SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
SENTENZA 26 maggio 2015, n. 22042
Ritenuto in fatto
C.R.E. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Chieti per rispondere:
a) del reato di cui all’art. 481 cod. pen., perché, nella sua qualità di medico curante di M.D. , nel certificato medico anamnestico emesso in funzione del successivo accertamento delle condizioni psico-fisiche per il rilascio dell’autorizzazione al porto d’armi per la difesa personale, aveva attestato contrariamente al vero che il paziente non era affetto da turbe psicofisiche, mentre, in realtà, aveva appreso dal Dott. B.V. , specialista in neurologia e psichiatria che aveva avuto in cura il M. ed aveva redatto e trasmesso la “scheda di segnalazione e diagnosi e piano terapeutico”, che gli era stato riscontrato un “disturbo psicotico dispercettivo” ed era stato sottoposto a trattamento farmacologico con “Risperdal Soluzione”: fatto commesso il 23/12/2005;
b) del reato di cui all’art. 589 cod. pen., perché, nella predetta qualità, per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza e, in particolare, per avere omesso di segnalare, nel certificato medico anamnestico di cui al capo precedente, che il paziente era affetto da “disturbo psicotico dispercettivo”, aveva fatto conseguire a M.D. il porto d’armi e lo aveva messo in condizione di disporre della pistola Revolver calibro 32 Long con la quale, in conseguenza del suo stato di alterazione psichica, aveva esploso due colpi che avevano attinto mortalmente S.M. e con la quale si era subito dopo suicidato: fatto commesso il (omissis).
All’esito dell’istruttoria dibattimentale il Tribunale, con sentenza del 20/1/2010, dichiarava l’imputato colpevole dei reati a lui ascritti condannandolo alle pene di giustizia oltre che al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite D.R. e S.E. , la cui liquidazione rimetteva al giudice civile, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 100.000,00 da ripartirsi in parti eguali.
Interposto gravame da parte dell’imputato, la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 21/11/2013, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato di cui al capo a), perché estinto per prescrizione, e assolveva il medesimo del reato di cui al capo b), perché il fatto non sussiste.
2.1. Con riferimento a quest’ultima imputazione considerava anzitutto la Corte che, ai sensi dell’art. 3 D.M. 28 aprile 1998 (“Requisiti psicofisici minimi per il rilascio ed il rinnovo dell’autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia e C, al porto d’armi per uso difesa personale”), l’accertamento dei requisiti psicofisici per il conseguimento delle autorizzazioni previste dagli artt. 1 e 2 dello stesso decreto spetta esclusivamente al personale degli uffici elencati al comma primo (uffici medico-legali; distretti sanitari delle unità sanitarie locali; strutture sanitarie militari o della Polizia di Stato), cui è data facoltà di prescrivere tutti gli accertamenti ulteriori e specifici che ritenga necessari: accertamenti nella specie non richiesti dal competente medico della ASL di (…) che certificò direttamente il possesso da parte del M. dei requisiti previsti dall’art. 1 D.M. cit., per il rilascio dell’autorizzazione al porto d’armi per l’esercizio dello sport del tiro al volo.
Rilevava quindi che, in base a tale disciplina, ciò che doveva considerarsi rilevante – ai fini del rilascio o meno dell’autorizzazione di porto d’armi al M. – non era tanto il certificato anamnestico del medico di base, quanto piuttosto e solo il certificato di idoneità rilasciabile (e di fatto nella specie rilasciato) dal medico competente ai sensi dell’art. 3 del D.M. cit..
2.2. Osservava inoltre che, anche a ritenere che l’attestato anamnestico ideologicamente falso rilasciato dall’imputato avesse causalmente condizionato il certificato di idoneità del competente ufficiale sanitario e poi anche il rilascio da parte del Questore dell’autorizzazione richiesta, restava pur sempre il fatto che, in concreto, questa aveva riguardato esclusivamente il porto di fucile per uso sportivo e non il porto d’armi per difesa personale, essendo invece accaduto che, in forza della licenza ottenuta, il M. aveva acquistato, di fatto, un revolver, arma poi utilizzata poco tempo dopo per compiere i due insani gesti di cui al capo b) di imputazione.
Escludeva, pertanto, che alcun nesso di causalità potesse in ogni caso porsi tra i detti fatti di sangue e l’avvenuto rilascio, ad opera dell’imputato, del certificato anamnestico di cui al capo a), pur ideologicamente falso, in quanto anch’esso espressamente finalizzato al prosieguo della pratica relativa alla richiesta di autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia ed esercizio dello sport del tiro al volo.
Erano conseguentemente eliminate anche le statuizioni civili.
Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione le parti civili denunciando violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione.
