Cassazione 3

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 18 giugno 2015, n. 12621

Ritenuto in fatto

Il (omissis) Ci.Ma. è deceduto a seguito di una scarica elettrica, mentre si trovava al lavoro all’interno dello stabilimento della s.p.a. CEVIP, su di un’autogrù condotta da B.Q. , il cui braccio telescopico ha urtato la linea elettrica sovrastante, trasmettendo la scarica al Ci. , che maneggiava un cavo d’acciaio da agganciare al carico che avrebbe dovuto essere spostato.
Ne è seguito procedimento penale a carico del B. ; di Co.Se. , direttore dello stabilimento, di D.A. , coordinatore dei tre reparti dell’impresa e incaricato del collegamento fra la direzione e i reparti, e di F.F. , direttore del reparto movimentazione e stoccaggio dei manufatti, al quale era affidato il compito di coordinare le manovre delle gru operanti all’interno dello stabilimento.
Tutti gli imputati sono stati condannati a pene diverse in primo e secondo grado ed, a seguito dell’annullamento ad opera della Corte di cassazione delle condanne a carico di Co. e D. , la Corte di appello penale di Roma in sede di rinvio, con sentenza 16 maggio 2002, ha dichiarato i reati estinti per prescrizione, applicando il termine di sette anni e mezzo dalla data del fatto, in considerazione delle attenuanti generiche.
Nel frattempo i congiunti della vittima, cioè la vedova. M.R. , in proprio e quale esercente la potestà parentale sui figli minori Ci.Va. e Ma. , ha proposto domanda di risarcimento dei danni in sede civile con un primo ricorso al Tribunale del lavoro in data 16 settembre 1998.
Il Tribunale adito si è dichiarato incompetente e la causa non è stata riassunta nei termini, sicché il successivo giudizio è stato dichiarato estinto.
Con atto di citazione del 2004 la M. allora convenuto davanti al Tribunale di Roma il B. , il Co. , il D. , il F. ed il curatore del fallimento della s.p.a. CEVIP, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.
Il Co. ed il Fallimento Cevip sono rimasti contumaci, mentre gli altri convenuti hanno resistito, eccependo tutti, fra l’altro, la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni.
Il D. , rilevata l’esistenza di una polizza di coassicurazione stipulata da CEVIP con la s.p.a. Assicurazioni generali e la s.p.a. Aurora assicurazioni, ha chiamato in causa le due società per esserne garantito.
Il F. ha chiamato in causa il B. .
La s.p.a. Assicurazioni generali è intervenuta nel giudizio, resistendo anch’essa alle domande.
Nel corso del giudizio gli attori hanno rinunciato alla domanda nei confronti del Fallimento CEVIP ed hanno esteso la domanda di condanna alle Assicurazioni generali.
Con sentenza n. 14285/2009 il Tribunale ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, ritenendo applicabile il termine di sette anni e mezzo, calcolato in sede penale. Ha perciò respinto le domande attrici, compensando le spese processuali.
Proposto appello dai danneggiati, con sentenza 2 febbraio 2011 n. 409 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto applicabile il termine di prescrizione di dieci anni, riferibile alla pena edittale per il reato di omicidio colposo, e non il termine inferiore, calcolato in considerazione delle attenuanti generiche, ed ha ritenuto responsabili dell’infortunio il B. e il F. , condannandoli solidalmente al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 252.000,00 in favore della M. e in Euro 261.700,00 a testa, in favore dei due figli della vittima.
Ha respinto le domande nei confronti degli altri convenuti e delle compagnie assicuratrici.
Con atto notificato il 16 marzo 2012 F.F. propone tre motivi di ricorso per cassazione.
Resistono con separati controricorsi la s.p.a. Assicurazioni generali, la s.p.a. Unipol Assicurazioni, subentrata a UGF, a sua volta subentrata ad Aurora Ass.ni, nonché i danneggiati M. e Ci. , che propongono due motivi di ricorso incidentale.
Resistono con controricorso al ricorso incidentale il D. e le due compagnie assicuratrici.
Il ricorrente e il D. hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione degli art. 2947 cod. civ., 62bis e 157 cod. pen., nel capo in cui la Corte di appello ha respinto l’eccezione di prescrizione, sul rilievo che doveva essere nella specie applicato il termine abbreviato, determinato in sede penale, poiché le parti civili erano consapevoli dell’applicabilità delle attenuanti generiche; che pertanto, essendo stata l’azione civile proposta per la prima volta il 16 settembre 1998 in relazione ad un reato commesso il 12 ottobre 1990, la prescrizione doveva considerarsi compiuta.

Richiamano il principio affermato da questa Corte con sentenza n. 14450/2001 per cui, quando non vi sia stata costituzione di parte civile nel procedimento penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive con la prescrizione del reato, data l’equiparazione fra i due termini. Se invece vi sia stata costituzione di parte civile il termine di prescrizione è interrotto e l’interruzione si protrae per l’intera durata del processo, fino a che non divenga irrevocabile la sentenza dichiarativa della prescrizione del reato.

