Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 19 giugno 2015, n. 12705

Ritenuto in fatto

1. – Il 24 aprile del 1999 G.P. detenuto presso la casa circondariale di Sassari, venne rinvenuto in stato di coma nella sua cella per abuso di sostanze stupefacenti (overdose da eroina) e, a seguito del ricovero in ospedale, decedette il successivo 26 aprile. I genitori e i fratelli del defunto (ossia: (omissis)) convennero in giudizio il Ministero della Giustizia, innanzi al Tribunale di Cagliari, per far accertare la responsabilità dell’amministrazione carceraria in ordine all’accaduto ed ottenere il risarcimento dei danni subiti lure proprio e iure hereditatis, lamentando la carenza di controlli e di visite mediche periodiche. Nel contraddittorio con il Ministero della giustizia, che contestò la fondatezza dell’azione, il Tribunale di Cagliari accolse le domande attoree e condannò la convenuta Amministrazione al pagamento di euro 35.500,00 in favore di ciascun genitore del defunto e di euro 9.100,00 in favore di ciascuno dei restanti attori. 2. – Avverso tale sentenza proponevano impugnazione (principale) il Ministero della Giustizia e (incidentale) i congiunti del deceduto G.P. questi ultimi per contestare il 50% del grado di responsabilità ascritto in capo al defunto ed ottenere, dunque, la liquidazione del pregiudizio in misura integrale. La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza resa pubblica in data il 10 marzo 2011, confermava la sentenza di primo grado, rigettando sia l’appello principale, che quello incidentale. 3. – Per la Cassazione di tale pronuncia ricorre il Ministero della Giustizia sulla base di due motivi. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede (omissis).

