cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 giugno 2015, n. 12594

Svolgimento del processo

m.a. , P.A. e M.A. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, L.A. , M.D. e la Universo Assicurazioni s.p.a. – quali, rispettivamente, proprietaria dell’autovettura Renault 5, conducente della stessa e compagnia assicuratrice – al fine di ottenere il risarcimento dei gravi danni da lesioni subiti dalla minore Antonietta, a seguito dell’incidente stradale avvenuto il (omissis) in (…), mentre essa A. , in sella alla propria bicicletta, percorreva la via (omissis).
M.A. era stata infatti improvvisamente tamponata dall’auto condotta da M.D. che sopraggiungeva a forte velocità.
I convenuti si costituirono contestando la domanda e rilevando che la ciclista aveva posto in essere una manovra non presegnalata di spostamento improvviso da una corsia ad un’altra che aveva impedito qualsiasi manovra di emergenza. L’assicurazione dava atto di aver versato, oltre all’acconto di L. 100.000.000, l’ulteriore somma di Euro 60.000,00.
Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 466/2005, ritenuta la concorrente responsabilità dei due mezzi ai sensi dell’art. 2054, 2 comma, c.c. e considerati gli acconti versati, condannò i convenuti al versamento della sola residua somma di Euro 4.500,00 a titolo di spese processuali e di c.t.u..
Proposero appello M.S. (essendo nel frattempo deceduto il padre m.a. ), M.S. – sorella e amministratrice di sostegno di M.A. – M.A. , P.A. – madre – e M.S. , F. , G. , M. e Ad. – fratelli – chiedendo l’accertamento della responsabilità esclusiva o, quantomeno, prevalente di M.D. e una maggiore quantificazione del danno, previo supplemento di c.t.u..
Si costituì la sola Italiana Assicurazioni la quale chiese il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’appello ha dichiarato che il sinistro si verificò per colpa concorrente di M.A. e M.D. , nella misura del 50% ciascuno; ha condannato L. , M. e Universo Assicurazioni, in solido tra loro, al pagamento in favore di M.A. dell’ulteriore somma di Euro 56.235,00 oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione M.S. , nella qualità di amministratore di sostegno a tempo indeterminato ex lege 9 gennaio 2004 n. 6, di M.A. .
Gli intimati non svolgono attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso parte ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione di legge in relazione agli artt. 1219 – 1224 – 1223 c.c.; e art. 360 n. 5 per omessa motivazione”.
Sostiene M.S. che l’impugnata sentenza difetta di convincenti argomentazioni sulla liquidazione di interessi e svalutazione monetaria.
Il motivo è fondato.
Appare infatti evidente il difetto di motivazione in quanto dire che “pare” il Tribunale aver liquidato interessi e svalutazione integra una motivazione perplessa e come tale insufficiente.
Con la suddetta espressione non si risponde infatti adeguatamente alla specifica doglianza della ricorrente e non si da alcuna certezza che gli accessori di lite siano stati effettivamente liquidati.
Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 360 sub 3 per violazione di legge: inderogabilità dei minimi di tariffa (art. 24 Legge 794/1942 e obbligatorietà dei diritti; ed errore in procedendo ex art. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c. per mancato esame di atti della causa”.
Ritiene la ricorrente che la liquidazione delle spese giudiziali è inferiore ai minimi previsti dalla tariffa professionale al tempo vigente.
Il motivo è fondato.
Per costante giurisprudenza di questa Corte infatti “In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione, in misure inferiori a quelle esposte, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione alla inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell’art. 24 della legge n. 794 del 1942; tuttavia, ove il ricorso per cassazione avverso la liquidazione delle spese processuali operata dal giudice non riporti le singole voci della nota spese ridotta globalmente, esso non consente di verificare la pretesa violazione dei minimi, sia per i diritti che per gli onorari, e, pertanto, non essendo autosufficiente, è inammissibile. Tali principi valgono in tutti i casi di scostamento dagli importi richiesti con la nota spese, anche se dovuti a pura e semplice pretermissione di quest’ultima da parte del giudice, che erroneamente abbia ritenuto non prodotta la nota, perché ciò che rileva è il rispetto o meno dei limiti tariffari (Cass., 3 novembre 2005, n. 21325).
Nel caso in esame la liquidazione di diritti ed onorari appare inferiore ai minimi tariffari, quantomeno in riferimento agli onorari. A p. 12 del ricorso infatti la ricorrente riporta la notula che, essendo stata depositata tempestivamente in cancelleria, in appello, non avrebbe potuto essere liquidata d’ufficio.
Con il terzo motivo si denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 per violazione di legge (artt. 2054 – 2059 – 1226 e 1223 c.c.) e violazione del principio di integralità del risarcimento del danno per aver ritenuto non dovuto il danno alla vita di relazione ed esistenziale”.
Sostiene la ricorrente che si impone, nell’ambito del danno non patrimoniale, la liquidazione del danno esistenziale, in forza del principio dell’integrità del risarcimento di cui agli artt. 1223-2059-2054 c.c. ribadito da Cass. S.U. 26972/2008.
Il motivo è fondato.
Il principio consolidato seguito dalla giurisprudenza di legittimità, dopo la pronuncia delle Sezioni unite e sino ad oggi, è quello secondo il quale il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass., 23 settembre 2013, n. 21716).
Nella specie, pertanto, ciò che rileva è l’accertamento del se la sentenza impugnata abbia o meno proceduto alla personalizzazione, nel ristoro del danno, delle diverse componenti non patrimoniali, delle quali pur deve tenersi conto a tal fine.
Sul punto la Corte d’appello non risulta avere proceduto alla personalizzazione del danno sotto tutti i profili del danno non patrimoniale (S.U. n. 26972/2008).
In conclusione, i motivi devono essere accolti, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
La Corte di rinvio procederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

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