Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 15 giugno 2015, n. 24937

Ritenuto in fatto

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Si procede nei confronti del ricorrente per favoreggiamento della prostituzione di una donna, V.T. , alla quale egli era legato sentimentalmente. Detto, in estrema sintesi, secondo l’accusa, la condotta incriminata sarebbe consistita nel fatto di avere – profittando dei suo ruolo di ispettore capo di polizia; in servizio presso il commissariato di Cassino – agevolato lo svolgimento dell’attività di prostituzione che la V. esercitata, effettuando interventi, non previsti dal servizio, sul luogo del meretricio, in modo da eliminare la “concorrenza” di altre donne. Per tale ragione, nei suoi confronti, è stata disposta la misura degli arresti domiciliari.
Il Tribunale, investito della richiesta di riesame di detta misura coercitiva, ha respinto.
2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite difensore, deducendo:
1) inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. A tal fine, si ricorda che l’analoga eccezione svolta dinanzi al tribunale, è stata respinta con una motivazione discutibile. Se, infatti, é vero che la inutilizzabilità di intercettazioni effettuate in altro procedimento attiene alla valutazione dei risultati delle intercettazioni come “elementi di prova” nel procedimento nel quale esse sono state “importate”, ma non anche come nuova notizia di reato e spunto per ulteriori indagini, è allora evidente, però, che, se le intercettazioni sono valse come “notizia di reato”, non avrebbero potuto, al contempo, valere come “gravi indizi di colpevolezza” che è cosa diversa dalla “fondatezza della notizia di reato”;
2) erronea applicazione della legge e manifesta illogicità della motivazione in quanto il reato qui ipotizzato è di natura dolosa e presuppone un’attività tale da favorire la prostituzione altrui che, in assenza del contributo del favoreggiatore, non si sarebbe verificata. È, invece, acclarato che, nella specie, l’aiuto che l’indagato ha offerto alla donna era solo rivolto alla persona (alla quale egli era legato sentimentalmente) e non all’attività.
Altro motivo di doglianza del ricorrente riguarda la non considerazione del fatto che le indagini difensive e le opposte dichiarazioni dell’indagato smentiscono l’esistenza di un ordine di servizio che vietava alle volanti – nelle sere alle quali si riferiscono le odierne accuse – di recarsi nella zona ove esercitavano il meretricio la V. ed altre donne;
3) erronea applicazione della legge e vizio della motivazione in quanto la misura cautelare sarebbe sproporzionata e, comunque, fondata sul richiamo ad un provvedimento (l’ordine di servizio) che il ricorrente assume essere falso.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.
Con atto depositato il 20.2.15, la difesa, in una memoria difensiva ha ulteriormente insistito sulle ragioni di cui al ricorso allegando il contenuto della querela per falso sporta dall’indagato contro il dirigente del commissariato di Cassino in relazione al citato ordine di servizio.

Considerato in diritto

3. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
3.1. (quanto al primo motivo). La questione relativa alla utilizzabilità delle intercettazioni ha già trovato risposta corretta da parte del Tribunale che si è, allo scopo, allineato ad un punto di vista chiaro ed univoco di questa S.C. secondo cui il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi attiene solo alla valutazione degli stessi come “elementi di prova” e non anche come notizia di reato ai fini dell’avvio di nuove indagini e dell’acquisizione di ulteriori fonti probatorie (sez. n, 23.4.10, Trotta, rv. 247104; Sez. IV, 3.10.06, Abate, Rv. 2361615).
Questo è quanto é, pacificamente, avvenuto nel caso in esame e, di certo, non può trovare spazio la prospettazione difensiva che vorrebbe “parcellizzare” la valenza indiziaria di quegli elementi circoscrivendo la loro efficacia esclusivamente a quella di consentire l’avvio di ulteriori indagini.
La notizia di reato, in genere, qualunque essa sia, ha, infatti, per antonomasia, un sicuro valore indiziario.