Considerato in diritto

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1225, 2043, 2967 cod. civ., 13 e 14 dell’ordinamento penitenziario e art. 72 della legge n. 309 del 1990. La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente il nesso di causalità tra la condotta colposa omissiva attribuita al Ministero e l’evento morte, in quanto, non essendo stato provato in che modo il detenuto sia venuto in possesso della droga, sarebbero state violate le regole sull’onere della prova nell’ambito della responsabilità extracontrattuale. In particolare, ai fini della responsabilità per condotta omissiva colposa, non sarebbe sufficiente che sussista in capo all’amministrazione penitenziaria un generale obbligo di vigilanza e controllo sui detenuti, in quanto sarebbe necessario altresì uno specifico comportamento omissivo di controllo nell’introduzione di sostanze stupefacenti in carcere, con la conseguenza che la responsabilità potrebbe esistere solo in virtù di un preesistente obbligo di impedire tale evento, che non sarebbe possibile ravvisare in alcuna norma. La sentenza impugnata sembrerebbe affermare, invece, una sorta di responsabilità oggettiva basata sulla mancata dimostrazione in ordine all’adozione delle misure necessarie ad evitare l’ingresso di sostanze nocive. 2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, in quanto l’evento dannoso sarebbe derivato da un comportamento volontario del detenuto e non da una condotta negligente della amministrazione carceraria “sia per aver omesso di effettuare frequenti ed accurate visite mediche su un detenuto affetto da grave patologia che per aver omesso di adottare misure incisive volte ad evitare tanto l’ingresso dello stupefacente quanto il consumo”. La Corte di appello, nel valutare un concorso di colpa a carico del detenuto, avrebbe errato nell’escludere la responsabilità esclusiva di quest’ultimo e nel riconoscere una pari responsabilità in capo all’amministrazione, pur in assenza di prove sul nesso di causalità. Infatti, non essendo il (omissis) un ammalato incapace di intendere e di volere, il detenuto doveva essere vigilato, ma non sorvegliato a vista fino al punto da esigere un controllo stringente che togliesse ogni tipo di privacy, come sembrerebbe emergere tra le righe della motivazione della sentenza impugnata. 3. – I motivi non possono trovare accoglimento. 3.1. – Occorre premettere che il ricorrente, con il primo mezzo, censura il profilo della ritenuta condotta omissiva da parte dell’amministrazione convenuta, assumendo che la sentenza impugnata l’avrebbe erroneamente individuata nell’obbligo (che sarebbe insussistente) di controllare l’introduzione di sostanze stupefacenti in carcere; con il secondo mezzo, si duole del ritenuto nesso causale tra la condotta omissiva della p.a. (tra cui si menziona anche quella di mancata effettuazione di “frequenti ed accurate visite mediche”) ed il danno, sul presupposto che il danno fosse da ascrivere in toto alla condotta dello stesso detenuto tossicodipendente. 3.2. — Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile. il ricorrente, nel denunciare esclusivamente l’insussistenza di una norma che preveda l’obbligo di controllare l’introduzione di sostanze stupefacenti in carcere, non ha affatto censurato l’ulteriore e diversa ratio decidendi su cui la sentenza impugnata fonda la responsabilità della p . a . , ossia là dove (pp . 8 e 9) , ai §5 b.3.2., b.3.3., b.3.4., in essa si argomenta diffusamente sugli obblighi dell’amministrazione penitenziaria, di cui all’art. 11 della legge n. 354 del 1.975, concernenti l’assistenza sanitaria da prestare al detenuto, sin dal suo ingresso in carcere, nonché, in punto di fatto, sulle plurime omissioni conseguentemente imputabili alla predetta amministrazione in riferimento alla specifica situazione dello stato patologico di tossicodipendenza (“accertato e registrato all’atto di ingresso in carcere”) del quale era portatore il (omissis).. Trattandosi, dunque, di ratio decidendi autonoma rispetto a quella unicamente fatta oggetto di impugnazione con il mezzo in esame e da sola idonea a sostenere la sentenza di gravame sul profilo della individuazione della condotta omissiva illecita ascritta al Ministero convenuto, il motivo risulta inammissibile alla stregua del principio, consolidato, per cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è, per l’appunto, inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes deci.dendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (così, da ultimo, Cass. S.U. 29 marzo 2013, n. 7931) . 3.2.1. – Né, del resto, può ritenersi che la anzidetta ratio decidendi della sentenza impugnata, che ravvisa la condotta omissiva della p.a. nella mancata assistenza sanitaria al detenuto tossicodipendente, sia stata oggetto di impugnazione con il secondo mezzo, giacché – come messo in rilievo in premessa – esso si orienta su un ben diverso profilo (quello dell’efficienza causale esclusiva della condotta del detenuto), dando anzi per presupposta la sussistenza (anche) della suddetta condotta omissiva, che non è affatto investita, nella sua intrinseca portata, da alcuna doglianza. 3.3. – Il secondo motivo è infondato. La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado in punto di concorrente e pari responsabilità di danneggiante e danneggiato nella realizzazione dell’evento (ai sensi dell’art. 1227 c.c.), adducendo che il secondo, nonostante lo stato di tossicodipendenza, avesse mantenuto “una residua capacità di autodeterminazione”, così da porre in essere, “con l’aiuto di complici ignoti.”, dei “comportamenti contrari alla legge consistenti nell’introdurre nell’istituto una sostanza stupefacente e nel farne uso”; mentre, il danneggiante non aveva adottato le opportune misure per impedire il verificarsi dell’evento (sia quelle di assistenza sanitaria, sia quelle volte ad evitare l’ingresso dello stupefacente all’interno del carcere ed il consumo da parte del detenuto). Tale motivazione è, pertanto, esente da vizi logici e giuridici, armonizzandosi, del resto, allo stesso precedente (Cass., 6 febbraio 2007, n. 8051) evocato dal ricorrente (seppure ad altri fini, che, tuttavia, nella specie, non si sono rivelati pertinenti, in ragione della mancata impugnazione della ratio decidendi alternativamente sorreggente la decisione di appello), in forza del quale si è censurata la decisione di merito che aveva ritenuto che l’uso volontario della sostanza stupefacente escludesse il nesso causale fra la condotta dell’amministrazione penitenziaria e la morte di un detenuto, ponendosi in rilievo, inavece, che “l’uso consapevole della droga importa senza dubbio assunzione del rischio, ma tanto non produce totale neutralizzazione degli antecedenti causali con conseguente esclusione della responsabilità”. Con la stessa pronuncia si è, quindi, precisato, condivisibilmente, che non è sufficiente affermare «che tra la detenzione della sostanza stupefacente e la morte si inserisce il fattore determinante rappresentato dall’azione di chi la usa. Si tratta, infatti, di fattore causalmente rilevante nei termini dell’art. 41 c.p. da solo inidoneo a determinare l’evento. Per giungere alla totale esclusione della responsabilità occorre che l’assunzione del rischio diventi la causa sopravvenuta “da sola sufficiente a determinare l’evento” che in quanto ascrivibile al danneggiato, secondo l’art. 41, comma 2, c.p., neutralizzi la causalità risalente al soggetto che ha causato il rischio». Peraltro, in siffatto contesto, nel quale la Corte territoriale ha individuato in modo specifico la condotta omissiva ascritta alla amministrazione (e l’attività doverosa da porre in essere), del tutto ìnconferente, oltre che inammissibilmente generica, è la doglianza che fa leva sul rischio di violazione della “privacy” del detenuto tossicodipendente, utilizzatore di sostanza stupefacente in ambito carcerario e necessitante di cure mediche proprio in ragione del suo stato patologico derivante dall’uso di droga. 4. — Il ricorso va, quindi, rigettato. In assenza, in questa sede, di attività difensiva da parte degli intimati, nulla deve disporsi in punto di regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.a

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