Donde l’applicabilità nella specie del termine di sette anni e mezzo, stabilito dalla Corte di appello di Roma con la sentenza del 2002.

2.- Il motivo non è fondato, pur se deve essere corretta la motivazione della sentenza impugnata.

Nei casi analoghi a quello di specie, in cui il danneggiato non si sia costituito nel processo penale ma abbia fatto valere il suo diritto al risarcimento dei danni esclusivamente in sede civile, vanno applicati i principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte per i casi in cui il giudizio penale non sia stato affatto promosso, in forza dei quali spetta al giudice civile investito della controversia il compito di accertare incidentalmente – sulla base dei principi del diritto civile sostanziale e con gli strumenti probatori propri del procedimento civile – se sia ravvisabile la fattispecie del fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e quale sia il termine di prescrizione ad esso applicabile, ai sensi dell’art. 2947, 3 comma, cod. proc. civ. (Cass. civ. S.U. 18 novembre 2008 n. 27337; Cass. civ. Sez. 3, 25 novembre 2014 n. 24988). Dalla disciplina del nuovo codice di procedura penale si ricava infatti che il nostro ordinamento non è più ispirato, come il codice del 1930, al principio dell’unitarietà della giurisdizione, ma a quello dell’autonomia di ciascun processo e della piena cognizione, da parte di ogni Giudice, delle questioni di diritto e di fatto rilevanti ai fini della propria decisione, ivi incluse quelle attinenti alla gravità dell’illecito, alla sua rilevanza penale e conseguentemente al termine di prescrizione applicabile (Cass. civ. S.U. n. 27337/2008, cit., p.9.2 ss.).

Di tale principio costituiscono applicazione le sentenze secondo cui, agli effetti della prescrizione, il giudice deve avere riguardo al reato contestato e non a quello ritenuto in sentenza, ove vi sia stata derubricazione dell’originaria imputazione (Cass. civ. 4 dicembre 1992 n. 12919) o siano state ritenute applicabili circostanze attenuanti (Cass. civ. 22 maggio 1996 n. 4740; Cass. civ. Sez. 3, 9 giugno 2004 n. 10967; Cass. civ. Sez. 1, 7 giugno 2006 n. 13272).

Nella specie la Corte di appello, nel suo autonomo potere di valutazione, ha ravvisato gli estremi del delitto di omicidio colposo ed, in applicazione dell’art. 2947, 3 comma, cod. civ., ha applicato il termine di prescrizione decennale previsto dalla legge penale per il suddetto reato.

Ogni ulteriore questione o censura del ricorrente circa la conoscenza o meno da parte dei danneggiati delle circostanze attenuanti è irrilevante e rimane assorbita.

Parimenti irrilevante è il fatto che in sede penale il reato sia stato dichiarato prescritto, con sentenza 23 febbraio 1998 della Corte di appello di Roma, considerato che il termine di prescrizione dell’azione civile – individuato ai sensi dell’art. 2947 3 comma cod. civ. – è stato una prima volta interrotto dai danneggiati nel 1998, con il ricorso che ha dato inizio al processo poi dichiarato estinto.

La domanda di cui al suddetto ricorso ha conservato l’effetto interruttivo anche dopo l’estinzione, ai sensi dell’art. 2945 2 comma cod. civ., e ha dato avvio alla decorrenza di un nuovo termine decennale, che è stato a sua volta interrotto con l’atto di citazione del 2004, introduttivo della presente controversia.

2.- Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 112 e 346 cod. proc. civ., 651 cod. proc. pen., e contraddittorietà della motivazione, per il fatto che la Corte di appello, respinta l’eccezione di prescrizione, ha deciso la causa nel merito senza procedere alla relativa istruzione, sebbene gli stessi appellanti ne avessero chiesto la rimessione sul ruolo per dare corso alle prove dedotte in primo grado. Assume il ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente interpretato le sentenze emesse in sede penale dalle quali ha desunto la responsabilità del F. e non ha tenuto conto del fatto che la Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza penale di appello, nei capi contenenti la condanna del D. e del C. , mentre la Corte di rinvio nulla ha accertato in ordine alle responsabilità, avendo applicato la prescrizione.

2.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

Non vi è violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. poiché la domanda di condanna dei convenuti al risarcimento dei danni è stata ritualmente proposta.

Il mancato accoglimento delle istanze istruttorie è frutto della discrezionale valutazione della Corte di merito, alla quale spetta il potere di decidere se gli elementi probatori acquisiti al giudizio siano sufficienti per poter assegnare la causa in decisione.