Semmai, un problema di inutilizzabilità si può porre per una notizia acquista illegittimamente in sé come giustamente evidenziato nel caso di dichiarazioni della persona sottoposta ad indagini preliminari cui sia stato rivolto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3 lett. c) (sez. v 30.9.10, n. 45016, rv. 249044). In tal caso, la notizia di reato permane in quanto tale ma non può essere utilizzata come indizio. Diversamente, è stato ricordato che anche le intercettazioni preventive (previste dall’are 25 del d. Lgs. N. 306 del 1992 convertito nella Legge n. 356 del 1992) sono utilizzabili, ai fini della fase antecedente all’esercizio dell’azione penale, e sono “indizi sufficienti”, nel Caso, a disporre altre intercettazioni (sempreché queste riguardino delitti di cui all’art. 51 terzo comma bis del cod. proc. pen – sez. v, 18.8.98, Nigro, rv. 211620). Ovviamente, infatti, è quasi impossibile che la notizia di reato sia anche al contempo di tale valenza da costituire prova si che il pubblico ministero, ottenuta la notizia, deve ricercare gli elementi necessari al fine di determinarsi all’esercizio dell’azione penale, e perciò, deve, in ogni caso, fare ricorso ad una fonte diversa, ancorché, eventualmente, omologa (sez. v, 27.9.00, Buccarella, rv. 217978). Ciò non vuoi dire, però, che – a meno che essa non lo sia in sé perché illegittimamente acquisita – tale notizia non sia inutilizzabile tanto è vero che, proprio in tema intercettazione telefonica (autorizzata su richiesta della polizia giudiziaria a seguito di informazione confidenziale) è da escludere che l’intera fonte di prova resti inficiata dall’anonimato di chi per primo ha fornito la notizia; “in tal modo, infatti, si prescinderebbe irragionevolmente dal valore di tutte le altre acquisizioni processuali che da tali notizie derivano, svalutandone l’intera portata, per un preteso vizio di origine che resta interamente superato da tutte le successive acquisizioni” (sez. m, 12.9.96, Artan sadin, rv. 206312).
La notizia di reato, quindi, può concorrere con gli altri indizi eventualmente acquisiti a fondare una misura cautelare.
A tal fine, però, l’attenzione si sposta sulla valutazione dell’indizio che è momento successivo e diverso ed attiene all’apprezzamento (da solo o con altri) della sua gravità e, quindi, della sua idoneità a giustificare una misura cautelare.
La tesi difensiva, nella specie, sembra, in effetti poggiare proprio su una suggestiva elaborazione dei principi giurisprudenziali evocati all’inizio (e noti anche ai ricorrente), a seguire la quale, però, si finirebbe per creare una sorta di “notizia di reato di seconda categoria”.
Né, il fatto che la notitia criminis sia rappresentata da intercettazioni telefoniche muta la realtà ed il richiamo, doveroso, di questa S.C. (come citato il ricorrente attraverso Cass. sez. VI, 26.2.10, n. 10902) alla necessità di un vaglio attento del contenuto di quanto captato è permanente e corretto ma, anche, pleonastico perché pure per le intercettazioni vale il concetto che la loro esistenza non equivale ad “avvenuta consumazione di un reato”.
Non vi è chi non veda, però, come siffatto argomentare malceli una sorta di “confusione” tra la utilizzabilità dell’indizio e la sua rilevanza e/o gravità ai fini cautelari o probatori.
Oltretutto, per circoscrivere il discorso al caso specifico, la doglianza difensiva avrebbe una propria ragion d’essere se il bagaglio indiziario fosse stato ritenuto esistente esclusivamente in forza della conversazione intercettata che hanno dato spunto alle ulteriori indagini ed all’apertura del presente procedimento. In realtà, la stessa doglianza del ricorrente è imprecisa sul punto e gioca sull’equivoco perché il presente procedimento è, si, nato da intercettazioni nell’ambito di altre indagini per violazione alla legge stupefacenti ma, sulla base di tale notizia, sono state disposte ulteriori intercettazioni, proprie del presente procedimento al cui interno si inscrivono quelle menzionate nell’ordinanza impugnata (non a caso, anche l’ordinanza del G.i.p. che il Tribunale conferma spiega – f. 4 – che, nell’ambito del presente “nuovo” procedimento, nato dall’impulso di altre intercettazioni di altro procedimento, “sono state attivate nuove ed autonome intercettazioni”).