3.1. Con riferimento al primo degli argomenti posti a fondamento della sentenza impugnata rilevano in sintesi che illogicamente i giudici d’appello hanno ritenuto, da un lato, che la condotta dell’imputato integrasse sicuramente falso ideologico omissivo in un certificato medico, per non aver segnalato il disturbo psicotico dispercettivo da cui era affetto il paziente, sottolineando come la presenza di turbe psichiche andava segnalata ai fini dell’ottenimento della licenza richiesta, dall’altro, però, hanno poi escluso che tale condotta assumesse rilevanza causale nella successiva sequenza degli eventi attribuendo al competente medico dell’Asl, dopo la visita effettuata all’interessato, la scelta di non effettuare ulteriori accertamenti specialistici. Deducono che, così argomentando, i giudici di secondo grado hanno omesso di considerare che la determinazione del medico dell’Asl era stata condizionata dalla detta omessa segnalazione, idonea di per sé a creare una falsa apparenza di normalità psichica, specie considerata la possibilità che il medico certificatore si limitasse, secondo prassi, a un esame superficiale del richiedente. Si è trattato, pertanto, secondo i ricorrenti, di una condotta che ha avuto un’influenza decisiva nella successiva catena degli eventi, di per sé prevedibili ed evitabili, essendo l’odierno imputato consapevole che altro soggetto (medico certificatore, pubblico funzionario, eccetera) sarebbe intervenuto per la medesima procedura, riguardante il rilascio del porto d’armi.
3.2. Con riferimento poi al secondo fondamento motivazionale, rilevano i ricorrenti che altrettanto illogicamente la Corte d’appello ha ritenuto potesse valere ad escludere l’efficienza causale della condotta colposa ascritta all’imputato la circostanza, puramente casuale, che il M. ebbe ad acquistare un’arma diversa da quella per la quale era stata rilasciata l’autorizzazione. Rilevano che, al riguardo, la Corte omette di considerare che di fatto l’arma fu comunque acquistata in forza di quell’autorizzazione e che, pertanto, avuto riguardo anche alla vicinanza cronologica tra il rilascio del certificato anamnestico e i successivi eventi, sussiste un innegabile vincolo di derivazione causale che lega questi ultimi alla condotta dell’imputato.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato sotto entrambi i profili dedotti, impingenti l’esistenza, negata dal giudice a quo, di un nesso causale tra la condotta ascritta all’imputato e l’evento.
Tale nesso è stato escluso dalla Corte d’appello sia sul piano meramente materiale, in ragione del fatto che l’omicida ha utilizzato un’arma (un revolver) diversa da quella per cui era stato chiesto e ottenuto il rilascio di porto d’armi all’esito della procedura amministrativa nella quale si iscrive la condotta attribuita all’imputato; sia sul piano della c.d. causalità della colpa, per avere ritenuto ininfluente la certificazione anamnestica richiesta al medico generico (e nella specie rilasciata dall’imputato con il contenuto reticente sopra illustrato) rispetto al successivo sviluppo della procedura e, segnatamente, rispetto alle valutazioni e ai compiti attribuiti ai medici dell’ASL o militari chiamati a esprimere una valutazione definitiva sulla idoneità del richiedente.
Entrambe tali valutazioni si appalesano però manifestamente illogiche e violano i criteri legali di definizione del nesso causale dettati dagli artt. 40 e 41 cod. pen. nonché dei principi pure ricavabili dal sistema in tema di cooperazione colposa nel delitto doloso.
Sul piano della causalità materiale, non può anzitutto dubitarsi, diversamente da quanto opinato dalla Corte territoriale, che l’autorizzazione ottenuta all’esito della descritta procedura amministrativa di verifica dell’idoneità del richiedente, ancorché riferita al porto di fucile per uso sportivo e non al porto d’armi per difesa personale, abbia comunque avuto incidenza causale sull’acquisto dell’arma di fatto utilizzata per il gesto omicidario-suicidiario dovendosi per converso escludere che l’omicida-suicida potesse, in difetto di quella autorizzazione, ugualmente procurarsi l’arma con le stesse modalità e con la stessa facilità.
Si consideri al riguardo che, ai sensi dell’art. 35, comma 5, R.d. 18 giugno 1931 n. 773 è fatto divieto all’armaiolo di “vendere o in qualsiasi altro modo cedere armi a privati che non siano muniti di permesso di porto d’armi ovvero di nulla osta all’acquisto rilasciato dal questore”, non anche di sindacare la minore o maggiora idoneità dell’arma acquistata rispetto alle finalità per le quali il porto d’armi è stato chiesto e rilasciato, non potendosene comunque escludere la fungibilità e considerato anche che, per converso, anche il fucile per uso sportivo è arma da sparo dalle medesime se non maggiori potenzialità offensive.
Non risulta del resto nella specie nemmeno ipotizzato che l’acquisto dell’arma comune da sparo da parte del M. sia stato frutto di comportamento illecito di terzi (del commerciante o comunque del privato che gliel’ha ceduta) del tutto autonomo e sganciato dal possesso da parte dello stesso dell’autorizzazione al porto d’armi.
