancora la gestione di tredici risorse.
Il motivo e’ inammissibile.
Come ripetutamente precisato da questa Corte, “il ricorso per cassazione – in ragione del principio di “autosufficienza” – deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruita’, l’insufficienza o contraddittorieta’ della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, e’ necessario, al fine di consentire al giudice di legittimita’ il controllo della decisivita’ della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale e’ precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisivita’ della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti” (cfr., fra le molte, Cass. n. 12362/2006).
La ricorrente invece, pur evocando – a sostegno della censura espressa con il motivo in esame – anche le risultanze delle deposizioni dei testi indotti dalla propria controparte, si e’ limitata a trascrivere (parzialmente) i verbali contenenti le dichiarazioni di due soltanto delle testimonianze assunte.
D’altra parte, come egualmente piu’ volte precisato da questa Corte nel regime anteriore alla novella del 2012, “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non puo’ invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perche’ la citata norma non conferisce alla Corte di legittimita’ il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (cfr., fra le molte, Cass. n. 6288/2011).
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 e 2697 c.c., e degli articoli 115 e 116 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere accolto la domanda risarcitoria conseguente alla lamentata dequalificazione nonostante che dall’esame delle deposizioni testimoniali acquisite al giudizio risultasse evidente che la oratrice, successivamente alla riorganizzazione del settore di appartenenza, avesse svolto funzioni equivalenti, nei sensi precisati dalla giurisprudenza di legittimita’, a quelle in precedenza assegnatele.
Il motivo e’ inammissibile: sia perche’ si risolve – dietro lo schermo della denuncia del vizio ex articolo 360, n. 3, con riferimento all’articolo 2697 c.c., e agli articoli 115 e 116 c.p.c. – in una critica di ordine motivazionale alla sentenza impugnata, cosi’ che e’ da ritenere che valgano per esso le medesime considerazioni gia’ svolte a proposito del primo motivo; sia perche’, sebbene denunci la violazione dell’articolo 2103 c.c., non contiene – diversamente da quanto richiede l’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione la specifica indicazione delle affermazioni in diritto rinvenibili nella sentenza impugnata che si reputano in contrasto con la norma di diritto citata o con l’interpretazione di essa fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, cosi’ precludendo alla Corte di legittimita’ di verificare il fondamento della violazione dedotta e di assolvere il compito che le e’ proprio (cfr., fra le molte, Cass. n. 14832/2007).
Con il terzo motivo la societa’ ricorrente deduce insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, sul rilievo che la sentenza impugnata, pur avendo ritenuto che il danno derivante dalla violazione dell’articolo 2103 c.c., non fosse in re ipsa ma potesse essere dimostrato mediante “dati oggettivi”, aveva, tuttavia, omesso di acquisire tra gli elementi del giudizio proprio quegli indici oggettivi che l’avrebbero condotta, anche sul punto, ad una decisione diversa (di esclusione del danno in questione o di una sua quantificazione in misura largamente inferiore).
Il motivo e’ infondato.

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