A tale stregua, quindi, la presente censura è anche generica perché critica indistintamente tutte le intercettazioni senza distinguere tra quelle che hanno agito da notitia criminis e quelle disposte – insieme ad indagini anche di altra natura – nell’ambito del nuovo procedimento apertosi.
3.2. (quanto ai secondo motivo). Passando, quindi, al merito del ricorso, trattato nel secondo motivo, come visto, il ricorrente punta ad escludere che, nella specie, siano ravvisabili gravi indizi di colpevolezza per il delitto di favoreggiamento della prostituzione assumendo che ciò che l’imputato ha fatto era diretto solo ad aiutare la persona da lui amata. A tal fine, la difesa richiama anche le parole di alcuni colleghi dell’indagato e punta a dimostrare che quest’ultimo, vivendo una profonda crisi coniugale, era legato sentimentalmente alla V. che, però, svolgeva la propria attività di prostituzione in modo autonomo ed, in ogni caso, era anche confidente del R. che, da lei, riceveva notizie utili alle sue indagini di poliziotto senza percepire, però, nessun altro vantaggio proveniente dal meretricio.
A prescindere dal rilievo che tale ultimo aspetto è irrilevante, visto che la contestazione è di favoreggiamento e non di sfruttamento, giova ricordare che, per orientamento costante di questa S.C. la fattispecie di favoreggiamento, di cui all’art. 3 n. 8 legge 75/58 si perfeziona favorendo “in qualsiasi modo” la prostituzione altrui, al punto da non essere neppure necessaria una condotta attiva, ma essendo sufficiente ogni forma di interposizione agevolativa (sez. ni, 31.1.01, Galati, Rv. 218754 che, nello specifico, si riferiva ad un caso di semplice messa in contatto del cliente con la prostituta). Inoltre, è stato soggiunto che la condotta illecita può essere anche connotata da mera occasionalità (sez. III, 5.11.13, Salemi, rv. 258639).
A fortiori, perciò, appare evidente la correttezza della decisione qui impugnata in cui si è commentata una condotta tutt’altro che occasionale e sostanziatasi in comportamenti fattivi del R. il quale, mentre era in servizio, con la volante sulla quale operava, si è recato nel posto in cui la V. operava perché la stessa gli aveva comunicato che erano arrivate prostitute nuove (che, intuitivamente, le facevano concorrenza) (“ce ne so quattro nuove sulla rotonda”). In un primo momento, il R. aveva detto di essere impossibilitato a fare alcunché perché impegnato in altro servizio (“no, sto impicciato con un morto”) ma, come si evince dalla sequenza temporale delle comunicazioni, poco dopo, egli avvisa la donna di stare sopraggiungendo e la invita ad allontanarsi; “ancora dopo qualche minuto l’indagato comunica alla donna di avere liberato la piazza e di averle portate tutte in ufficio”.
La chiarezza della condotta posta in essere dall’indagato è tale da non necessitare quasi di commenti visto che, pur essendo vero, che non vi è reato quando l’aiuto sia prestato solo alla prostituta intesa in quanto persona (sez. III, 13.4.00, De Nunzio, rv. 217080), di certo tale non è il caso in esame.
Peraltro, come bene lumeggiato nell’ordinanza impugnata, questo non è stato l’unico caso in cui l’uomo è intervenuto visto che, in altra conversazione (via sms), nella quale la V. si lamenta del “poco lavoro” per la presenza di rumene – si che la situazione sul luogo del meretricio si stava complicando perché (“ne avevano messe anche altre quattro qua, sta a diventà un casino”) – il R. (che da altre conversazioni si è appreso avere il soprannome di “puffo”) replica: “vedi quando non c’è il puffo ke succede?” frase che, implicitamente, lascia intendere come, di solito, grazie alla sua presenza, la “piazza” in cui operava la V. fosse più tranquilla e, quindi, garantisse stabilità al lavoro della donna.
Arguire che da ciò siano ravvisabili gravi indizi di colpevolezza, non solo, è lecito, ma, sostanzialmente inevitabile sul piano logico e giuridico.
Né coglie nel segno la critica del ricorrente in punto di esigenze cautelari.