Sul piano poi della causalità della colpa, ossia dell’efficacia eziologica rispetto all’evento della violazione della regola cautelare da osservarsi da parte dell’imputato nel rilascio del certificato anamnestico, non può dubitarsi della rilevanza causale dell’omissione della segnalazione, nel certificato anamnestico rilasciato dall’imputato, quale medico curante, ai fini della richiesta di autorizzazione al rilascio di porto d’armi, nella successiva catena degli eventi, avuto riguardo alla funzione che, nella previsione normativa, riveste tale passaggio iniziale dell’iter amministrativo, che è quella di fornire una prima base informativa, appunto anamnestica, per le successive determinazioni dei medici dell’Asl e degli altri funzionari chiamati a valutare e attestare l’idoneità del richiedente.
Si parla, infatti, non di un certificato rilasciato per giustificare un’assenza di un giorno dalla scuola o dal lavoro ma di un documento propedeutico al rilascio del porto d’armi.
La procedura prevista dalla normativa vigente per il rilascio del porto d’armi è preordinata proprio ad evitare che la licenza venga ottenuta da persone prive di equilibrio psichico in considerazione dell’estrema pericolosità che la disponibilità di armi può comportare.
Questo obbligo, peraltro, deriva dal tenore del D.M. 28 aprile 1998, art. 1 (requisiti psicofisici minimi per il rilascio ed il rinnovo dell’autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia e al porto d’armi per l’esercizio dello sport del tiro al volo) che prevede espressamente, tra i requisiti psicofisici minimi per il rilascio ed il rinnovo dell’autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia (non diversamente da quanto previsto dall’art. 2 per l’autorizzazione al porto d’armi per uso difesa personale), l’”assenza di disturbi mentali, di personalità o comportamentali”.
L’avere pertanto colposamente omesso da parte del medico curante proprio la segnalazione di disturbi di tal specie, a lui certamente noti, costituisce comportamento idoneo a creare una falsa apparenza di normalità psichica soprattutto a fronte della possibilità, certamente non remota, di un esame superficiale da parte del medico certificatore come puntualmente è poi avvenuto.
Per converso, la consapevolezza del fine in vista del quale era chiesto ed emesso il certificato anamnestico avrebbe richiesto una ben maggiore attenzione a non trascurare elementi di intuibile rilevanza ai fini delle successive determinazioni.
Tanto meno, alla luce di tali indicazioni sul contenuto e il fondamento della regola cautelare violata, potrebbero ravvisarsi nella condotta del M. i caratteri dell’abnormità ed atipicità tali da potersi la stessa ascrivere a causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, ai sensi dell’art. 41, comma secondo, cod. pen..
È bensì da rammentare che, secondo l’interpretazione in prevalenza accreditata e comunque preferibile di tale disposizione, deve trattarsi di un processo non completamente avulso dall’antecedente, di una concausa che deve essere, appunto, da sola “sufficiente” a determinare l’evento, senza però che tale sufficienza possa essere intesa come avulsa dal precedente percorso causale perché, altrimenti, torneremmo al caso del processo causale del tutto autonomo per il quale il problema è già risolto dall’art. 41 primo comma cod. pen. (v. da ultimo Sez. 4, n. 36920 del 02/07/2014, Cicchese, non massimata): perché si abbia interruzione del nesso causale deve pertanto trattarsi di sopravvenienza del tutto anomala o atipica rispetto alla serie causale di eventi ordinariamente rientranti nell’area di rischio considerata. Tale atipicità non è, però, con evidenza predicabile nel caso di specie ove la valutazione di problemi psichiatrici è imposta proprio al fine di escludere dal possesso di armi da sparo soggetti in condizioni psichiche tali da non dare sicuro affidamento sul pieno equilibrio e autocontrollo;
Né osta alla configurabilità di un rapporto causale nei sensi predetti la natura dolosa del comportamento che, nella descritta catena causale, si pone quale anello ultimo, oltre che ovviamente di maggior peso.
Varrà al riguardo rammentare che il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purché, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell’atto doloso del terzo e la prevedibilità per l’agente dell’atto del terzo (Sez. 4, n. 4107 del 12/11/2008, Calabrò, Rv. 242830: pronunciata in fattispecie assai simile a quella in esame nella quale la Corte ha ritenuto configurabile il concorso colposo dei medici che avevano consentito il rilascio del porto d’armi ad un paziente affetto da gravi problemi di ordine psichico, nei delitti dolosi di omicidio e lesioni personali commessi dal paziente il quale, dopo aver conseguito il porto d’armi, aveva con un’arma da fuoco colpito quattro passanti, ucciso la propria convivente ed una condomina, ed infine si era suicidato).
In ragione delle considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., all’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, al quale va rimesso anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al giudice civile competente per valore in grado d’appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
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