Nella specie la decisione positiva risulta congruamente e logicamente motivata sulla base dell’analitica ricostruzione dei fatti, così come accertati nel processo penale. Ha rilevato la Corte di merito che i dirigenti dell’impresa avevano ostruito la strada sottostante alla linea elettrica tramite una doppia fila di blocchi di cemento, ognuno del peso di due tonnellate, allo scopo di impedire il passaggio di automezzi; che fu il F. ad impartire agli operai, fra cui il Ci. , l’ordine di rimuovere i blocchi di cemento con l’autogrù, per rendere percorribile quella strada, al fine di raggiungere più agevolmente il luogo ove doveva essere eseguito il lavoro di sgombero degli scarti di lavorazione (luogo raggiungibile anche per altra via, più breve, ma più ripida e meno agevole da percorrere con mezzi pesanti); che la condanna per omicidio colposo emessa a carico del F. in sede penale è passata in giudicato, poiché il ricorso per cassazione da lui proposto contro la condanna è stato dichiarato inammissibile; che pertanto l’accertamento della responsabilità penale dell’odierno ricorrente è da ritenere vincolante nel giudizio civile, ai sensi dell’art. 651 cod. proc. pen..

Trattasi di motivazione più che sufficiente a giustificare la decisione.

3.- Il terzo motivo, che lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento alla quantificazione dei danni, sul rilievo che la Corte di appello vi avrebbe proceduto in mancanza di richiesta degli interessati, è anch’esso manifestamente infondato.

Come già si è detto, la domanda risarcitoria è stata ritualmente proposta dagli interessati.

La liquidazione dei danni è stata effettuata in via equitativa, sulla base dei parametri di cui alle tabelle di liquidazione dei danni per morte Xin uso nel distretto, che la sentenza impugnata ha espressamente richiamato nella motivazione.

4.- Il ricorso principale deve essere respinto.

Ricorso incidentale

5.- Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale, proposta dai resistenti sul rilievo che il ricorso non è stato indirizzato contro il ricorrente principale ma contro altro intimato, che non è litisconsorte necessario; che pertanto il ricorso avrebbe dovuto essere notificato entro il termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., poiché l’impugnazione proposta contro un soggetto diverso dal ricorrente principale manifesta che l’interesse ad impugnare è preesistente al ricorso principale e deriva direttamente dalla pubblicazione della sentenza impugnata; donde l’inapplicabilità dell’art. 334 cod. proc. civ..

6.1.- L’eccezione è fondata, pur se il principio enunciato dal ricorrente deve essere parzialmente rettificato. L’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile sia quando rivesta la forma della contro-impugnazione rispetto a quella principale, sia quando sia meramente adesiva a quest’ultima, sia anche quando sia diretta contro un soggetto diverso dall’impugnante principale, pur se si tratti di cause scindibili, ogniqualvolta l’impugnazione principale, se accolta, comporterebbe una sostanziale modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche che l’impugnante incidentale aveva originariamente accettato, sì da giustificare la sopravvenienza dell’interesse a chiedere la modificazione della sentenza impugnata, pur se inizialmente un tale interesse non era stato manifestato (Cass. civ. Sez. U. 27 novembre 2007 n. 24627; Cass. civ. S.U. 4 agosto 2010 n. 18049;. Cass. civ. Sez. 3, 30 aprile 2009 n. 10125; Cass. civ. Sez. Lav. 29 marzo 2012 n. 5086).

La suddetta, rilevante modifica dell’assetto di interessi derivante dalla sentenza ed inizialmente accettato è stata ravvisata nei casi in cui l’impugnante incidentale sia un coobbligato solidale dell’impugnante principale ed intenda usufruire degli effetti che deriverebbero anche in suo favore dall’eventuale riforma della sentenza (Cass. S.U. n. 24627/2007, cit.).

L’impugnazione incidentale adesiva e tardiva è stata invece ritenuta inammissibile in un caso in cui era diretta contro il capo della sentenza contenente la condanna dei condebitori solidali, mentre il gravame principale era stato proposto dalla compagnia assicuratrice di un coobbligato, al fine di escludere l’operatività della garanzia prestata in favore di quest’ultimo (Cass. civ. S.U. 7 agosto 2013 n. 18752).

Nel caso in esame l’interesse dei danneggiati ad impugnare la sentenza di appello per fare accertare la responsabilità, oltre che del F. (non assicurato), di altri coobbligati, alcuni dei quali coperti da assicurazione, era indubbiamente prospettabile fin dal deposito della sentenza di appello. L’impugnazione incidentale e l’interesse a proporla non sono quindi ricollegabili al fatto che sia stata proposta l’impugnazione principale, ma dovevano essere fatti valere in via autonoma, nel rispetto del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ..

Il ricorso incidentale deve essere quindi dichiarato inammissibile.

7.- Le spese del presente giudizio si compensano fra ricorrente principale e ricorrenti incidentali, in considerazione della reciproca soccombenza.

Si compensano anche nei confronti degli altri resistenti in considerazione della natura della vertenza, degli interessi che vi sono coinvolti e dell’obiettiva difficoltà delle questioni giuridiche trattate, ivi incluse quelle attinenti alle responsabilità per il sinistro.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Compensa fra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

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