L’argomento principale sul quale poggia la decisione del Tribunale è rappresentato dal fatto che l’indagato ha agito a dispetto di un ordine di servizio che vietava alle volanti di recarsi nella zona industriale (dove si prostituiva la V. ). Il ricorrente contesta la violazione di detto ordine di servizio perché ne assume la falsità e si duole (anche con la memoria successiva) della mancata considerazione della querela di falso e del suo contenuto (rappresentato anche da dichiarazioni di colleghi dell’indagato).
La tesi difensiva deve essere disattesa perché confonde la sede cautelare e quella di legittimità con un giudizio di merito.
Ciò che preme verificare, da parte di questa S.C., è l’esistenza di una valida e logica motivazione che tenga conto di tutte le argomentazioni difensive.
Nel caso specifico, non è esatto sostenere che il Tribunale non abbia tenuto conto delle ragioni del ricorrente. Al contrario, esso ha menzionato anche la memoria presentata dinanzi a quel Tribunale ma ha semplicemente ritenuto che tale documento non contenesse elementi decisivi per rivedere il giudizio prognostico negativo formulato.
Ed infatti, nell’ordinanza impugnata, si osserva che è dato pacifico che – anche per quanto rappresentato dalla stessa difesa – all’interno del Commissariato di Cassino, esiste “una situazione altamente conflittuale”. A tal fine, si cita il contenuto dell’informativa 11.11.13 ff. 90 ss.. L’apprezzamento – squisitamente fattuale – del ricorrente a riguardo della pretesa falsità dell’ordine di servizio è stato, quindi, svolto dal tribunale con argomenti logici ed ancorati alle emergenze investigative e disatteso motivatamente si che esso non è più censurabile in questa sede di legittimità, se non a rischio di interferire con un giudizio di merito che qui non compete.
Del resto, la stessa complessità della situazione delineatasi come scenario retrostante al grave fatto criminoso qui in esame conduce logicamente a ritenere la necessità che le questioni siano demandate alla fase processuale.
Ad ogni buon conto, il Tribunale, Sezione per il Riesame, ha anche evidenziato che le argomentazioni difensive (sviluppate nella memoria) circa l’esatto svolgimento dei fatti (chiamata ai 113 – che avrebbe condotto il R. a recarsi nella zona industriale preclusa – perdurante presenza o meno della V. nel luogo incriminato – che potrebbero indurre il R. a reiterare la condotta) sono tutte da dimostrare e, di certo, non si può pretendere che sia questa S.C. a verificarle nel presente contesto di legittimità.
3.3. (quanto ai terzo motivo). Infine, va decisamente disattesa la doglianza di cui al terzo motivo.
L’argomentare difensivo, infatti, sorvola con sorprendente leggerezza sulla peculiare gravità intrinseca del fatto in contestazione.
Si sta, infatti, discutendo – non solo e non “semplicemente” – di una condotta di favoreggiamento della prostituzione ma di un servitore dello Stato che ha evidentemente frainteso il senso ed il valore del servizio che è stato chiamato a svolgere.
Indipendentemente, quindi, dai provvedimenti disciplinari amministrativi che vorranno essere presi da chi di competenza, è indiscutibile che, anche sul piano penale, la vicenda di cui il R. si è reso protagonista si segnala per l’allarme che suscita l’idea di un poliziotto che non esita a strumentalizzare per meri scopi privati il delicato incarico ed i significativi poteri che gli vengono riconosciti. Il R. , infatti, non si è fatto scrupolo, in più circostanze di predisporre controlli volti a reprimere la prostituzione, previo avviso alla V. di allontanarsi, onde colpire solo le altre donne ed, in tal modo, dando al meretricio della donna un contributo significativo (il tutto, per tacere delle numerose volte nelle quali egli ha accompagnato la donna – anche durante il proprio turno di servizio – sul luogo di esercizio della prostituzione che pure si trovava notevolmente distante).
Nel fare ciò, l’indagato ha manifestato un totale dispregio delle regole e delle istituzioni che egli stesso rappresenta ed è quindi coerente con la logica il severo giudizio del G.i.p. e, quindi, del Tribunale, Sezione per il Riesame, quando ritengono la inaffidabilità del presente indagato e la totale adeguatezza della misura cautelare irrogatagli.
Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p..
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali visto l’art. 70 D.lgs. 150/09.
Dispone che copia del presente dispositivo sia trasmessa all’Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico.

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